La pelle che sa tutto
Tessuti cutanei artificiali e «tappeti cellulari» prevedono irritazioni ed efficacia cosmetica. Così il futuro sarà sempre più etico, e gli animali ringraziano
SSono il presente, anzi la stringente attualità: i big data sono quella mole di informazioni, di qualunque ambito, motore delle scienze predittive. Sono quelle materie che vanno dalla biologia al marketing, dalla meteorologia alle assicurazioni, che usano cluster di dati per fare ipotesi sull’andamento di determinati fenomeni. Un tentativo umano di predire il futuro, insomma. In cosmetica, i big data hanno salvato la vita a topolini e conigli, usati da decenni come cavie. Grazie a laboratori di ingegneria cutanea come Episkin a Lione, in Francia, di proprietà del gruppo L’Oréal, e al recente orientamento normativo europeo, dal 1994 i prodotti finiti non possono essere più testati sugli animali. L’Oréal aveva dismesso la pratica già nel 1989, ma con l’acquisizione di Episkin ha cominciato a provare i singoli ingredienti solo su campioni di tessuto umano creati in laboratorio, così da fare studi predittivi sulla sicurezza (irritazione e fototossicità) e sull’efficacia (effetto anti-age o anti-UV). Episkin produce 100 mila unità di pelle all’anno, sintetizzate a partire da cellule cutanee umane residue di interventi chirurgici. Le cellule vengono fatte proliferare «in coltura» e lasciate riposare per otto giorni in un incubatore a 37 gradi. Si ottiene così un «tappeto cellulare» con cui si riproducono campioni di epidermide, derma, mucose e cornea. Oggi è possibile ricreare anche campioni più complessi e precisi, come una pelle pigmentata che simula l’invecchiamento, o carnagioni particolari per la formulazione di prodotti ad hoc. Questi laboratori sono anche a Shanghai, in Cina, Paese dove i test sugli animali sono ancora obbligatori. Nel 2014, però, hanno ottenuto il permesso di utilizzare la pelle ricostruita come mezzo alternativo, facendo da apripista a un modello etico per la ricerca e lo sviluppo.