Vanity Fair (Italy)

L’UOMO CHE CORREVA CON I LUPI

L’infanzia violenta, gli incidenti (quasi) mortali, la caccia: il messicano GUILLERMO ARRIAGA, autore di alcuni dei più bei film degli ultimi anni, torna con una storia simile alla sua (ma non parlategli di Iñárritu)

- di LAURA PEZZINO foto XAVIER TORRES-BACCHETTA

évero, sono cresciuto in un posto violento, ma questo non mi ha causato traumi. Sono uno ottimista, non mi arrabbio mai, può chiederlo ai miei figli. Anche se non sembrerebb­e, visto le cose che scrivo». Tra le cose più terrifican­ti che lo scrittore, sceneggiat­ore e regista Guillermo Arriaga ha scritto c’è, per esempio, una scena, poi finita nel film Amores Perros, in cui un cagnolino cade nel buco di un parquet. I suoi padroni lo chiamano disperati, i guaiti sono sempre più lontani, si scopre che il labirinto sotto il pavimento è infestato da topi feroci, il cagnolino non riemerge più. Qualcosa tra Lynch e Hitchcock. Ma forse Arriaga dice il vero: ha gli occhi da lupo buono, di uno zio che viene a trovarti per le feste, la felpa un po’ scolorita, la barba del fine settimana. È cresciuto in un brutto quartiere di Città del Messico che, però, è stato la sua benedizion­e: le sue storie, quelle che ha scritto prima per l’amico Alejandro Iñárritu (sono suoi gli script della «trilogia sulla morte», Amores Perros, 21 grammi e Babel), da cui ha «divorziato» nel 2006, poi per se stesso, vengono tutte da lì. Come Il selvaggio, che racconta di Juan Guillermo, ragazzino nel Messico degli anni Sessanta, settecento pagine epiche e potenti, dense di trame, personaggi e accadiment­i: spaccio, soldi, agguati, morti violente, corse sui tetti, e però anche amore ardente. Arriaga scrive spesso di quanto sia difficile comunicare tra esseri umani e di quanto, in definitiva, le nostre vite siano incrociabi­li tra di loro. Dei motivi per cui ha rotto con l’ex amico Iñárritu si specula da anni: pare che per il regista

allora in rampa di lancio (avrebbe poi vinto 5 Oscar), lui fosse ormai diventato un «socio» un po’ troppo ingombrant­e. Dove stava la ragione? Guillermo dice di averne già parlato «abbastanza». Faccenda chiusa. Dice anche, ed è un peccato, che Il selvaggio non diventerà mai una serie tv («è quasi impossibil­e da adattare allo schermo»), prodotti che peraltro lui, per mancanza di tempo, non guarda mai, a parte, ovviamente, capolavori come Breaking Bad e Narcos. È un grande momento per il cinema latinoamer­icano: Oscar per miglior film e regista al messicano Guillermo del Toro, miglior film straniero al cileno Sebastián Lelio, miglior film d’animazione al «messicano» Coco. Come mai? «Penso siano le nostre storie, che nascono dalle contraddiz­ioni della vita di ogni giorno. Ogni latinoamer­icano che vince un premio fa del bene a tutti gli altri». Ha detto: «Questa non è un’autobiogra­fia», ma ha chiamato il protagonis­ta Juan Guillermo. Dunque? «Volevo omaggiare lo scrittore e amico Pedro Juan Gutiérrez (cubano, pubblicato da e/o, ndr), che nei suoi libri usa sempre il proprio nome per confondere i lettori. In molti si dicono dispiaciut­i per il fatto che io abbia perso i genitori da piccolo. Io gli rispondo, ma no, mio padre ha 93 anni!». In che cosa la sua infanzia e quella di Juan Guillermo sono simili? «Le strade sono le stesse. La scuola privata è la stessa. Ho un cane che si chiama King. Vivevo anch’io moltissimo sui tetti. C’è molto della mia vita, senza essere però la mia vita». È mai tornato nel quartiere? «Sì, e ho anche portato i miei figli sui tetti». Perché il concetto di «selvaggio» è così presente nelle cose che scrive? «Al sabato i nostri genitori ci portavano a eventi culturali, ma la domenica mi lasciavano libero: sapevano che avevo bisogno di stare nella natura e i dintorni di Città del Messico sono spettacola­ri». Si considera selvaggio? «So che potrei sopravvive­re in un ambiente selvaggio: so seguire i sentieri, prevedere il tempo, accendere il fuoco, cuocere il cibo». Chi glielo ha insegnato? «Fin da bambino sono sempre stato in compagnia di cacciatori, cowboy, uomini di fattoria. Ho imparato guardandol­i». Perché ama così tanto la caccia? «Mi fa sentire umile. Mi fa capire che sono, innanzitut­to, una parte della natura. Tempo fa ho portato a caccia un amico che la disprezzav­a. Ne è stato stregato, mi ha detto che, per la prima volta, si era sentito non un osservator­e ma un partecipan­te. Di solito caccio con arco e frecce e il 99% delle volte gli animali scappano, e non prendo niente. È durissima, nel deserto ci sono anche meno dieci gradi, il vento è gelido. Mi sento una parte piccola in un mondo grande». Ha detto che per i suoi libri non fa mai ricerche. «È vero, sono troppo pigro. Di solito scrivo di cose che conosco». Nel Selvaggio contrappon­e i Beatles a Jimi Hendrix. «Quella che racconto è un storia vera: nella scuola privata che ho frequentat­o, i Beatles erano ovunque, li usavano anche per insegnarci l’inglese. Ma sentivo che non avevano niente a che fare con il mio quartiere. Non mi parlavano, non mi dicevano niente di importante». Nel romanzo, c’è una scena in cui Juan Guillermo entra nella gabbia di una tigre. È una cosa successa a lei? «Non proprio, ma mio fratello, fino a pochi anni fa, cresceva tigri e leoni: quando una tigre veniva maltrattat­a, il governo la affidava a lui che aveva lo spazio per tenerli. Le ho viste da molto vicino, ma non sono mai entrato nella loro gabbia». Le facevano troppa paura? «Non proprio: ricordo che la tigre più grossa amava giocare a nascondino. Si nascondeva e quando ci vedeva arrivare balzava fuori». Nel libro parla di lupi: ne ha mai avuto uno? «Mio padre ne aveva uno che era calmissimo. Io invece avevo un cane ferocissim­o, Coffee, di cui ho parlato in Amores Perros e che, nel Selvaggio, è diventato Colmillo». Lei è stato più volte vicino alla morte, come l’hanno cambiata quei momenti? «La vita mi ha messo di fronte cose di cui, in quanto creatore di storie, non posso che essere grato. In molti si chiedono come possa essere possibile. Dunque. Ho avuto un terribile incidente d’auto, e ora so esattament­e cosa vuol dire che due minuti prima stai ridendo e dopo stai cercando di sopravvive­re. Ho avuto un’infezione al cuore che, per fortuna, non è stata troppo grave, ma mi ha fatto capire cosa significa la possibilit­à di morire quando sei molto giovane». È vero che nell’incidente ha perso il senso dell’olfatto? «Sì, quasi tutto, ma mi aiuto molto con il gusto. Non sento i profumi, non sento i fiori, non sento gli odori più disgustosi». Ha nostalgia di un odore particolar­e? «Mi piacerebbe sentire le persone, anche se molti mi dicono “guarda, in certi casi è meglio così”. C’è una cosa curiosa, però: l’unico odore che riesco a sentire, anche a distanza, è quello dei cinghiali. Non me lo spiego». Lei ha detto che sogna tutte le sue storie. «Sì. Non è la coscienza a scrivere, ma l’inconscio. Vado a letto con delle domande, e mi sveglio con le risposte». È mai stato in analisi? «No. Sono felicissim­o del mio inconscio, non voglio che qualcuno me lo curi». Nel libro riporta una frase di Borges: «La pietra vuol essere eternament­e pietra e la tigre tigre». Sopravvive­re è l’istinto più forte? «Sì, lo vedo a caccia: gli animali non vogliono morire. Anche noi rifiutiamo di morire. E non solo: credo anche che, in fondo, vogliamo rimanere quello che siamo». Ha appena compiuto 60 anni. Bilanci? «Sono stato molto fortunato, sono molto grato, sono stato un privilegia­to. Non ho rimpianti, ho una vita bellissima e lavoro alle cose che amo». C’è una cosa che le manca? «Ho sempre voluto avere un ranch con cavalli, mucche, anatre. Se il prossimo anno le cose, economicam­ente, continuera­nno ad andar bene potrò permetterm­elo. E lo prenderò vicino al confine con il Texas».

«ANDARE A CACCIA CON ARCO E FRECCE MI FA SENTIRE UMILE: IL 99% DELLE VOLTE NON PRENDO NIENTE, MA MI SENTO PARTE DI QUALCOSA DI GRANDE»

 ??  ?? AMORE E VIOLENZA Guillermo Arriaga, 60 anni, autore del Il selvaggio romanzo (appena uscito per Bompiani) e del Bufalo della notte (appena ripubblica­to da Fazi).
AMORE E VIOLENZA Guillermo Arriaga, 60 anni, autore del Il selvaggio romanzo (appena uscito per Bompiani) e del Bufalo della notte (appena ripubblica­to da Fazi).
 ??  ?? Il INTRECCI selvaggio di Guillermo Arriaga (Bompiani, pagg. 742, € 22; trad. di Bruno Arpaia).
Il INTRECCI selvaggio di Guillermo Arriaga (Bompiani, pagg. 742, € 22; trad. di Bruno Arpaia).

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