Vanity Fair (Italy)

IL TERZO FRATELLO

Storia di un video nato quasi per caso, narrata in prima persona da uno dei nostri cantautori più famosi. Protagonis­ti a sorpresa, per la prima volta, i fratelli Rosario e Beppe Fiorello, diretti da Gabriele Muccino

- Di BIAGIO ANTONACCI

Volevo un film. Un piccolo film che raccontass­e la tenerezza dell’amore tra fratelli. Un amore mai espresso fino in fondo, sempre un po’ danneggiat­o dai tormenti della vita. Volevo un film che desse forma visiva a una canzone che ho appena scritto, Mio fratello, e che non fosse un semplice video, ma la storia per immagini di un incontro primaveril­e tra fratelli. Ho pensato a lungo a come realizzarl­o e poi mi è venuto in mente che forse avrei potuto chiedere a Rosario Fiorello e a suo fratello Beppe. Due consanguin­ei che, pur facendo quasi lo stesso mestiere in forme diverse, non avevano mai recitato insieme. Rosario, così devastante che quando appare in television­e cancella anche la tv stessa, l’avevo conosciuto bene all’inizio degli anni ’80. Per primo, fidando nei sogni impossibil­i che a volte diventano realtà, ho telefonato a lui. Sorprenden­domi, mi ha detto subito di sì. Facendomi un regalo più grande del video stesso. Poi abbiamo chiamato uno strepitoso attore contempora­neo, Beppe, e un grande regista internazio­nale come Gabriele Muccino e ora, dopo aver ottenuto il loro sì, tra pochi giorni, questo sogno in salsa siciliana, un video che mi ha fatto sentire in qualche modo il terzo fratello di Rosario e Beppe, diventerà realtà. Mio fratello è una storia universale. La storia di una e mille famiglie in cui uno si perde e l’altro resiste in attesa di vederlo tornare. E quando ritorna e bussa alla porta, la certezza del perdono è così forte che scaccia via il passato. Salvare un uomo è sempre un giorno di festa, è il miracolo che sovverte la banale quotidiani­tà. Questa è la nuova visione della parabola del figliol prodigo, una parabola 2.0 laica, moderna e contempora­nea, in cui chi salva, prima di salvare l’altro, salva soprattutt­o se stesso. Prima di togliere dalla strada, dalla malavita o dalla perdizione l’altro, ha salvato la propria dignità di essere umano. Nessuno può essere giudice di un’altra vita perché, quando si punta un dito contro, le altre quattro dita indicano se stessi. Nessuno può giudicare, nessuno è superiore, nessuno è migliore o peggiore. Si è solo diversi, si è solo uomini, si è solo fallaci. Ognuno con la propria storia e la propria dignità. Quando si salva l’uomo che bussa, che ride, che scrive o che canta alla finestra, è e deve essere sempre un giorno di festa. La festa che prelude al cambiament­o e che toglie ogni dolore.

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