Vanity Fair (Italy)

COME NON AMARE JEFF

Come si fa a diventare una delle rare star del cinema di cui si parla solo con affetto? Chiedere a JEFF GOLDBLUM che sul suo essere simpaticam­ente eccentrico ha costruito una solida reputazion­e di attore. Lui però è convinto che il meglio debba ancora arr

- di ENRICA BROCARDO foto PEGGY SIROTA

«vado a dormire al più tardi alle 10 e la mattina mi sveglio verso le 5. per prima cosa mi dedico ai miei esercizi: suono il piano e canto tre quarti d’ora»

U Un completo blu elettrico che sembra cucito e stirato addosso, il ciuffo grigio phonato di fresco. «Mi sono tutto agghindato perché devo posare per un servizio fotografic­o», anticipa tra il compiaciut­o e l’apologetic­o. Jeff Goldblum avanza quasi danzando sulle sue gambe da fenicotter­o. E quando si siede continua a coreografa­re le risposte. Un balletto di movimenti lenti e studiati del corpo, mentre sul volto si susseguono sorrisi che durano un secondo più del dovuto, estasi un tantino eccessive, dimostrazi­oni di attenzione che, a ripensarci dopo, erano un po’ sopra le righe. In oltre quarant’anni di carriera, l’attore si è costruito una salda reputazion­e di eccentrico. Intendiamo­ci, in senso buono. Come si fa a non amare una star del cinema che ogni tanto ferma la macchina davanti a una comitiva di turisti, di quelli in tour per vedere le case dei divi di Hollywood, tira giù il finestrino, gesticola tipo «guardatemi, sono io» e scende a fare selfie? E che l’estate scorsa, a Sydney, ha aperto un camioncino di sandwich chiamato Chef Goldblum’s? Come se non bastasse, Jeff Goldblum parla tantissimo. Se un concetto si può esprimere in cinque parole, lui ne usa venti. Abbonda di metafore e iperboli, sviscera ogni argomento immaginabi­le. I calzini, per esempio, sui quali ha le idee molto chiare: mai di lana perché ti fanno prudere i piedi, mai sintetici o troppo attillati «per evitare l’effetto collant». «Un dessert da mangiare a cucchiaiat­e» è la sua definizion­e dell’Isola dei cani, film che ha aperto il festival del cinema di Berlino lo scorso febbraio e che arriva al cinema dal 1° maggio, nel quale dà la voce a uno dei protagonis­ti a quattro zampe. Realizzato con la tecnica stop-motion – niente computer grafica, solo pupazzi e modellini in scala – il film, scritto e diretto da Wes Anderson, con il quale aveva già lavorato, in carne e ossa, nelle Avventure acquatiche di Steve Zissou del 2004 e Grand Budapest Hotel, uscito 4 anni fa, è una favola politico-animal-ambientali­sta incentrata sulla messa al bando di tutti i cani da un’immaginari­a metropoli giapponese. Goldblum ha un’aria deliziata mentre ne parla («Anche se non avessi avuto nulla a che fare con questo film, lo divorerei») ed è altrettant­o entusiasta del regista, per il quale inanella una serie di aggettivi: «È autentico, gentile, geniale, generoso, una persona per bene, assolutame­nte adorabile. Ed è un grande studioso di cinema, ogni volta che lavoro con lui imparo tantissimo: film che non avevo mai visto, libri da leggere». Ma c’è un argomento che, se possibile, lo entusiasma ancora di più: i suoi figli. Dopo due matrimoni finiti in divorzio – nell’ordine con Patricia Gaul e Geena Davis – si è risposato una terza volta, nel 2014, con Emilie Livingston, un’ex atleta olimpica di ginnastica ritmica, 30 anni più giovane di lui. E per la prima volta è diventato padre di due bambini: Ocean di 2 anni e mezzo e River Joe, uno ad aprile.

Come sta vivendo la paternità?

«Adoro i miei figli, li trovo spettacola­ri. La loro nascita ha reso ancora migliore la relazione tra me e mia moglie, vivere questa esperienza insieme rafforza il nostro legame. Certo, due bambini piccoli richiedono un notevole dispendio di energie». Lei, comunque, è in ottima forma. «Per fortuna, sto bene. E avere una famiglia mi piace. Sono sempre stato un tipo disciplina­to, coscienzio­so, motivo per cui apprezzo lo stile di vita che i miei figli m’impongono. Ogni sera ho una buona ragione per andare a letto perché anche se non sono su un set, ogni giorno è un giorno di lavoro. Vado a dormire al più tardi alle 10 e la mattina mi sveglio verso le 5. Per prima cosa mi dedico ai miei “esercizi”: suono il piano e canto per tre quarti d’ora, mi alleno un po’ in palestra. Verso le 6 e mezza li sveglio, mi do una sistemata e li accompagno all’asilo». L’isola dei cani è un film che può piacere anche ai bambini. Ha già deciso quando guardarlo con loro? «Un giorno lo faremo ma, per ora, i miei figli non hanno ancora visto un film, non hanno accesso alla tv, non possono giocherell­are con iPad, telefonini, niente che sia dotato di uno schermo. Mia moglie e io pensiamo che sia giusto così. Non molto tempo fa mi domandavo quale dovrebbe essere il primo film della loro vita. Ne ho discusso con Tilda Swinton che è una mamma meraviglio­sa e che parla spesso dei suoi figli, due gemelli, che adesso hanno vent’anni. Mi ha detto: “Ai miei, quando erano piccoli, ho fatto vedere Buster Keaton”. Giusto, perché se cominciano con i film nuovi poi non vogliono tornare indietro a quelli vecchi». Altre regole che si è dato come genitore? «Oddio, in questo campo sono uno studente agli inizi. Vediamo, si parla spesso di quality time e sono d’accordo, ma anche la quantità del tempo che trascorri insieme conta. E devi premurarti che siano al sicuro, per questo abbiamo risistemat­o casa per evitare che possano farsi del male. Dall’altra parte, però, i bambini vanno lasciati liberi di fare quello che vogliono. Non metterti in cattedra. Scoprire da soli come si fanno le cose li aiuta a sviluppare la sicurezza in se stessi. Che altro? Scherzo con loro tutto il tempo. Li faccio ridere e intanto tengo in esercizio il mio senso dell’ironia». Parliamo di lavoro: che cosa prova quando guarda indietro alla sua carriera? «I miei genitori non avevano nulla a che

fare con il mondo dello spettacolo ma ogni estate mi iscrivevan­o a campus estivi di arte, teatro, ballo. Ho cominciato a sognare di fare l’attore fin da bambino ma non avrei mai avuto il coraggio di dirlo a nessuno. E quando ho cominciato a studiare recitazion­e a New York non ero meno sbalordito alla prospettiv­a di potermi guadagnare la vita con un mestiere così improbabil­e. Eppure, miracolosa­mente, è successo. Faccio l’attore da molti anni ma, in un certo senso, mi sento di essere “sbocciato tardi” e sono convinto che il meglio, per me, stia per arrivare». Per parecchio tempo l’hanno considerat­a l’attore da ruoli stravagant­i. Ha fatto fatica a scrollarsi l’etichetta di dosso? «Il mio insegnante di recitazion­e diceva: “Non imitare nessun altro. Trova la tua voce”. Ed è quello che ho cercato di fare. Col passare del tempo, però, mi sono reso conto di essere un po’ troppo eccentrico. Non volevo essere solo Mister Strambo, per cui ho cercato di autocorreg­germi per andare incontro alle richieste del “mercato”». Strambo o no, basta dare un’occhiata su Internet per capire che lei è una delle poche star del cinema di cui la gente parla solo con affetto. Ride. «Non sono mai stato molto presente sui social media ma, da qualche tempo, sono su Instagram. Posto qualche immagine, cerco di scrivere cose divertenti e vado a controllar­e che cosa pubblicano le persone sul mio conto: trovo foto che mi hanno scattato in giro, selfie e persino qualcuno che si è fatto tatuare la mia faccia. Ho scoperto che esistono tazze e tende da doccia con il mio ritratto. Ogni volta che trovo qualcosa di nuovo, vado da mia moglie: “Ehi, guarda qui”. Ma lei non sembra mai particolar­mente impression­ata. Il massimo che ottengo è un “ah, bene”».

«tilda swinton ai suoi figli piccoli faceva vedere buster keaton. giusto: se iniziano con i film nuovi, non vogliono tornare indietro a quelli vecchi»

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