Corri, zombi!
I morti viventi ritornano, più in forma che mai, nel nuovo romanzo di M.R. CAREY. Dove la salvezza arriva su un carro armato molto particolare
Non so voi, ma a me piacerebbe partecipare a un’apocalisse zombi. Camminare guardingo in un supermercato, con i sensi all’erta per ogni rumore. Rovesciare una pila di scatolame e allertare il tontolone ciondolante più vicino. Gridare «corri!» inseguiti dalle mandibole fameliche. Chiudere la porta sulle braccia spasimanti, asserragliarsi, cercare una via d’uscita e dopo, forse, un antidoto. Ecco, con Il ragazzo sul ponte possiamo farlo. Di nuovo, di più. In seguito a un evento chiamato «la Catastrofe» e all’epidemia devastante del fungo Cordyceps, il mondo è diventato una landa deserta: gli Stati Uniti sono andati, l’Europa è un inferno e la Gran Bretagna, dopo aver provato a tappare il tunnel sotto la Manica, è percorsa dagli hungrie, un tipo di zombi parecchio affamati. In questo contesto, si muove una pattuglia di medici e soldati, spedita in Scozia dentro un enorme mezzo cingolato, per cercare di recuperare tessuti e trovare un rimedio. A bordo si distinguono un colonnello soprannominato «l’uomo di fuoco», perché ha bruciato mezza costa inglese con il napalm, un militare indisciplinato, una dottoressa incinta e soprattutto Stephen Greaves, un ragazzino geniale al limite dell’autismo. All’ambiente claustrofobico del carro armato si contrappone la terra desolata, irta di minacce – non solo gli zombi, ma anche bande di nomadi e una nuova forma di misteriosi bambini mutanti – dove i nostri protagonisti devono avventurarsi cosparsi di una sostanza chiamata «anti-e», che ne inibisce gli odori. Agguati, conflitti: tagliati fuori dalla casa base nel sud dell’Inghilterra, è facile immaginare che la tensione tra di loro arriverà a deflagrare. In realtà Il ragazzo sul ponte è un prequel, una storia che finisce lì dove iniziava La ragazza che sapeva troppo, romanzo distopico di grande successo da cui è stato tratto un film con Glenn Close. Classe ’59, appassionato di Romero e della serie tv The Walking Dead, ma anche di Ursula Le Guin, M.R. Carey è un personaggio eclettico cresciuto a pane e fumetti (soprattutto i Marvel, dei quali è riuscito a diventare sceneggiatore per X-Men e i Fantastici Quattro). «Ho imparato a trovare la mia voce imitando i grandi», dice con modestia. S’inserisce in una linea di scrittori come Stephen King e Neil Gaiman: visionari, appassionanti, eccentrici. Gente che si diverte a raccontare storie spaventose e a farci scappare a gambe levate davanti alle gengive sanguinolente di un cugino contagiato. Gli zombi si portano sempre bene, dopotutto, per quanto malfermi. «Corri!».