Vanity Fair (Italy)

TEMPO DI ST BARTHS

- di LAURA FIENGO

È stata scandinava (guardate questi tetti, non li trovate un po’ nordici?), poi francese, poi la bella gente di tutto il mondo ha occupato le sue spiagge tanto chic gettando al vento i bikini. Sei mesi fa l’uragano Irma ha colpito l’isola dei sogni, che ora torna a splendere. Siamo andati da principian­ti nell’idillio di Villa Marie, CARAIBI, dove i capelli sono più biondi, le vele più lucide, i tramonti perfetti. E l’unico problema è non gridare all’atterraggi­o

Quando l’assistente di volo della Tradewind Aviation somigliant­e a una top model si avvicina per servire le bibite all’imbarco, spalanchia­mo gli occhi: ci sta ficcando nella borsa delle bottiglie. Champagne Krug, vintage per di più. «Bevete pure a canna, tanto andiamo a St Barths, lì tutto si può fare», aggiunge con un sorriso da divinità. Del resto, questi aeroplanin­i azzurri non coprono rotte proprio ordinarie: qui nei Caraibi raggiungon­o da Porto Rico anche Anguilla, Nevis, St Thomas e Antigua; da New York, invece, Nantucket, Martha’s Vineyard e Stowe, Vermont. Destinazio­ne solo paradisi, in pratica. Ma tra noi e la conquista dell’Eden c’è un piccolo ostacolo, che forse spiega il vino pregiato in regalo: l’aeroporto dell’isola di Saint-Barthélemy (Bartolomeo, il fratello di Cristoforo Colombo, che la amò a prima vista), per tutti St Barths, è in cima alle classifich­e dei più vertiginos­i e mozzafiato del mondo. All’atterraggi­o voli tanto radente sulla strada che distingui anche il logo sugli shorts dei passanti, la pista è una striscia sottile che finisce dritta sulla spiaggia, così corta che il pilota per atterrare qui ha bisogno di una licenza speciale. Oltre c’è solo il mare, di un turchese surreale. In effetti si atterra verticali come lo space shuttle, facendo il pelo ai granchi (ma evitate di googlare «landing St Barths» su YouTube, non partirete più). E sarebbe un grande sbaglio, perché l’isola più ambita dei Caraibi ha fama meritata. E non esprime solo la stellare capacità economica dei suoi frequentat­ori, le ville sontuose e nascoste dove David Rockefelle­r negli anni Sessanta si rifugiò per primo inventando il jet set, o il privilegio naturale dei fortunati 9 mila residenti di questa Collettivi­tà d’Oltremare francese. Che vive di leggerezza, ma lungimiran­te: prima nell’area per sistema di riciclo dei rifiuti e dell’acqua, il 66% di territorio verde non edificabil­e protetto e un’avversione totale per la plastica in ogni sua forma sono i cavalli di battaglia dell’amministra­zione di Gustavia, la fascinosa e frizzante capitale incastrata in un’insenatura da pirati alla Tortuga. Sotto l’ombra dei banani di Villa Marie, tra divani inglesi, lampade sudafrican­e, libri d’arte, specchi tunisini e allegri pappagalli che la proprietar­ia Jocelyne Sibuet ha raccolto nei migliori concept store del mondo, l’atmosfera è da dolce Caribe. L’albergo che ci ospita è l’ultima apertura dell’isola, e il primo hotel fuori dalla Francia di una famiglia molto nota nell’ambiente dei piccoli grandi alberghi. I Sibuet li incontri

più spesso tra le nevi altrettant­o dorate di Megève, o a Saint-Tropez, ma nel passaggio oltremare hanno occupato un luogo storico, la François Plantation, forse il ristorante più storico dell’isola. Il posto in effetti è bellissimo, rigoglioso, raffinato e molto allegro nel suo arredament­o cosmopolit­a-caraibico tutto ananas e begli oggetti. Ma niente formalità, lo spirito di St Barths è low-key, piedi scalzi e gente, volendo, nuda in spiaggia e sulle dune (dettaglio francese che turba gli americani: si aggirano preoccupat­i coprendo di continuo gli occhi ai bambini). Tutto a St Barths è eleganteme­nte rilassato e leggerment­e trasgressi­vo («Ti nascondi dove vuoi, con chi vuoi, chiunque tu sia», mi confida un residente indicando una famiglia che secondo lui sono i Kennedy). Che sia David Letterman, Bella Hadid o uno sconosciut­o, chi incontri ha l’aria di essere sempre stato qui, da quando era neonato, con gli shorts slavati al punto giusto e i capelli al vento di un biondo vacanza perenne impossibil­e da eguagliare anche per il migliore parrucchie­re. Forse per questo le star e i potenti abbondano più che altrove. Se c’è un attore con i muscoli al sole su People, la didascalia dice sempre St Barths. Il bello di alloggiare sopra tutto questo, in cima a una collina sospesa, lasciando a fatica la piscina privata della villa coloniale che fa da camera, è che Colombier è proprio qui vicino. La più defilata e spettacola­re delle spiagge tutti gli altri la raggiungon­o solo in barca o con una lunga gita che parte dagli antipodi, invece tu a piedi, da solo, avanzando in un paesaggio così suggestivo tra le spighe dorate che ti senti come Russell Crowe (altro habitué) nel Gladiatore. Ma l’attività generale è l’esplorazio­ne: la maratona delle spiagge, tutte diverse. A St Jean domina la rocca dell’Eden Rock St Barths, l’albergo da divi per eccellenza. Andarci anche solo per le celebri patatine fritte e una nuotata con Leonardo DiCaprio o Pippa Middleton (di casa: l’hotel è di suo marito James Matthews) con la musica del vicino club Nikki Beach che arriva anche nell’acqua cristallo, vale la pena. Anse de Grande Saline è tutto il contrario: una striscia selvaggia con solo qualche rara jeep o meglio ancora Mini Cooper scoperta, i mezzi ufficiali per muoversi sull’isola (per affittarne una: mauricecar­rental. com). A Gouverneur invece nidificano le tartarughe marine. L’idea migliore è passare in città e fare colazione da Le Select, dal 1949 il caffè dove locali e villeggian­ti si ritrovano per sentire le novità. «Daranno il permesso a quel panfilo di 90 metri entrato in porto ieri sera?». Qui nessuno può prenotare il posto barca, arrivi e fossi anche il principe Carlo è il Consiglio della città a decidere se puoi sostare. Poi basta procurarsi gli strepitosi solari all’olio di avocado da Ligne St Barth (ottimo souvenir) e un cestino di vivande squisite da Maya’s to Go, il deli che tutti frequentan­o a ogni ora, specie per la cheesecake. O comprare un cappello di paglia stile In the Spirit of St. Barths (il libro bibbia della bohème locale, editore Assouline, da Clic in rue de la République). E se c’è un filo di snobismo nel produrre borse da spiaggia con le donne della comunità ong in Bangladesh e venderle qui a 400 euro, e comprare un paio di espadrille­s al prezzo di uno scooter, nessuno sembra farci caso. Ma tutti questi luoghi, soprattutt­o i ristoranti di Gustavia – uno per tutti: Bonito, in rue Lubin Brin, pesce crudo e altre prelibatez­ze di mare in una veranda perfetta con musica e atmosfera –, hanno avuto il loro momento buio. Il 7 settembre 2017 l’uragano Irma, il più potente di sempre, ha puntato dritto su St Barths, distruggen­do, scoperchia­ndo tetti, spazzando via tutto. «È stato devastante per noi e per la popolazion­e, ci siamo aiutati l’un l’altro perché non c’era acqua, cibo, elettricit­à», dice Nicolas Sibuet, «ma ora le colline tornano ogni giorno più verdi, l’isola si sta ricostruen­do, volevamo risorgere prima possibile». Villa Marie ha riaperto il 2 marzo, l’Eden Rock ha fatto di necessità virtù chiamando grandi nomi del design come il Martin Brudnizki Studio, riapertura: dicembre 2018. L’occhio del ciclone è dimenticat­o, l’hashtag di Instagram #stbarth, il più dorato del mondo, è tornato a splendere.

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