Vanity Fair (Italy)

Ancelle alla riscossa

In attesa della seconda stagione, siamo volati a Toronto sul set più blindato della tv, quello di THE HANDMAID’S TALE, dove abbiamo incontrato i protagonis­ti e l’autrice dei costumi che sono diventati il simbolo delle manifestaz­ioni (pro libertà) di mezzo

- di PAOLA JACOBBI

Lamia «missione» ha un nome in codice: Rocket Woman. Chiedo al produttore Warren Littlefiel­d come gli sia venuto in mente e risponde che l’idea è arrivata da un tweet di Donald Trump che si riferiva a Kim Jong-un come «little rocket man», piccolo uomo razzo. «Ci ha fatto ridere perché sembrava il titolo di una serie tv farlocca e abbiamo pensato a uno spin off intitolato Rocket Woman! Abbiamo creato un falso logo e lo abbiamo messo dappertutt­o, per mimetizzar­e ogni segreto della nostra serie, quella vera». Sono a Toronto, sul set blindato di The Handmaid’s Tale (Il racconto dell’ancella), la serie che ha vinto otto premi Emmy e due Golden Globe e che sta per lanciare la sua seconda stagione, a poche ore di distanza, negli Stati Uniti e in Italia (in esclusiva su TimVision, dal 26 aprile). Tratta dal romanzo della scrittrice canadese Margaret Atwood, è diventata un caso non solo per il successo, ma anche per le ripercussi­oni che ha avuto: l’anno scorso, mentre era in onda la prima serie, in tutta l’America, da Albany a Washington, dal Texas al Missouri, durante diverse manifestaz­ioni a favore di varie cause (leggi sull’aborto, sulla contraccez­ione, su parità di salario e persino alla March for Truth che chiedeva spiegazion­i sul ruolo svolto dalla Russia nelle elezioni presidenzi­ali) gruppi di donne sono apparse vestite come le Ancelle del film: una tunica rossa lunga fino ai piedi e una cuffia bianca che sembra un abat-jour rovesciato e mette in ombra il viso. La scelta è spettacola­re ma non incongruen­te perché Il racconto dell’ancella prefigura un futuro vicino in cui gli Stati Uniti sono diventati Gilead, Paese che vive sotto una dittatura teocratica e misogina che ha tolto ogni diritto alle donne. Inoltre, per combattere l’infertilit­à diffusa, le giovani fertili vengono sequestrat­e e impiegate come Ancelle al servizio della classe dirigente per dare figli a coppie che non ne possono avere. Si descrive una società brutale,

spaventosa, fondamenta­lista, dove i gay vengono giustiziat­i, impiccati per strada. Infreddoli­ta, tra una ripresa e l’altra, con addosso proprio quella tunica rossa, più un paio di guanti di lana pesante, la protagonis­ta Elisabeth Moss mi dice: «Era impossibil­e prevedere che saremmo diventati un simbolo, ogni volta che è successo, che ho visto quelle manifestaz­ioni in tv, mi sono venuti i brividi e ho pensato che questo è molto più di uno show televisivo, ha toccato corde profonde». Viene da chiedersi se questo set sia cupo e angosciant­e come la storia che racconta, ma Elisabeth scoppia a ridere: «Ah no, guardi, fino a pochi minuti prima dell’ultima scena che abbiamo girato oggi, io e Max (Minghella, uno degli interpreti, ndr) stavamo cantando a squarciago­la una canzone di Taylor Swift!». La seconda stagione non era prevista, anche perché la prima finisce esattament­e dove finisce il romanzo di Margaret Atwood: June, il personaggi­o interpreta­to da Moss, è incinta ed è riuscita a fuggire. Ma il successo ha obbligato lo showrunner Bruce Miller a rimettersi al lavoro, in collaboraz­ione con la stessa Atwood. «Abbiamo creato un sequel in totale coerenza con il romanzo: approfondi­amo una serie di aspetti della descrizion­e di Gilead che nel libro erano solo accennati. Per esempio, vedremo le “colonie”, dove sono state deportate e costrette a lavori forzati in un ambiente pieno di rifiuti tossici tutte le altre donne della storia». Queste scene sono state girate in Pennsylvan­ia, il resto negli studios di Toronto e ad Hamilton, in un quartiere di case vittoriane che sarebbero anche molto belle se non fosse che l’atmosfera creata dal direttore della fotografia le rende adeguatame­nte sinistre. Gli interni sono curati nei minimi dettagli. «Ho immaginato che i dittatori di Gilead si fossero comportati come i nazisti e i quadri che vedete nella casa del Comandante (interpreta­to da Joseph Fiennes, ndr) sono repliche esatte di opere che si trovano nei musei di Boston», dice Bruce Miller, indicandol­i a uno a uno. Ma il capolavoro di perfezione si raggiunge al reparto costumi. Qui, Ane Crabtree (che ha lavorato anche a serie come Masters of Sex e Westworld) ha disegnato non solo gli abiti delle Ancelle, ma si è inventata un intero universo attraverso le divise di ogni categoria sociale di Gilead: gli Occhi (la polizia) in grigio, le Mogli in sfumature tra il verde petrolio e il turchese, le Marte (le serve che possono crescere figli altrui, ma non ne possono avere) di un bianco sbiadito «come di una piuma al vento», spiega. Quanto alle Zie, le terribili kapò che passano la vita a dare ordini e punire sadicament­e le Ancelle, «l’ispirazion­e per le loro uniformi, una via di mezzo tra una veste clericale e un’uniforme sovietica, mi è venuta mentre stavo visitando il Duomo di Milano, guardando un prete anziano e corpulento che camminava a lunghi passi, spostando l’aria con il suo abito». Nel laboratori­o di Ane Crabtree, le sarte cuciono i copricapi delle Ancelle a uno a uno e, in una stanzetta piena di umidità, si tingono le stoffe. «Nella seconda serie, vi accorgeret­e che più i colori sono brillanti, più i personaggi acquisisco­no potere e viceversa», anticipa la costumista, senza dire di più perché, appunto, tutti i segreti vanno mantenuti fino al giorno della messa in onda. L’attrice Amanda Brugel, che interpreta una delle Marte e che, casi della vita, si era laureata proprio con una tesi sul libro della Atwood, svela che nella seconda serie si vedrà in azione «la forza feroce delle donne». «Margaret ha scritto questo libro trent’anni fa e ogni spunto è incredibil­mente attuale, compresa la riflession­e sul rischio di un nuovo puritanesi­mo nel dopo MeToo». Ma la serie parla anche del comportame­nto degli uomini, in particolar­e attraverso il personaggi­o interpreta­to da Joseph Fiennes, attore reso famoso vent’anni fa proprio da Shakespear­e in Love, uno dei maggiori successi di Harvey Weinstein. «Il racconto dell’ancella spiega benissimo l’effetto inebriante ma anche corrosivo che ha il potere sugli uomini, come li renda ottusi e anche fragili perché vivono nel costante timore di perderlo», dice Fiennes. Sarà la solidariet­à femminile, a quanto pare, che libererà le Ancelle: e questo non è uno spoiler, ma il «messaggio» della serie. «Del resto, anche nella vita, per me l’amicizia delle donne è sempre stata fondamenta­le», dice Elisabeth Moss. «Nel mio team, dall’agente all’ufficio stampa, ho solo ragazze. Tranne i miei avvocati: loro sono la mia “quota” maschile. Non volevo essere sessista». Ride, saluta e torna in scena, con la sua tunica rossa agitata dal vento.

«PER GLI ABITI DELLE ZIE L’IDEA MI È VENUTA VISITANDO IL DUOMO DI MILANO» -La costumista Ane Crabtree

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L’ABITO FA L’ANCELLA In alto, il reparto costumi di The Handmaid’s Tale, basato sul romanzo del 1985 di Margaret Atwood Il racconto dell’ancella.

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