Vanity Fair (Italy)

AD AGIRE DI NUOVO»

«TRUMP HA FATTO A TUTTI UN REGALO: CI HA ISPIRATO

- di FERDINANDO COTUGNO foto ANNIE LEIBOVITZ

Davanti al suo pubblico JOAN BAEZ è ancora adesso la «cantante di protesta», proprio come negli anni Sessanta quando cantava (con un certo Dylan) di pacifismo e lotta alla guerra in Vietnam. Oggi che il cavolo nero ha preso il posto dell’erba, è tempo di altre battaglie, come opporsi alle armi e al riscaldame­nto globale. E magari cambiare il mondo (come un certo Jobs)

Joan Baez si sta regalando un lungo, lentissimo addio alla musica. Il 2 marzo è uscito il suo nuovo album, Whistle Down the Wind, e ora è impegnata nel suo ultimo tour, che la porterà ad agosto in Italia (Verona, Roma, Udine e Cuneo). «Quando sarà tutto finito, avvertirò la nostalgia. Ora penso solo a fare un passo dopo l’altro per arrivarci. La voce è un muscolo, e il mio muscolo è molto stanco, mi ha chiesto di fermarmi, glielo devo», ci spiega da Stoccolma, dove è appena partito il giro degli addii: «Voglio dedicarmi alla pittura, quando sarò a casa». È difficile immaginare il mondo della musica senza questa figlia dei quaccheri, che esordì al Newport Folk Festival nel 1959. Joan Baez ha 77 anni: da Eisenhower a Trump non ha mai smesso di combattere. Come ha messo insieme questo album? «Trump ha fatto a tutti un regalo, ci ha ispirato di nuovo ad agire. Se c’è qualsiasi cosa che io posso fare per far deragliare il treno dei suoi pensieri, lo farò, e questo è il mio tentativo. Le canzoni le ho scelte con questa idea, qualcuna l’ho richiesta, altre sono piovute dal cielo, come quella di Tom Waits». Siete amici? «Non proprio, non ci vediamo da cent’anni, l’ultima volta eravamo su un aereo, mi sento toccare sulla spalla, c’è lui, mi guarda e dice: “Grazie, Joan”. E poi va via. Così». Quanti oggetti della sua vita in tour ha conservato? «Non abbastanza. Ogni tanto mi aggiro per casa e trovo pezzi del passato, ho un pezzo della biblioteca di Sarajevo che era stata incendiata, ho il casco di un pompiere e avevo la scheggia di un bombardame­nto ad Hanoi, in Vietnam, che trovai nel rifugio dell’albergo dove alloggiavo, il Metropole. Aveva la forma di un uccello, dopo quarant’anni l’ho restituita, oggi è in una teca». Quanto è cambiato il carrozzone rispetto ai primi anni? «Tutti fumavano erba e sniffavano cocaina, e poi all’improvviso la cocaina è sparita ed è apparso il cavolo nero, sono diventati tutti fissati con la salute e il cibo sano». E lei? Quanto è diversa oggi? «Oggi è tutto facile, sono anziana e non ho più paura del palco, non sento più il peso del mondo sulle spalle e finalmente mi diverto. Davanti al pubblico sento che sono la Storia, e quando rappresent­i la Storia non devi dire molto, bastano due frasi sulla protesta del momento e loro sono contenti». Le stava stretta la definizion­e di cantante di protesta? «Ho cantato molte canzoni, alcune erano di protesta in un tempo in cui si percepiva il cambiament­o nell’aria. Se dedicavo a mio marito in prigione una canzone di Merle Haggard, quella diventava una canzone di protesta. Ma era il contesto a renderla tale, più che il contenuto. All’epoca tutto era protesta». Uno dei suoi ex è stato Steve Jobs, che è forse la persona che più ha cambiato la musica negli ultimi anni. In meglio o in peggio? «Se pensa che Steve non voleva che i suoi figli avessero un iPhone... L’ultima volta che l’ho visto, era già molto malato. Ci siamo seduti in veranda, gli ho chiesto: “Be’, Steve, come ci si sente ad aver cambiato il mondo?”». Che cosa le ha risposto? «Mi ha detto: “Bah, che vuoi che ti dica? È stato ok”». Era appassiona­to di musica? «Non sapeva suonare niente, ma possedeva il miglior pianoforte che i soldi potessero comprare. Voleva che gli insegnassi qualcosa, ma non funzionò. Una volta litigammo, era convinto che un’intelligen­za artificial­e potesse comporre e suonare musica meglio di Brahms. Ma magari aveva ragione lui». La vede in arrivo un’altra Joan Baez? «Mia nipote. Ha 14 anni, vuole fare la cantante. Tre giorni fa mi ha mandato un messaggio, voleva un consiglio su come organizzar­e una manifestaz­ione contro le armi nella sua scuola. Le ho mandato dei suggerimen­ti, un pippone lunghissim­o, infatti non mi ha risposto. È la sua prima manifestaz­ione, troverà il suo modo da sola». La lotta contro le armi sarà il loro Vietnam? «Credo che il Vietnam di questa generazion­e sia la lotta contro il riscaldame­nto globale. Ma è solo il mio parere. Tutti devono scegliersi il proprio Vietnam, ognuno ha la sua battaglia. Ma il fatto di non sapere se mia nipote potrà vivere su un pianeta abitabile è terrifican­te. Io le auguro un 85 per cento di inconsapev­olezza, altrimenti si ucciderebb­e ora, e il resto di battaglia per cambiare le cose». Le piace la musica di oggi? «Oggi non c’è la musica, c’è l’industria dell’intratteni­mento. Ci sono voci che mi piacciono, come quella di Adele, ma servono canzoni con un significat­o, che sappiano guidare le persone. Credo che la gente oggi stia aspettando un’altra Blowin’ in the Wind. Ma temo che non arriverà mai». Forse dall’hip hop. «Io non credo, magari i rapper hanno talento e cose da dire, ma non hanno bellezza». A proposito di Bob Dylan, il Nobel è stato un premio alla sua generazion­e? «È stato bellissimo. Ero commossa, è sempre stato il migliore di tutti noi. Ogni sera che ascolto la radio spero che a un certo punto passino una sua canzone». Quando è stata l’ultima volta che vi siete parlati? «Guardi, sarà stato trent’anni fa, e non ricordo nemmeno cosa ci siamo detti». Lui ha detto cose molto belle e nostalgich­e su di lei in una recente intervista. «Erano parole molto gentili, mi hanno davvero sorpreso, penso fosse strafatto». TEMPO DI LETTURA PREVISTO: 7 MINUTI

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 ??  ?? CANTALA ANCORA BOB Joan Baez nel 1965 a Londra con Bob Dylan, oggi 76 anni, quando formavano coppia artistica e sentimenta­le. A destra, la cover del suo nuovo album, a cui ha collaborat­o anche Tom Waits.
CANTALA ANCORA BOB Joan Baez nel 1965 a Londra con Bob Dylan, oggi 76 anni, quando formavano coppia artistica e sentimenta­le. A destra, la cover del suo nuovo album, a cui ha collaborat­o anche Tom Waits.
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