A RIO SOFFIA VENTO DI REPRESSIONE
L’assassinio di MARIELLE FRANCO è l’ennesimo atto di violenza in un Brasile che si prepara alle prossime elezioni
Il prossimo 7 aprile Marielle Franco era attesa all’Università di Harvard, per un evento dal titolo Brazil Conference. Non ci sarà, è morta il 14 marzo, uccisa da quattro colpi di pistola mentre tornava a casa dopo un dibattito pubblico a Rio de Janeiro, la città dove è nata e dove è stata eletta consigliere comunale due anni fa, quinta più votata della cidade maravilhosa che, da qualche tempo, tanto meravigliosa non è: il Comune è fallito, non ci sono più soldi per i servizi di base, l’ex sindaco e altri politici sono in carcere o sotto inchiesta, la violenza ha raggiunto livelli tali che il governo federale ha mandato l’esercito in città, in un discusso tentativo di «pacificazione». A Marielle, membro del Psol (estrema sinistra), la situazione non piaceva e ogni giorno denunciava abusi di potere di militari e polizia contro gli abitanti delle favelas, sempre più spesso vittime incolpevoli di sparatorie tra autorità e banditi. Silvia Ramos, dell’Università Candido Mendes, scrive che il Brasile sta diventando come la Colombia, dove «una combinazione di corruzione delle forze di polizia e presenza di gruppi armati legati al narcotraffico ha portato a decine di omicidi politici e non solo». Poco dopo la morte di Marielle (e del suo collaboratore, che guidava l’auto) Caetano Veloso e altri brasiliani famosi si sono uniti idealmente alle migliaia di persone che hanno partecipato alle manifestazioni esprimendo lutto con l’hashtag #marielle presente sui social media. Nel frattempo, la prima inchiesta ha rilevato che le pallottole che l’hanno colpita facevano parte di un lotto acquistato dalla polizia. Secondo Eliane Trindade, opinionista del quotidiano Folha de S. Paulo, la morte di Marielle sta alla lotta perché finisca questo «genocidio della gente delle favelas come la morte di Chico Mendes stava alla lotta degli indios dell’Amazzonia. Anche Marielle diventerà un simbolo perché, di fatto, lo era già, anche da viva». 38 anni, nera e lesbica (viveva con la compagna Monica), nata nella favela Maré, si è data alla politica in seguito alla morte di un’amica, colpita da una pallottola vagante. Prima aveva frequentato un corso preparatorio all’università nella stessa favela, organizzato da una Ong impegnata a valorizzare il potenziale di chi non ha mezzi. «Era un’allieva modello, ha solo interrotto brevemente perché era rimasta incinta, ma poi ha concluso fino a laurearsi», racconta Eliana Sousa, sua insegnante. Eppure, la stressata opinione pubblica brasiliana si spacca anche su di lei. In seguito alla sua morte, a proposito della maternità precoce (la figlia Luyara adesso ha 19 anni), sui social è apparsa la notizia che la consigliera l’aveva avuta da un pezzo grosso del narcotraffico, Marcinho VP, come a dire «perché la piangete, è una criminale». Ma è impossibile che Marcinho avesse potuto metterla incinta perché era in galera. Ogni fake news è paese. E anche ogni «benaltrismo». Mentre le piazze sono in lutto per Marielle, sui social si accusano i giornalisti di non avere preso altrettanto sul serio la morte di Gisele Pacheco Govea, 34 anni, medico e madre di famiglia, uccisa a pistolettate, vittima di un tentativo di rapina finito male. La verità è che non fa differenza essere lesbiche e di sinistra o bianche e apolitiche, poliziotti o comuni cittadini, adulti o bambini. Rio è più violenta che mai, come rileva Fogo Cruzado (fuoco incrociato), app ideata da Cecilia Olliveira di Amnesty International, che consente di segnalare ogni sparatoria in corso nelle zone della città. Il tema della sicurezza sarà cruciale, in vista delle elezioni a ottobre e delle tentazioni di ritorno alla dittatura espresse da politici in ascesa come il militare Jair Bolsonaro, pre-candidato alla Presidenza.