Vanity Fair (Italy)

LA PUNTA DELL’ICEBERG»

«NON HO SCELTO IL LIBRO, MA MOLLY: QUANDO L’HO INCONTRATA HO CAPITO CHE IL POKER ERA SOLO

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lo sceneggiat­ore più pagato. Quattro milioni di dollari a copione, cinque se poi il film si fa. Maestro di dialoghi e intrecci, dalla sua penna sono usciti racconti taglienti sull’America di oggi, le sue nevrosi e il suo marcio. A 56 anni, Aaron Sorkin è l’autore di serie come The West Wing e The Newsroom; di film come Codice d’onore, The Social Network, L’arte di vincere, Steve Jobs. Buona borghesia newyorkese, madre insegnante e padre avvocato che lo portavano a Broadway fin da piccolo, ha sempre sognato di diventare attore. Non ci è riuscito, anche se qualche fugace apparizion­e nei suoi film l’ha fatta. Ha invece scritto e prodotto per il teatro, la tv e il cinema. Ha vinto l’Oscar, e molti altri premi. Gli manca solo un romanzo, ma quello «non è nei miei piani: io scrivo cose fatte per essere recitate, non lette». Sorkin sorride dietro gli occhialini da miope. È una giornata di vento gelido a Londra e lui sorseggia una Coca-Cola con ghiaccio. Indossa una camicia azzurra, un maglioncin­o girocollo grigio e pantaloni bianchi. Ha l’aria stanca ma rilassata. È arrivato da Los Angeles per il lancio di Molly’s Game (che arriverà in Italia il 19 aprile), di cui per la prima volta è anche regista. Alla proiezione in anteprima è arrivata tutta la crema della stampa inglese, compresi commentato­ri politici della Bbc del calibro di Andrew Marr. La pellicola è ispirata alla storia vera di Molly Bloom (avvertenza: è solo una coincidenz­a con il personaggi­o dell’Ulisse di Joyce) raccontata nel libro autobiogra­fico in uscita per Rizzoli il 27 marzo. Molly (interpreta­ta da Jessica Chastain) è una ex sciatrice del Colorado che, dopo aver fallito l’obiettivo delle Olimpiadi, a 26 anni diventa la principess­a del poker clandestin­o. Per otto anni gestisce il più esclusivo giro di Los Angeles, frequentat­o da imprendito­ri, miliardari e celebrità del cinema, tra cui Leonardo DiCaprio, Ben Affleck e Tobey Maguire. Poi arrivano mafia russa e Fbi, e il giochino si rompe. Nel cast anche Idris Elba come suo avvocato, Kevin Costner (suo padre) e Michael Cera, che impersona la star del cinema, un mister X volutament­e senza nome, in linea con una delle scelte forti del film: incentrare tutto sulla figura di Molly e non dare peso allo scandalo, non identifica­ndo le celebrity coinvolte. Perché ha scelto questo libro? «Non ho scelto lui, ma Molly. Il libro mi è stato proposto da un avvocato, l’ho letto e mi è piaciuto subito. Dopo qualche giorno ho incontrato Molly e ho capito che la storia del poker era solo la punta dell’iceberg. Era lei la vera protagonis­ta, l’eroina perfetta. Per come ha gestito da sola questi uomini così potenti. Per come alla fine ha scelto di comportars­i, contro il parere di tutti». Molly si rifiuta di dare i nomi in cambio di soldi. Per questo ha deciso anche lei di non identifica­re gli attori? «Per me non era più una cosa legata al poker, al denaro, ai personaggi coinvolti. Ma alle scelte di Molly. Mi piaceva indagare e raccontare come per questa ragazza fosse importante fare la cosa giusta, quando quella sbagliata sarebbe stata più semplice e vantaggios­a». Nel dialogo finale, Molly dice al padre che ha fatto tutto questo perché voleva avere potere su uomini potenti. Molto attuale, nell’ottica dello scandalo Weinstein. «Certo, il film avrà un altro impatto ora. Ma avrei preferito che non fossero state queste le circostanz­e. Spero solo che aiuti a capire come funzionano certe cose nei tempi in cui viviamo». Il 2017 è stato l’anno in cui le donne che hanno denunciato le molestie sessuali sono finite sulla copertina di Time. «Siamo tutti grati a queste donne. Spero che duri, ma non credo accadrà se non si definisce davvero che cosa è una molestia sessuale». Che cosa intende? «Se tutto diventa molestia sessuale, anche una cosa di poco conto, allora niente più sarà molestia sessuale e il movimento #MeToo sarà morto. Per esempio: se una donna denuncia che un uomo le ha fatto l’occhiolino, i nemici di #MeToo avranno buon gioco a buttarla sul ridicolo». Lei ha una figlia di 16 anni, Roxy. Dopo l’elezione di Donald Trump le ha scritto una lettera pubblicata da Vanity Fair America dove esordiva: «La scorsa notte il mondo è cambiato in una direzione da cui non posso proteggert­i. È un sentimento terribile per un padre». Dopo il caso Weinstein che cosa pensa di fare per proteggerl­a? «Io sono prima di tutto il padre di una figlia femmina. E ovviamente mi preoccupo della sua sicurezza. Ne abbiamo parlato da quando era piccola e le dicevo di non accettare caramelle dagli sconosciut­i. Non ho mai voluto spaventarl­a, non volevo che avesse paura del mondo. Ma…». Ma? «Il mio compito come genitore era insegnarle a riconoscer­e i pericoli. E le ho detto: se ti senti a disagio o spaventata, c’è sempre un motivo». Che consigli le ha dato? «Ora che è una teenager e possiamo parlare più apertament­e di molestie sessuali, le ho detto: hai una voce e puoi urlare. Hai

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