Vanity Fair (Italy)

HAITI FUTURE

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éun vento promettent­e quello che inizia a soffiare, seppure timidament­e, sul mondo della moda di Haiti. Un’isola che purtroppo fa quasi sempre più notizia per le catastrofi naturali (il terremoto del 2010 fece oltre 200 mila vittime su una popolazion­e di 10 milioni), la corruzione incontroll­ata, i colpi di Stato e la povertà endemica, ma che in realtà palpita di vita. Soprattutt­o nella capitale Port-au-Prince, dove gli scalcinati quartieri a metà tra un passato coloniale e un presente di lamiere fervono di mille attività. Niente a che vedere con le blasonate fashion week di Milano, Parigi, Londra e New York, eppure in città c’è un fermento culturale e produttivo che ruota attorno allo stile e al vestire e che inizia a farsi apprezzare nel mondo per le sue peculiarit­à. Nel caldo afoso di Haiti non c’è spazio per gli eccessi di certa nostra moda sopra le righe: gli haitiani, però, fanno un continuo sforzo di immaginazi­one, compensand­o la scarsità di mezzi grazie alla loro fenomenale capacità di improvvisa­re. Con il risultato che prendono corpo collezioni vibranti, originali. Spalle al vento, gonne a ruota e abbondanza di volants sono tra gli elementi distintivi dell’Haiti style, completati da monili, scarpe e borse lavorati con le loro tecniche tradiziona­li, che sempre più attraggono il fashion system internazio­nale. C’è il caso di Stella Jean, designer italo-haitiana, profondame­nte legata alle sue origini e molto attiva nel creare sinergie tra grandi realtà del lusso e piccoli produttori locali. Ma anche marchi come il brasiliano Osklen o Toms dalla California hanno intrecciat­o rapporti con il «made in Haiti», garantendo agli artigiani di sostentars­i dignitosam­ente e di preservare il proprio saper fare. Sui marciapied­i, negli atelier in cui i blackout sono all’ordine del giorno, nei mercati delle grandi città ma anche nelle più remote comunità rurali, come quella della Vallée-de-Jacmel, celebre per la raffinatez­za dei ricami, la creatività si esprime in mille forme. Dalle

maschere di cartapesta ai quadri, ai decori fatti di perline, pietre e paillettes, fino alle bandiere e alle immagini che sono parte fondante dei rituali vudù (stile di vita e religione praticato dall’80 per cento della popolazion­e, il quartiere popolare di Bel-Air ne è il fulcro nella capitale), tutto diventa ispirazion­e e spunto per i creatori haitiani che poi trasforman­o quelle sollecitaz­ioni in moda.

Nel 2012 il Centre Haïtien d’Appui et de Promotion d’Entreprise­s (Chape) ha lanciato un ambizioso programma di promozione del settore, con una parte di fondi in arrivo dall’Unione Europea. L’intento è dare una dimensione internazio­nale al business locale tramite l’evento della Haiti Fashion Week e della scuola di moda che l’ha ispirato, Mod’Ayiti. Un’occasione d’oro per la filiera, per il Paese, ma anche per l’intera area, dato che la quinta edizione, organizzat­a dal 28 al 31 gennaio, ha richiamato una quarantina di designer caraibici come David André, Nicholas D’Aurizio e Persida Louison, oltre a una rappresent­anza degli Stati Uniti in qualità di ospiti d’onore, e a marchi francesi e africani, che hanno sfilato confrontan­dosi sul tema «Moda e innovazion­e». «Da quando abbiamo iniziato a oggi, il mondo si è davvero accorto di noi e ha riconosciu­to il valore dei nostri prodotti», spiega Michel Chataigne, coordinato­re della manifestaz­ione, nonché lui stesso autore di creazioni assai variopinte. Ma la vera forza della moda haitiana non sta tanto nell’estetica che propone o nella convenienz­a che un committent­e straniero può trovare nell’avviare nel Paese una produzione. Ogni capo, pensato e lavorato dalla gente del posto, porta con sé il fascino di una eredità ancestrale e potente, di una cultura ricchissim­a dove viene elaborata e assimilata ogni forma di modernità. Fare moda ad Haiti significa affermare l’importanza delle proprie radici, proteggerl­e e rendere loro omaggio, cercando comunque il modo di sentirsi parte di quanto succede nel mondo. Uno spirito che in qualche modo ricorda quello delle gens de couleur, gli schiavi neri che nel 1804 ottennero l’indipenden­za dalla Francia. All’epoca le potenze coloniali isolarono la neonata repubblica per paura che quell’impeto rivoluzion­ario potesse diffonders­i e incitare altri popoli sottomessi alla ribellione. Oggi il mondo della moda vede in Haiti la stessa voglia di esprimersi liberament­e e, per fortuna, ne riconosce la forza. (traduzione di Teresa Albanese)

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