Mai come James Bond
Nella vita è amico di Daniel Craig e come lui interpreta una spia (in una nuova serie). Ma a MARK STRONG la fama non interessa, «perché sono arrivato al cinema tardi». Dopo anni difficili
Non chiedete a Mark Strong di guidare in Marocco: «Sono matti. Ogni mattina arrivare sul set era un incubo, vedevo solo incidenti per strada». Il set è quello della serie Deep State, dal 9 aprile su Fox, uno spy thriller dove l’attore inglese, 54 anni, è l’ex agente dei servizi segreti Max Easton, coinvolto in una cospirazione internazionale. È una spia molto diversa dall’ultima a cui Strong ha dato il volto, il raffinato Merlino della saga di Kingsman: «Sarà costretto a fare cose terribili», spiega l’attore, al secolo Marco Giuseppe Salussolia («impronunciabile in Inghilterra, dove sono nato») e famoso per i suoi ruoli di cattivo, come il Lord Blackwood di Sherlock Holmes. «Li preferisco, sono diversi da me. Il primo è stato nel 2004 nella serie The Long Firm. Alla Bbc pensavano che fossi troppo gentile per fare un gangster, ma li convinsi e fui nominato per un Bafta. Negli ultimi cinque anni ho interpretato buoni ed è stato noioso». Come si mette in contatto con la sua parte più oscura? «È sempre “a portata di mano”, ma nella vita reale non posso mostrarla: ho un bel caratterino, negli sport divento aggressivo, mi serviva quando giocavo a rugby al liceo». Ha raccontato che la sua infanzia non è stata facile. «Mia madre era austriaca, mio padre italiano, si incontrarono a Londra negli anni ’60. Ma mio padre se ne andò presto e mia madre dovette crescermi da sola, non parlava nemmeno inglese. Andai in collegio a 6 anni e lei si trasferì in Germania. Ho dovuto capire in fretta chi volevo essere». Ha mai cercato suo padre? «No, se n’è andato che ero un neonato, non ha mai fatto parte della mia vita. È stato liberatorio, non avevo nessuno da cui prendere esempio e ho fatto quello che volevo, mi ha reso indipendente». Lei invece che tipo di padre è? «Amo l’efficienza e l’ordine, come mia madre. Anche se con due maschi (Gabriel, 13 anni, e Roman, 10, ndr) vivo nel caos. Quando li vedo litigare, cerco di fare da paciere, ma mia moglie (la produttrice Liza Marshall, ndr) mi dice sempre di lasciarli fare». Ha studiato legge a Monaco, perché ha deciso di fare l’attore? «Il diritto costituzionale era arido, non sarei stato felice. All’università c’erano workshop di recitazione e capii che era quello che volevo fare. Così mi iscrissi alla scuola di teatro in Inghilterra». Recita da anni, ma mantiene un profilo basso. «Sono arrivato al cinema tardi, ero più maturo e non mi interessava diventare famoso. La fama non significa niente e impedisce di avere una vita normale. Fare l’attore vuol dire trasformarsi: meno la gente sa di te, meglio è». Daniel Craig è il padrino di suo figlio. «Siamo diventati amici negli anni ’90 durante le riprese della serie Our Friends in the North. Abbiamo anche vissuto insieme. Daniel è rimasto uguale, ma deve convivere con il successo ogni giorno, non può stare tranquillo neanche al ristorante». Che cosa la spaventa? «L’arroganza, le persone con un ego troppo grande». Nel suo ambiente i grandi ego non mancano. «La maggior parte degli attori sono aperti e genuini, devi esserlo per entrare nei panni di un altro. Ci sono poche mele marce che rovinano la nostra reputazione».