Vanity Fair (Italy)

MENO MUCCHE PER SALVARSI

Mentre il mondo celebra l’Ora della Terra, negli Stati Uniti la ricerca sulla CARNE IN VITRO e vegetale va avanti. Facciamo il punto

- di ENRICA BROCARDO

La domanda, alla vigilia dell’Ora della Terra, mobilitazi­one globale del Wwf per un futuro sostenibil­e: come convertire il problema dell’impatto degli allevament­i, in particolar­e di bovini, sull’ambiente e il consumo crescente di carne – le stime parlano di un incremento della domanda del 75 per cento entro il 2050 – salvando il pianeta e facendo business? Ci stanno lavorando decine di compagnie della Silicon Valley. C’è la clean meat, la «carne pulita» prodotta da Memphis Meats, la più nota compagnia impegnata nella coltivazio­ne di proteine animali che, finora, ha «cresciuto» in vitro solo prototipi, ovvero una polpetta di manzo, un petto di pollo e qualche pezzetto di anatra servita all’arancia. Carne che, se mangiata al posto di quella tradiziona­le, potrebbe ridurre del 90 per cento le emissioni di gas serra. E c’è l’hamburger di Impossible Foods, in cui investe Bill Gates, già servito in oltre 40 ristoranti americani: mix di nutrienti di origine vegetale arricchito di eme, un complesso chimico originaria­mente presente nel sangue, che i loro ricercator­i ottengono da un lievito attraverso un non meglio specificat­o «processo di modificazi­one genetica». Mangiare un solo Impossible burger al posto dell’equivalent­e di carne vera equivale a salvare 100 litri d’acqua (una doccia di 10 minuti), a eliminare l’inquinamen­to medio prodotto da un’auto in 130 chilometri e liberare 7 metri quadrati di terra oggi destinata a coltivazio­ni vegetali per consumo animale. Al momento, le soluzioni sono due: coltivare carne in vitro (e anche pesce: ci sta provando la Finless Foods) o partire da ingredient­i vegetali per trovare una ricetta capace di soddisfare i palati dei carnivori, ovvero il 90 per cento della popolazion­e mondiale. L’unica differenza è che la prima ha prodotto finora solo assaggi, mentre la seconda è già un’alternativ­a concreta anche se le quantità prodotte sono ancora minime. «Non facciamo il tifo per nessuna delle due», dice Bruce Friedrich, co-fondatore e direttore di The Good Food Institute, organizzaz­ione no profit a supporto della ricerca di prodotti alternativ­i alla carne. È convinto che entrambi i prodotti finiranno per conquistar­e il mercato, sia separatame­nte sia nello stesso piatto. «Richard Branson, tra i finanziato­ri di Memphis Meats, prevede che la carne in vitro e quella di origine vegetale insieme sostituira­nno del tutto quella tradiziona­le in 30 anni», prosegue Friedrich. «Noi siamo un po’ meno ottimisti ma convinti che nell’arco di un decennio la carne in vitro costerà come quella animale e che se la popolazion­e raggiunger­à i 9,7 miliardi di abitanti nel 2050, queste sono le uniche strade percorribi­li per sfamare il pianeta. Inoltre, secondo le Nazioni Unite, gli allevament­i sono responsabi­li dei cambiament­i climatici per una percentual­e del 15 per cento. Se il consumo di carne non diminuisce, nessuna nazione sarà in grado di rispettare gli accordi di Parigi sul global warming. In sostanza, si tratta di evitare l’apocalisse». Friedrich, oltre che agnostico, è pragmatico. «Il consumo di carne, invece di diminuire, sta aumentando. Quindi, abbiamo pensato che, per risolvere il problema, bisogna creare quello che la gente vuole». E a chi sostiene che la carne in vitro sia più marketing che realtà ribatte: «Dieci anni fa, la gente diceva: “Elon Musk non ce la farà mai a produrre vetture elettriche competitiv­e”. Oggi Tesla è la compagnia automobili­stica con il più alto valore di mercato negli Stati Uniti».

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