CAMILA CABELLO, DREAMER ANCH’IO
A sei anni, con la famiglia ha lasciato la sua Cuba e ha attraversato il confine per arrivare a Miami. Oggi, dopo una separazione burrascosa dalla band che l’ha lanciata da teenager, CAMILA CABELLO è la nuova popstar globale che sbaraglia il mercato. E ha qualche messaggio da dare. Il primo a Trump, sui bambini immigrati irregolarmente come lei. E uno alle ragazze: «Imparate a dire di no»
«OGGI QUANDO ESCI CON QUALCUNO, I GRANDI GESTI SONO MENO DIFFUSI, MA A ME NON PIACE. C’È MENO ROMANTICISMO»
L 8 porta bene. Tante popstar diventate «pesi massimi» delle classifiche sono state lanciate proprio negli anni che finiscono in otto. Nel 1988 esplose Kylie Minogue, nel 1998 toccò a Britney Spears, il 2008 fu l’anno di Lady Gaga. Ora è il turno di Camila Cabello, e se al suo nome scrollate le spalle con una certa indifferenza, è meglio che vi soffermiate su alcuni dati relativi al suo album di debutto, Camila, e al primo singolo, Havana. In due mesi dall’uscita, ha raggiunto un miliardo e 300 milioni di ascolti in streaming. «È una follia », esclamale i. Quando scriviamo questo articolo, H avana è la quarantasette si ma canzone più ascoltata di tutti i tempi su Spotify. «Non riesco a crederci», commenta stupita. I suoi fan hanno trascorso l’equivalente di 15.397 anni ad ascoltare su Spotify la sua musica solare, latina e house. «Quanti?». Quindicimilatrecentonovantasette. «Non sta né in cielo né in terra». Camila ha raggiunto il primo posto in classifica in oltre cento Paesi e nel 2017 ha avuto più ascolti di Harry Styles. Come regge tutta questa pressione? «Non mi atteggio da popstar. È il mio lavoro, ma non è quello che sono. Non intendo allontanarmi dal mondo, perché così facendo resti solo, diventi fragile e perdi la sincerità. Io sono attaccatissima alla famiglia. Come ha appena visto, mia mamma mi ha aiutato a mettermi la cintura». Confermo. Mamma Cabello viaggia spesso con lei e le ha sistemato i vestiti prima che iniziasse la nostra intervista a Londra. La ventunenne Camila è rilassata e risponde accucciata in una grande poltrona, fissandoti senza distogliere lo sguardo. Mi accorgerò di quanto sia minuta solo quando si alzerà in piedi a fine chiacchierata. Con voce acuta dice che chiunque la conosca mi confermerebbe che lei è «come una bambina di otto anni», ma in tutta sincerità a me sembra ne abbia 38. Non mi fa l’impressione di un piccolo coniglietto accecato dai fari, piuttosto me la immagino come quella seduta al volante. Per esempio, ha criticato pubblicamente il progetto di Trump di cancellare il programma riservato ai dreamer introdotto da Obama per assicurare una protezione temporanea ai migranti arrivati negli Stati Uniti irregolarmente da bambini. Si tratta di una questione personale, visto che sua madre è cubana, il padre messicano e lei ha attraversato il confine per arrivare a Miami quando aveva sei anni. Ci vuole fegato a esprimere un’opinione che può alienarti molti consensi. Agli ultimi Grammy, di fronte a milioni di telespettatori, ha dichiarato: «Questo Paese è stato fatto dai “sognatori”, dalla gente che insegue il sogno americano». «Ho visto un video sui dreamer», spiega. «Stavano deportando un padre di famiglia che aveva vissuto negli Stati Uniti per 14
anni e veniva rimandato in Messico. Avrebbe potuto essere la mia famiglia. Avrei potuto essere io. Questo è un momento meraviglioso per la musica, gli artisti prendono posizione su quello che accade, che si tratti di #MeToo o di #BlackLivesMatter. Io sono latinoamericana ed è mia responsabilità parlare di temi che conosco. Come potrei stare zitta?». Le parlo della recente sparatoria avvenuta a Parkland, in una scuola della Florida, lo stato dove vive. Gli studenti – molti saranno suoi fan – hanno organizzato una marcia di protesta per la mancanza di controlli sulle armi. Affronterà anche questo argomento? «Certo», risponde parlando più lentamente. «È semplicemente orrendo e spero che le cose cambino presto. Da troppo tempo aspettiamo che si faccia qualcosa, è una mancanza di rispetto nei confronti della vita umana, non crede? La cosa peggiore è che queste cose possano accadere senza che nessuno intervenga per impedirlo».
Sembra un’altra persona rispetto alla quindicenne che voleva diventare una popstar e partecipò alle selezioni per X Factor negli Stati Uniti. Fu inserita nelle Fifth Harmony, il gruppo con cui ha pubblicato due album prima di andarsene nel 2016. Dice di aver lasciato perché aveva scritto canzoni che non voleva dare ad altri. Erano il «succo», la sua anima. Avrebbe desiderato una separazione meno conflittuale? Durante una performance televisiva, le altre componenti della band gettarono platealmente un manichino (ovvero la Cabello) giù dal palcoscenico all’inizio di una canzone. «Ovviamente sì. Ma è una cosa del passato. Faccio loro i miei migliori auguri, sinceramente». Consiglierebbe a un aspirante cantante di partecipare a un talent? «Se non avessi fatto i provini per X Factor, nulla al mondo mi avrebbe fatto arrivare dove sono», è il suo modo di rispondere sì. «La mia famiglia non avrebbe mai potuto permettersi di pagarmi l’aereo per andare a incontrare un produttore». Dopo aver lasciato le Fifth Harmony, la Cabello disse che l’immagine del gruppo era diventata troppo sexy. Ma la musica di oggi non è tutta così, soprattutto per le ragazze popstar? «Quando sei giovane e non sai come funziona, ti sembra di essere obbligata a fare certe cose, altrimenti saranno guai. Invece bisogna essere capaci di dire: “Questo non mi sta bene” e poi accettare le conseguenze, qualunque esse siano». L’album è pervaso da un senso di maturità, non molto diverso da quello di Anti di Rihanna, un lavoro dai toni adulti: sono entrambi dischi caratterizzati da ritmi lenti, parlano della gioia e dei problemi dell’amore più profondo. Real Friends e All These Years mostrano una sicurezza che va oltre l’età della Cabello, mentre Havana e Never Be the Same sono state pensate per essere delle hit. Il ritornello di quest’ultima è «Just like nicotine, heroin, morphine... You’re all I need» («Come nicotina, eroina, morfina... Sei tutto quello che mi serve»). Cercava di farsi notare? «No», ribatte convincendomi a metà. «Per me erano versi innocui, non mi sono mai drogata, era il mio modo di dire “l’amore è la mia droga”. Ma quando l’hanno sentito mamma e papà mi hanno subito fermata: “Non puoi cantare questa roba”. Ho una sorella di 10 anni, “immagina di sentire Sofia che ripete queste parole”. Non ci avevo pensato e sono andata in crisi». Alla fine ne ha realizzato anche una versione più soft per i fan più giovani. I suoi fan sono in maggioranza ragazze dai 17 ai 19 anni. «Ah, fantastico». Usano moltissimo l’hashtag #love sui social media, come fa a piacere loro? «Oh, non ne ho proprio idea», ride. «Forse perché non ho paura di utilizzare parole romantiche, un po’ fuori moda per chi ha la mia età?». Ma uscire con qualcuno non è forse diventato meno romantico? E le canzoni non rispecchiano questa situazione? «Al cento per cento. C’è meno tensione. Meno romanticismo. I grandi gesti sono meno diffusi. Ma a me non piace».
Camila, una ragazza più matura della sua età in un settore che cerca disperatamente di stare al passo con i tempi, è entrata nella musica in un momento molto complicato. Le popstar sono sotto gli occhi di tutti e qualsiasi loro opinione appena meno che politicamente corretta viene subito trasformata in una gogna. È già stata hackerata con la pubblicazione di un suo scambio esplicito con un fidanzatino ed è stata accusata per aver utilizzato affettuosamente l’espressione «ma nigga» (il mio negretto) per descrivere Obama. Si giustifica dicendo che aveva solo 15 anni quando scrisse quelle parole e che ora ha imparato la lezione. Esiste un modo per proteggere la sua reputazione o la gente cercherà sempre di farla sbagliare? Si ferma, non capita spesso. «La seconda», dice rassegnata. «Questo è il motivo per cui non frequento i social. Non è possibile vivere senza commettere errori o senza dire qualcosa di sbagliato. Non voglio vivere come la perfetta cantante pop. Sono un essere umano e questo continuo esame pubblico è disumano. Voglio stare lontana da tutto quello che non mi permette di vivere come chiunque altro». Entra sua madre e le sorride orgogliosa. A Cuba faceva l’architetto, ma ha preferito lavorare in un negozio di calzature a Miami mentre il marito lavava auto. Avevano un sogno, proprio come la figlia: che cosa c’è di più americano?
«NON È POSSIBILE VIVERE SENZA FARE ERRORI E QUESTO CONTINUO ESAME PUBBLICO È DISUMANO: ECCO PERCHÉ NON FREQUENTO I SOCIAL»