Vanity Fair (Italy)

Da grande

Una nevicata a Roma, un incidente mortale: in un memoir, CARLO CARABBA racconta di un ragazzo che diventa uomo

- Di LAURA PEZZINO

Quando, esattament­e, diventiamo grandi? Per i più, è un momento nebuloso – un’estate, una certa annata, la fine di un amore giovane. Per lo scrittore e poeta Carlo Carabba, 37 anni, è tutto più a fuoco: una manciata di giorni di un febbraio di circa dieci anni fa. E, per l’esattezza, tra l’incidente che manda in coma la sua più cara amica Mascia (coinciso con un’attesa nevicata su Roma) e il funerale di lei (coinciso con la firma di un importante contratto di lavoro). C’è un prima e un dopo e, nel mezzo, un mucchio di coincidenz­e e le pagine di Come un giovane uomo, il primo memoir dell’attuale responsabi­le della narrativa di Mondadori, già autore della raccolta di poesie Gli anni della pioggia (Pequod). È un libro intimo e privato su uno dei momenti trasformat­ivi della vita. La voce è quella di un uomo giovane, sensibile e gentile, parte di quella generazion­e la cui esistenza è divisibile tra un pre e un post Crisi. La scrittura ha un andamento labirintic­o, che imita quello del lutto e anche della crescita: la sintassi è ricercata, ricca di incisi e costrutti arcaizzant­i (una scelta forte nell’era degli hashtag). Se non fosse un paragone extraterre­stre, si potrebbe parlare di un Proust in erba. Che non riesce a darsi pace. Per quale motivo? «Non sono andato al funerale di Mascia, e tutt’oggi mi chiedo se ho fatto bene o male. Non ho una risposta, e forse non è nemmeno la cosa più importante del mondo averla». Qual è stata la cosa più difficile nello scrivere la sua storia? «Evitare ogni compromess­o consolator­io, ma anche l’autodenigr­azione, che è solo un’altra forma di vanità. Con questo libro volevo dipanare la matassa, che è ancora complicata, e per farlo ci ho messo molto tempo, più di 5 anni». Il suo «uomo» è più «maschio» o «essere umano»? «Io parlo delle età dell’essere umano. La mia scrittura è abbastanza asessuata, forse perché do pochissima attenzione al mio corpo. Mi rendo conto di non avere, con lui, un rapporto di ascolto. Se mi faccio male non me ne rendo quasi mai conto». Nel libro c’è come una tensione ascetica. «Vero, anche se faccio una vita molto materiale: mi piacciono tantissimo il gelato, il fantacalci­o, i fumetti, lo sport. Mi interessa quasi tutto, e questo magari non è sempre un bene. Però è anche la cosa che trovo più bella del mestiere che faccio, entrare in contatto con cose nuove e diverse». Perché ha deciso di usare questa scrittura complessa? «Di solito si dice che la poesia sia più difficile da capire della prosa. Nel mio caso è il contrario, sono le mie poesie a essere piane, semplici. A un certo punto ho pensato che avrei potuto scriverne una su Mascia. Ma non l’ho fatto, perché per me la poesia è un modo di ricomporre il reale in un orizzonte di senso evidente, e qui parlavo di cose che non volevo fossero ricomposte in modo consolator­io e pacificato­re. Per questo ho scelto un flusso unico, una lunga poesia in prosa che mettesse enfasi più sugli stati mentali che sugli accadiment­i». «Da sempre aspettavo che la neve tornasse a cadere su Roma»: questo è l’incipit. Perché la neve? È la sua madeleine, l’elemento che scatena la memoria? «Non proprio: per Proust la madeleine ha a che fare con la morte. Il mio narratore, invece, pensa che la neve gli porterà la felicità, e solo quando arriva scopre che la sua amica è in coma. La neve è più uno spartiacqu­e, la chiusura dei conti con il me bambino e l’immissione nella vita adulta». Lei scrive come Proust e Montaigne, ma nel suo libro fa continui riferiment­i alla cultura pop: fumetti, film, serie, The O.C., Wile E. Coyote, Topolino. «Nella mia formazione, Mamma ho perso l’aereo ha un posto fondamenta­le tanto quanto, in un’epoca successiva, La Recherche. E poi io sono un appassiona­to di supereroi e penso che alcune opere pop siano allo stesso livello delle grandi opere letterarie». La nostalgia nel suo libro c’è o non c’è? «No, ma c’è l’idea che ci sia stato un momento più sereno. Verso quello sì, provo una vera nostalgia».

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COME UN GIOVANE UOMO di Carlo Carabba (Marsilio, pagg. 176, Û 16,50)

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