Il leader che non c’è
I politici «troppo anziani», la destra divisa, Renzi spigoloso, Berlusconi senza rancore, Salvini cauto, Di Maio «il punto interrogativo». Il direttore del Corriere LUCIANO FONTANA racconta, da innamorato deluso, l’Italia politica che verrà
LÕufficio del direttore del Corriere della Sera è esattamente come ce lo si immagina: molti libri, molti legni, pelle invecchiata. Il risultato, stratificato nel tempo, dei tentativi di rendere confortevole un posto che sarà, per chi ne entra in possesso, più casa di ogni casa. È così anche per Luciano Fontana, ventitreesimo inquilino della stanza, che abbracciando tutto quel marrone con lo sguardo ammette «io quando sono qui, sto proprio bene». Direttore da quasi 3 anni, la sua doveva essere una nomina «a tempo». «Ma nel nostro Paese non esiste nulla di più stabile della precarietà», risponde con una prontezza che lascia intendere che quella osservazione gliel’hanno già fatta in parecchi. Innamorato della politica (è da lì che viene, professionalmente parlando, comincia a occuparsene all’Unità, a Roma) la segue per il Corriere da un giorno di febbraio (il primo) del 1997 – «Per accettare la proposta ci pensai meno di due minuti e per trasferirmi meno di due giorni», racconta – e non ha mai smesso. «Non ho una particolare partigianeria, un partito da sostenere, ma amo la politica come racconto di una storia, che ne raccoglie altre, quelle delle persone che la fanno». Di politica, ovviamente, parla il suo primo libro Un paese senza leader (Longanesi), avvenimenti e protagonisti di un cammino che ci ha condotti in un punto preciso, come spiega l’illustrazione di copertina di Giannelli in cui si vede una carrozza dorata, strapiena di facce che conosciamo, trainata da due cavalli immobili e un po’ perplessi sul ciglio di un burrone. «L’immagine può sembrare catastrofista, ma non lo è: possiamo fermarci e invertire la rotta». Dice che quello che ha scritto è un grido d’allarme e quindi, come sempre, anche un gesto d’amore. E dice che lo ha scritto ora perché aveva qualcosa da dire. «E anche perché prima un libro non me lo aveva mai chiesto nessuno», dice con la voce pacata e sorridendo con gli occhi anche quando la bocca non lo fa. Le elezioni che ci aspettano daranno un assetto stabile al Paese? «Non credo: la coalizione di centrodestra è favorita, ma anche se – e non è scontato – avesse la maggioranza dei seggi, questo gruppo ha al suo interno visioni politiche così diverse e una competizione per la leadership così forte da renderla instabile. E se nessuno, nemmeno il centrodestra, dovesse avere la maggioranza, la situazione sarebbe ancora più complicata». Lei dice che in Italia non abbiamo più leader. Come siamo arrivati a questo punto? «Venticinque anni di storia ci hanno condotto qui, venticinque anni in cui i partiti tradizionali si sono disgregati e ne sono nati di nuovi. I leader del passato anche recente – penso a Berlusconi, Prodi e Renzi – arrivano alla scadenza troppo anziani o avendo bruciato le loro opportunità». Berlusconi non può più essere la guida del centrodestra? «Berlusconi negli ultimi 25 anni ha cambiato la politica, e anche gli italiani, che per un lungo periodo si sono definiti per il loro essere a suo favore o contro. Ma ora porta alle elezioni un partito che un vero leader non ce l’ha. Il
centrodestra più radicale si ritrova in Salvini, ma i moderati sono orfani di un capo. Prevedo un’aspra battaglia, ma credo – e lo credo da prima che Berlusconi si esponesse – che in futuro potrebbe essere Tajani. Ma prima di arrivare lì ci sarà la loro traversata del deserto». Pensa che Renzi abbia bruciato tutte le sue chance? «Renzi è stato un giovane politico che ha minato le fondamenta della sinistra e ha ispirato una fiducia enorme nel Paese, ma quella stagione di grazia è finita. Queste elezioni saranno un passaggio stretto e fondamentale per lui, perché se il Pd scende sotto certe percentuali nel partito si aprirà una discussione che può avere conseguenze sulla sua posizione. Ma è un uomo giovane, capace di ricostruirsi, vedremo». Salvini vuole tantissimo fare il leader. «Vuole ereditare i voti di Berlusconi, guidare la parte conservatrice dell’Italia, ma il suo modo di fare politica è un ostacolo per un elettorato che è ancora in gran parte moderato ed europeo. Smusserà i toni: sa che oltre un certo limite non può andare, ed è il limite che ha impedito alla Le Pen di vincere le elezioni per davvero». Di Maio può ereditare lo scettro da Grillo? «Di Maio è un grande punto interrogativo. Sta cercando di cambiare il M5S perché è sensibile al tema delle competenze e delle prove di governo. Il movimento è più vicino, per dna, a un Di Battista che a un Di Maio. Penso che per i cinquestelle arriverà presto il momento della verità e dell’assunzione di responsabilità». Belgio, Olanda e Spagna sono andate avanti per periodi più o meno lunghi senza una maggioranza di governo. Potremmo farcela anche noi? «La società italiana ha una grande capacità di reazione, nel breve termine potremmo anche farcela. Però abbiamo un tasso di crescita che è quasi la metà di quello che registrano gli altri Paesi perché abbiamo qualcosa che ci zavorra: il debito pubblico, un sistema fiscale iniquo, una burocrazia pesante e un sistema giudiziario che scoraggia gli investimenti. Queste sono tutte cose che può e deve correggere la politica, un governo che sappia mettere in campo le risorse necessarie». Che rapporto ha lei con i politici? «Escluso Veltroni che è un amico – abbiamo lavorato insieme e i nostri figli frequentavano la stessa scuola – con gli altri ho un rapporto professionale più o meno intenso e più o meno difficile. Berlusconi, che questo giornale ha più volte attaccato, è sempre capace di riprendere un dialogo e non porta rancore. Renzi ha un carattere spigoloso, invece. Quando ha perso consenso ha cominciato a pensare che ci fosse dietro una macchinazione e ad avere un rapporto più complicato coi media. Comunque io non sono un frequentatore di salotti politici. Appaio come un uomo riservato, ma la verità è che non faccio una gran vita fuori dal giornale. La sera mi piace stare qui a chiudere le pagine». E quando non chiude cosa fa? «Mi piace fare passeggiate nei boschi a cavallo. Ne ho uno, si chiama Carezza e me lo ospita un amico, in Toscana. Amo anche camminare in montagna; un tempo arrampicavo, ora non più. Oppure semplicemente stare a casa coi miei cani, un boston terrier e un beagle. Amo moltissimo gli animali». Cosa farà quando non sarà più direttore del Corriere? «Mi piacerebbe continuare a fare il giornalista perché è la cosa che amo fare e il sogno che ho perseguito tutta la vita, anche contro l’opinione di tanti che all’inizio mi scoraggiavano perché ero solo un ragazzo di Veroli (provincia di Frosinone, ndr), e dove volevo andare? Se non sarà possibile mi riposerò: lavoro da quando ho 15 anni, ho cominciato facendo il cameriere e il portiere d’albergo a Fiuggi, per aiutare la mia famiglia. Forse mi potrei anche, finalmente, riposare».