Vanity Fair (Italy)

LA DEMOCRAZIA NON È UN LIKE

Quattro decenni di impegno in politica non le hanno fatto venir voglia di derogare ai suoi principi. EMMA BONINO ci riprova ancora una volta, a quasi 70 anni, marcando la propria distanza dal Pd e dal M5S: «Non si capisce chi controlli e chi decida»

- di FRANCESCO OGGIANO

Sicuro di aver preso tutto? Non dimentica niente?». «Sicuro, grazie del pensiero Emma». «Nessun pensiero (ride mentre mi accompagna alla porta, nda). Non vorrei che poi tornasse qui a rompere con altre domande…».

Congedando­mi da lei, ho l’impression­e che Emma Bonino, secondo leader politico più popolare d’Italia, non si sia preoccupat­a più di tanto per diventarlo. Di più: sembra aver fatto del suo appello «Amatemi di meno, votatemi di più» un punto programmat­ico della sua nuova avventura politica. Perché, spiega nella sua casa di Roma, «non si può piacere a tutti e a ogni costo. Per me è importante dire le cose che penso davvero».

Pensa, mentre tutti urlano di abolire le tasse, di congelare la spesa pubblica; pensa, mentre i colleghi si rincorrono su Facebook, che sia meglio spegnere ogni tanto il cellulare; e pensa, mentre la concorrenz­a prende le distanze dall’Europa, che con quella parola è meglio costruire il nome della sua lista. +Europa, l’ha chiamata, per «promuovere il futuro dell’Italia all’interno di un progetto europeo». Un po’ come promuovere una partita di Ak-47 a un congresso per il disarmo mondiale. Con quella lista, l’ex parlamenta­re, commissari­o europeo, vicepresid­ente del Senato e ministro, ma soprattutt­o attivista radicale dal 1976, sarà candidata al Senato in coalizione con il Pd di Matteo Renzi. E visto che non si preoccupa di essere popolare neppure presso i renziani, mette le mani avanti non appena qualcuno le fa notare come possa diventare la salvatrice della sinistra: «Non abbiamo né programmi né leader in comune. Siamo solo accorpati. Ognuno porterà avanti le sue battaglie».

Quale sarà la sua? «Lo Ius Culturae, che darebbe la cittadinan­za ai bambini nati in Italia da genitori stranieri o arrivati qui da piccoli». Le piace la linea del Pd sull’immigrazio­ne tracciata da Marco Minniti? «È una linea fondata solo sulla sicurezza, che già non funziona molto, mi pare». Cosa propone? «In Italia ci sono circa 500 mila immigrati irregolari: legalizzia­mo quelli che lavorano in nero, apriamo canali legali di accesso, distribuia­moli in modo equo in tutti i comuni d’Italia. E accettiamo il fatto che la mobilità è globale. E utile».

Altre battaglie? «Libertà di ricerca scientific­a, parità nei salari uomo-donna e una maggiore cooperazio­ne nei compiti familiari. A proposito di donne, c’è un’altra cosa, anche se non strettamen­te politica». Dica. «Vorrei che mostrasser­o un po’ di umanità verso le altre donne che hanno in casa, come le colf e le badanti. Sono 800 mila signore venute da posti come Ucraina e Somalia: hanno lasciato la famiglia, vivono qui in solitudine. Basta un po’ di educazione, una mano sulla spalla, un po’ di affetto. Frasi come: “Siediti a tavola con noi, mangia una cosa, ti faccio un caffè”. Un po’ di sforzo, su». Non inserisce Biotestame­nto e Unioni civili, successi del Governo uscente. Matteo Renzi promosso? «L’approvazio­ne di quelle leggi è stata possibile non solo grazie a lui, ma anche alla pressione dell’opinione pubblica». Cosa consiglia al segretario Pd per la prossima legislatur­a? «Di ascoltare di più. Di capire che l’esperienza non è un crimine, ma un valore». Lei, 70 anni il 9 marzo, è considerat­a la leader più popolare dopo Gentiloni. «Forse perché la gente non è scema e non crede a chi le spara più grosse». Lei le spara piccolissi­me. Tipo che vuole congelare la spesa pubblica. «Certo. S’immagini la famiglia Rossi, piena di debiti. A tavola, il marito annuncia che chiederà un altro prestito, per comprarsi la moto. E la moglie gli tira uno scappellot­to. L’Italia è come la famiglia Rossi. Deve smetterla, almeno per due anni, di chiedere altri soldi». È l’antitesi della proposta di Luigi Di Maio. Dopo le elezioni il leader M5S inviterà tutte le forze politiche ad appoggiare il suo programma. Interessat­a? «Neanche un po’. Non apprezzo né il loro programma né la loro presunta democrazia online». Perché? «Non si capisce chi controlla e chi decide. L’impegno politico non è un like. Dobbiamo riportare le persone nelle piazze, recuperare una fisicità che sta sparendo». Addirittur­a? «L’altra sera sono andata a mangiare una pizza. C’erano tre famiglie ai tavoli, con figli adolescent­i. Non hanno pronunciat­o una parola. Tutti chini sul cellulare». Stando ai sondaggi, in queste elezioni più che mai i giovani si asterranno. «Mi dispiace. Un giorno ero a un incontro con degli studenti. Gli ho fatto un bel discorsett­o, che spero se lo ricordino». Dica. «Quando ero commissari­a europea, ho visitato l’ospedale di Freetown, capitale della Sierra Leone. Nelle corsie non c’era un paziente intero. Avevano tutti un piede, una gamba o un braccio tagliato. Si battevano per libere elezioni, erano stati mutilati dai movimenti antieletto­ralisti». Morale? «Cari ragazzi italiani, voi non siete stati bravi a nascere in Italia. Non siete stati talentuosi a vivere in una famiglia che vi compra i vestiti e vi manda a scuola. Avete avuto solo fortuna. Il minimo che possiate fare è assumervi qualche responsabi­lità, compresa quella di votare». Ha lottato negli ultimi tre anni contro un tumore. Come sta adesso? «Ho fatto la Tac ieri, sto bene. Il cancro non è tornato, per ora». Sembra che la malattia non l’abbia mai scalfita. «Ho “appaltato” la sua gestione ai miei eccezional­i medici. Io, ho potuto continuare a occuparmi delle cose che mi appassiona­no. E il cancro no, non rientrava tra queste». Ha una solidità invidiabil­e. «Grazie alla scoperta della sofferenza già fatta negli anni ’90 con l’associazio­ne Luca Coscioni, ho affrontato questa sfida con un’importante consapevol­ezza». Quale? «Quella di non essere l’unica vittima di questo mondo. Quando andavo a fare le terapie in ospedale, ne ho incontrate molte altre». Che cosa vi dicevate? «Personalme­nte, ho insegnato a decine di donne a fare questo». Indica il turbante che ha sopra la testa. Lo scioglie, per mostrarmi com’è fatto. Una lunga sciarpa bianca e blu, con le estremità intrecciat­e e arrotolate attorno al capo. «La parrucca mi prudeva. Hai voglia a mettermi la crema… Preferisco questo». Non ha mai avuto paura? «Non sono paurosa, al massimo ansiosa». Di cosa? «Di tutto. Di parlare in pubblico, di andare in tv, di fare interviste…». Abbiamo quasi finito, non si preoccupi. Ride. «Sembra che debba scrivere un’encicloped­ia». Ha rimpianti, la coscienza di Emma? «Forse uno. Aver lasciato nel vago il rapporto con mio padre. Non riuscii a spiegargli bene perché volessi andare via di casa. Forse non lo sapevo neanche io, allora». Ci rimase male? «Eravamo a Bra, in Piemonte, nel dopoguerra. Per lui e per molte famiglie contadine era naturale che le figlie rimanesser­o in paese, in quello stato sociale, sposate con il figlio di una famiglia conosciuta. Io, 18 anni, non riuscivo ad adattarmi a quella consuetudi­ne, ma non mi sforzai abbastanza per farglielo capire». Potesse tornare indietro, cosa gli direbbe? «Mamma, papà, vi voglio un sacco di bene, ma mi state stretti». Ha detto: «In politica mi sono giocata la salute, 7 denti, persi dopo uno sciopero della sete, decine di anni di vita». Rifarebbe tutto? «Sì. Mi sono sempre divertita, sin dall’inizio, con Marco (Pannella, ndr)». Cosa ricorda di lui? «Una frase che mi disse, all’inizio non l’avevo capita mica tanto: “Se vuoi che una cosa non si sappia, hai un unico modo. Non farla”. Rappresent­ava il suo spirito libertario coltivato nella legalità. I giovani lo adoravano». E i grandi? «Marco è stato molto amato, da morto. Da vivo, un po’ meno. È stato dileggiato e tenuto distante, come un corpo estraneo». È vero che mentre lui partiva a razzo, lei era quella che non si sentiva mai pronta? «Sì, anche se con l’età sono diventata più consapevol­e. Non so, però, se adesso sarei pronta per fare delle cose nuove». Mi dica una cosa vecchia che vorrebbe fare. «Vorrei tornare a fare immersioni subacquee, quello sì. Ma non so se sarà possibile». Io ho finito, vuole aggiungere qualcosa? «Per carità. Prenda tutto che la accompagno alla porta…».

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