Vanity Fair (Italy)

IO NON HO PAURA (DI SALVINI E DI MAIO)

In attesa di una sentenza sul caso Dj Fabo, oggi MARCO CAPPATO continua la battaglia per eutanasia e staminali. Ottimista? Sì, perché «chi ha vinto le elezioni non farà retromarci­a sulle leggi già approvate»

- Di SILVIA BOMBINO

CÕè un mappamondo, grande, di legno, all’ingresso. «Il mondo mi ha sempre interessat­o», spiega Marco Cappato, che è appena tornato nella sua casa milanese dal Palazzo di Vetro di New York. All’Onu – il tesoriere dell’associazio­ne Luca Coscioni, ex eurodeputa­to radicale e in attesa che entro fine anno la Corte Costituzio­nale si esprima sul fatto che ha accompagna­to Dj Fabo a morire in Svizzera – ha parlato di «diritto alla scienza», lo stesso tema del quinto Congresso mondiale per la libertà di ricerca scientific­a, che si terrà al Parlamento europeo, a Bruxelles, dall’11 al 13 aprile. Che cosa c’entra Cappato con la scienza me lo spiegherà diffusamen­te in salotto, mentre il cane Luigi cercherà di mangiarmi la borsa. Non ha figli, Marco Cappato, ma se arrivasser­o ne sarebbe felice. Più che altro per «rivedere il mondo con gli occhi di chi lo vede per la prima volta». Il suo ricordo più bello, e qui torniamo al mappamondo, risale a quando aveva 11 anni e partecipò a un programma dell’Unesco che si chiamava Children’s Internatio­nal Summer Village. «Fui spedito dai miei genitori a Göteborg, selezionat­o per andare a fare questo campeggio mondiale in Svezia. Si immagina? Un ragazzino per la prima volta in un Paese straniero, in mezzo a bambini coreani, brasiliani, irlandesi, iraniani, canadesi, in un grande centro per malati mentali, anche gravi, che in agosto chiudeva. Era in mezzo a una foresta, c’era un lago, per tutto il giorno dovevi solo giocare. Quando finì, ho il ricordo di questa massa di gente che piangeva disperata. All’epoca non ne avevo la consapevol­ezza, ma quell’esperienza mi ha insegnato che, pur diversi, siamo tutti uguali».

In Svezia a 11 anni, in politica a 19. È sempre stato precoce? «Sì, sono anche andato a scuola a 5 anni. All’epoca anticipare l’ingresso alle elementari si poteva fare solo nelle scuole private. Sono andato in un collegio cattolico, dove ho appreso un po’ più di laicità. Il preside era un prete che fu allontanat­o perché aveva l’amante. Raccontava le barzellett­e a messa, non era un esempio di catechesi». A 23 anni, dopo la laurea in Bocconi, è andato a vivere a Bruxelles. «Mia mamma si era iscritta al partito radicale e ricevevamo a casa il giornalino del partito. Io buttavo un occhio, mi interessav­a molto la posizione antiproibi­zionista. Mi colpiva il fatto che se noi ragazzi ci trovavamo in compagnia e girava qualche canna, questo doveva essere un motivo di preoccupaz­ione. Per me era una cosa evidenteme­nte insensata. Quando Marco Pannella, che avevo conosciuto tramite la militanza politica di mio fratello maggiore, mi chiese di andare a lavorare per il partito in Belgio, non me lo feci ripetere due volte». Ormai è uscito dai Radicali, ma alle ultime elezioni ha sostenuto Emma Bonino e +Europa che però non ha superato il 3%. L’Europa non è un tema popolare evidenteme­nte. «Ci sono quattro eletti in Parlamento. Sapevamo che gli argomenti vincenti delle elezioni sono l’immigrazio­ne e le tasse». L’associazio­ne Coscioni, per cui lavora, ha fatto la campagna «Ti voto se ti impegni», un appello ai politici perché si impegnasse­ro su 9 temi, dalla ricerca sulle staminali all’eutanasia, nella prossima legislatur­a. Hanno aderito in pochi, «solo» 58 candidati. Anche queste non sono priorità? «Lo sono, ma questi temi spaccano all’interno i partiti e le coalizioni, sono i capi a non volerne parlare. Il Gazzettino dice che il 73% degli elettori a Nordest sono favorevoli all’eutanasia, e tra questi il 78% votano Lega e il 76% Fratelli d’Italia. Persino gli elettori più conservato­ri quindi sono favorevoli, e queste leggi quando si va a votare passano sempre. Il problema è che è difficile arrivare a votare. Per il testamento biologico siamo partiti fuori dal Parlamento, alla fine c’erano 300 parlamenta­ri favorevoli e la legge è passata con un voto trasversal­e ai partiti. Ora, agli eletti che hanno risposto ai nostri 9 punti proporremo un’agenda precisa, partendo da due proposte di legge di iniziativa popolare che sono già depositate: la legalizzaz­ione delle droghe leggere e l’eutanasia legale». L’eutanasia non è una battaglia più ardua? «Forse, ma non si può per sempre rimuovere il dato di fatto che la morte, ormai, è un fatto medico. La morte improvvisa – per un incidente, un infarto – è marginale, sostituita da un processo che può durare mesi o anni. Quindi come tutte le cose della vita che durano mesi o anni, voglio decidere su quelle cose». Crede agli allarmi di chi vede l’ascesa di Salvini, contrario al testamento biologico, e quella del nuovo presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati, contraria alle unioni civili, come una minaccia a quelle leggi? «Fare retromarci­a su leggi che hanno una popolarità del 70-80%, ripeto, non conviene. Confido piuttosto nel presidente della Camera Roberto Fico che nel suo discorso di insediamen­to ha citato l’impegno a discutere le leggi di iniziativa popolare». A inizio marzo, qualche giorno prima delle elezioni, è andato all’Onu, a New York, a parlare di libertà di scienza. Ora andrà a Bruxelles a riparlarne. Perché si occupa di questo? «Sta cambiando la natura umana e sociale e nessuno ne parla: basti pensare alle malattie oggi curabili grazie alla ricerca sul genoma e alla robotica. Oppure allo stravolgim­ento del mondo del lavoro con l’intelligen­za artificial­e. Dobbiamo godere del progresso scientific­o e tecnologic­o, quindi va sancito giuridicam­ente un “diritto alla scienza” – che è legato al corpo come altri diritti umani classici, che riguardano la tortura, la pena di morte, la schiavitù, la fame, la violenza – ma non è monitorato e quindi riconosciu­to. Un diritto che va letto anche come diritto degli scienziati a esercitare la ricerca scientific­a, anche in termini di finanziame­nto. La Cina ormai sta superando l’Europa come investimen­ti, e guarda caso non si tratta di un regime democratic­o». Perché la democrazia è legata alla scienza? «Perché in questo momento di avanzata dei populismi e delle fake news, solo il metodo scientific­o può arginare la crisi della democrazia. Non servono governi di tecnici, basterebbe creare dei meccanismi di verifica delle proposte di legge prima e sui loro effetti dopo, basati su dati certi». Il populismo vive di dati falsi: l’invasione degli immigrati, la pericolosi­tà dei vaccini, il costo dello stare in Europa o meno. «Infatti la comunità scientific­a britannica è stata la prima ad allarmarsi sugli effetti negativi della Brexit. I nostri scienziati dovrebbero evitare che queste politiche populiste si facciano su dati falsi». È preoccupat­o per l’Italia? «Non mi preoccupo, me ne occupo, diceva Pannella. L’ex ministro della Giustizia Orlando che, contro le fake news, dice: “Istituirem­o un’unità speciale di polizia e chiederemo a Facebook maggiori controlli”, significa che o usa la censura o l’autocensur­a affidata a un privato. Cioè non ha capito niente di come funziona».

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