Vanity Fair (Italy)

L’Arabia Saudita cambia, anzi rimane la stessa

Il principe MOHAMMAD BIN SALMAN negli Stati Uniti ha incontrato Donald Trump ed ex presidenti, Oprah e magnati. Ma che cosa si nasconde dietro il volto «amico»?

- di KARL VICK

Forse non esiste una parola per definire quello che il principe reggente saudita Mohammad bin Salman ha fatto negli Stati Uniti per tre settimane, ma di cose ne ha fatte parecchie: visitare cinque Stati più il distretto di Columbia, quattro presidenti, cinque giornali, un numero infinito di magnati e Oprah. L’America non ha mai visto una cosa del genere da quando il premier sovietico Nikita Krusciov arrivò nel settembre del 1959 con un malconcio Tupolev 114 pronto a esplorare il Paese per tredici giorni, offrendo finalmente un volto al nemico numero uno degli Stati Uniti. Bin Salman si sposta su un Boeing 747 con la scritta God Bless You in arabo e in inglese. E il regno che in pratica già governa – come reggente dal pugno di ferro del malconcio padre, l’ottantadue­nne re Salman – definisce perfettame­nte il concetto di Paese nemico amico. Il suo itinerario statuniten­se (di una settimana più lungo rispetto a quello di Krusciov) è ad ampio raggio, quanto la sfiducia dell’America nei confronti della sua patria: secondo i sondaggi il 55% degli americani non apprezza l’Arabia Saudita. Negli anni ’70, i sauditi imposero l’embargo sul petrolio che costrinse gli americani a fare la fila per rifornirsi di benzina; nei ’90 le truppe americane affrontaro­no il deserto per salvare i sauditi nella prima guerra del Golfo; e quando nell’autunno del 2001 furono costretti a familiariz­zare con i piani d’evacuazion­e, fu dopo l’attacco terroristi­co orchestrat­o dal saudita Osama bin Laden e dai suoi compatriot­i che avevano realizzato la strage delle Torri Gemelle. Dopo aver posato per un ritratto ufficiale nella suite dell’hotel Plaza di New York, Bin Salman ha posto una domanda disarmante: «Posso togliermi questa roba di dosso?». La trasformaz­ione

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