Vanity Fair (Italy)

Lula, un sogno finito in manette

- di PAOLA JACOBBI

Adesso che l’ex presidente è in carcere, il Brasile – diviso fra chi lo considera un «eroe» e chi un «demonio» – deve affrontare un domani sempre più incerto. Perché le conseguenz­e dell’inchiesta Lava Jato che ha portato al suo arresto rischiano di travolgere l’intero Paese. Mani pulite insegna

Dieci ore prima di consegnars­i alla polizia federale, a mezzogiorn­o di sabato 7 aprile, Luiz Inácio da Silva più noto come Lula ha tenuto un comizio di fronte alla sede del Sindicato dos Metalúrgic­os di São Bernardo do Campo. In un clima quasi di festa per fargli coraggio in vista del carcere, un clima che qualcuno ha definito Lula-Palooza, i suoi sostenitor­i – tra cui l’amica, pupilla ed ex presidente Dilma Rousseff (destituita dall’incarico in seguito a un procedimen­to di impeachmen­t) –, numerosi militanti del suo e di altri partiti di sinistra, un vescovo, un pastore luterano donna e un gruppo di musicisti improvvisa­ti tra i più stonati dell’America Latina (e la cosa stupisce perché Lula presidente ebbe come ministro della Cultura una star della canzone come Gilberto Gil) lo hanno salutato recitando un Padre nostro e infine cantando un classico della musica brasiliana che fa: «Apesar de você / Amanhã há de ser outro dia», «Nonostante te / domani sarà un altro giorno». E chissà che Lula non stesse rivolgendo, in cuor suo, queste parole a chi lo ha condannato a 12 anni e un mese di prigione, ovvero al giudice Sérgio Moro, il magistrato che sta agli scandali politici del Brasile come Antonio Di Pietro sta a Tangentopo­li. La Mani pulite brasiliana parte da un’inchiesta in apparenza minore a nome Lava Jato (autolavagg­io, perché un autolavagg­io era la copertura in cui si smistava il denaro destinato alle mazzette) iniziata nel 2013, prima scintilla di un’operazione che ha messo sotto accusa Lula, Dilma Rousseff, politici di molti schieramen­ti, imprendito­ri, profession­isti, in pratica mezza classe dirigente brasiliana beccata con le mani nel sacco. Un’inchiesta che ha sgretolato (e questa carcerazio­ne appare come un sigillo) un po’ tutto ciò che rappresent­a Lula, volto di un’epoca che ha segnato profondame­nte il Paese.

Oggi il Brasile è diviso tra chi ha festeggiat­o l’arresto dell’ex presidente come una delle più grandi vittorie della democrazia (la giovanissi­ma democrazia brasiliana: le elezioni dirette esistono solo dal 1989) e chi – al contrario – considera questo arresto pretestuos­o, un’ombra scura sul futuro, in particolar­e sulle presidenzi­ali del prossimo ottobre che fanno già gola a candidati di estrema destra, in primis all’ex capitano dell’esercito Jair Messias Bolsonaro. Lula, uno dei fondatori del PT (Partido dos Trabalhado­res), ha tentato nel corso di una lunga carriera politica di farsi eleggere presidente cinque volte, gliene sono riuscite due di fila, la prima nel 2002, al ballottagg­io, con il 61% dei voti. Per due mandati ha governato il Brasile facendo contenti un po’ tutti, poveri e ricchi. I poveri a cui assegnò la Bolsa Familia (una sorta di reddito di cittadinan­za), i ricchi perché diede un impulso molto liberale all’economia. Per qualche anno, il Brasile ha avuto un boom simile a quello dell’Italia del secondo dopoguerra, con una crescita a doppia cifra. Le vendite di automobili ed elettrodom­estici hanno toccato punte mai viste, il settore immobiliar­e è esploso, i brasiliani hanno scoperto che tra miserabili e miliardari si poteva essere ceto medio e dunque viaggiare, andare al ristorante, comprare borsette firmate, mandare i figli all’università. Il «Lulismo» è un ibrido socioecono­mico che prova a mettere insieme la pace del welfare e i colori sgargianti del capitalism­o. Per un lungo attimo, è sembrato che funzionass­e. All’estero raccogliev­a consensi, in Brasile il presidente non laureato, ex operaio, con un eloquio assai poco distinto e la zeppola piaceva a molti e molti avevano deciso di farselo piacere, soprattutt­o quando, all’apice del potere, Lula ha segnato due strepitosi gol consecutiv­i: portare in Brasile i Mondiali e le Olimpiadi.

Gran parte del successo politico di Lula risiede nella sua biografia, uno storytelli­ng, come si dice oggi, così simile a quello di milioni di brasiliani e ampiamente utilizzato nella comunicazi­one della sua immagine. Nato nelle terre aride del Pernambuco, quelle delle Vidas secas del romanzo di Graciliano Ramos, Luiz Inácio da Silva è un figlio della miseria. Ancora bambino, emigra con la madre e i sei fratelli a bordo di uno dei camion chiamati pau-de-arara (trespoli per pappagalli) verso la regione industrial­e di São Paulo, in cerca di lavoro e fortuna. Il padre, emigrato anni prima, si era fatto una seconda famiglia. Nel tempo, Lula non ha mai perso occasione di definire sua madre «un’eroina». Da ragazzo fa il lustrascar­pe, vende noccioline per strada, tifa Corinthian­s e sogna di diventare calciatore. Ma le sue capacità (era un’ala destra scarsa) non glielo consentono. Va a lavorare come operaio metallurgi­co e in fabbrica si dedica all’attività

sindacale, iscrivendo­si proprio alla sede di São Bernardo do Campo, la stessa da cui sabato ha salutato i suoi sostenitor­i. Si sposa a 24 anni con un’altra operaia. Ma la moglie si ammala di epatite durante l’ottavo mese di gravidanza. Muore, durante un parto cesareo d’urgenza, assieme al figlio che aspettava. Il giovane vedovo, che allora non veniva ancora chiamato Lula ma Taturana (bruco) per via di un paio di baffi neri e folti, si risposerà poi con Marisa Letícia Rocco Casa, origini italiane, vedova anche lei (di un tassista, ucciso per strada da un rapinatore), una ragazza qualunque destinata a diventare Primeira Dama, First Lady, dopo opportuni cambiament­i di look e ritocchi chirurgici. Insieme hanno avuto tre figli, in più Lula ha adottato il primogenit­o di Marisa. Nonostante tradimenti e pettegolez­zi (c’è anche una figlia nata fuori del matrimonio da una relazione dell’ex presidente con una giornalist­a), i due sono rimasti insieme fino alla morte di lei, avvenuta nel febbraio di un anno fa. Marisa è stata il motore dell’ambizione del marito. Ospitava in casa le riunioni sindacali clandestin­e al tempo della dittatura militare ed era già la moglie di Lula quando nel 1980, al termine di un lunghissim­o sciopero operaio, fu arrestato e messo in prigione per un mese dalla polizia politica. A quei tempi, Lula aveva i capelli ancora tutti neri e una barba folta, l’aria di un Mangiafuoc­o fiero e feroce. Oggi, a 72 anni, le guance come un soufflé sgonfiato e le occhiaie profonde, una maglietta blu che gli tira sulla pancia, Lula è finito in prigione con addosso il carico pesante di gravi accuse di corruzione di un’intera classe politica, a partire dallo scandalo del 2004, quando un’inchiesta giornalist­ica fece emergere la questione del mensalão, uno stipendio extra ai deputati di tutti i partiti del Congresso perché votassero certe leggi e non altre. Più avanti, è scoppiato il caso Petrobras: l’impresa petrolifer­a statale funzionava da cassaforte per il PT e per i suoi alleati, finanziand­o campagne elettorali, il mensalão e molto altro. Infine, l’ex presidente è stato accusato di favorire gli affari dei figli, di avvantaggi­arsi illecitame­nte, di ricevere regali che non avrebbe dovuto ricevere. Tra questi ultimi, un appartamen­to al mare del valore di circa un milione di euro, corpo del reato alla base della condanna cui risale l’arresto. Le prove non sono certo schiaccian­ti perché si basano sulla dichiarazi­one di un «pentito» dell’inchiesta Lava Jato che ha visto la sua pena più che dimezzata nel momento in cui ha raccontato di avere regalato il famigerato appartamen­to all’ex presidente.

Lula si dichiara innocente, può fare ancora un ricorso ma è molto probabile che, qualunque cosa succeda, non riuscirà a candidarsi alle prossime elezioni. Può diventare – lo è già – un eroe per i suoi sostenitor­i, ma per tutti gli altri la sola idea di Lula in galera è un trionfo, è avere finalmente intrappola­to il demonio causa di tutti i mali del Brasile, è la fine dell’epoca in cui dominava O mecanismo, come lo definisce l’omonima serie di Netflix che racconta gli scandali a partire dall’inchiesta Lava Jato, un po’ nello stile del nostro 1992 su Tangentopo­li. Purtroppo, come insegna ciò che è accaduto in Italia, l’arresto di uno o molti uomini di potere difficilme­nte cambia in profondità la cultura di un Paese clientelar­e e corrotto, figuriamoc­i di un Paese immenso e diseguale, con un’economia ancora protezioni­sta, con un sistema politico e amministra­tivo bizantino. Il dopo Lula è appena iniziato ma c’è da chiedersi: davvero amanhã, domani, per il Brasile, sarà un altro giorno?

 ?? AL SUO FIANCO ?? DallÕalto, Lula e l’ex presidente Dilma Rousseff, 70 anni, destituita per impeachmen­t; con la seconda moglie Marisa Letícia Rocco Casa, scomparsa l’anno scorso.
AL SUO FIANCO DallÕalto, Lula e l’ex presidente Dilma Rousseff, 70 anni, destituita per impeachmen­t; con la seconda moglie Marisa Letícia Rocco Casa, scomparsa l’anno scorso.
 ??  ?? IN PRIGIONE Lula (Luiz Inácio da Silva), 72 anni, ex presidente del Brasile, condannato a 12 anni per corruzione, il 7 aprile si è consegnato alla polizia.
IN PRIGIONE Lula (Luiz Inácio da Silva), 72 anni, ex presidente del Brasile, condannato a 12 anni per corruzione, il 7 aprile si è consegnato alla polizia.
 ??  ?? ULTIMO SALUTO Lula saluta i sostenitor­i alla sede del Sindicato dos Metalúrgic­os di São Bernardo do Campo, subito prima di farsi arrestare.
ULTIMO SALUTO Lula saluta i sostenitor­i alla sede del Sindicato dos Metalúrgic­os di São Bernardo do Campo, subito prima di farsi arrestare.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy