Vanity Fair (Italy)

Madame D.

Arriva un nuovo capitolo dell’ampio memoir della francese ANNIE ERNAUX. E torna alla madre

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Annie Ernaux, la più grande autrice francese vivente, scrive per «legare» quello che non è più a quello che, ancora, è. In Una donna, pubblicato nel 1987 e uscito adesso in Italia per L’orma (pagg. 112, € 13; trad. di Lorenzo Flabbi), cerca di riallaccia­re il giorno in cui sua madre era viva («le calze scure, la forsizia, il suo sorriso») al giorno dopo, quando per telefono le comunicano che «si è spenta questa mattina, dopo aver fatto colazione». Quella madre violenta e orgogliosa che abbiamo già incontrato nei precedenti libri, appena quattro dei 20 usciti in Francia, parte di una grande opera autobiogra­fica nella quale Ernaux, che ora ha 77 anni, sta mappando la propria vita, le proprie origini, in un progetto che è «qualcosa tra la letteratur­a, la sociologia e la storia». Quello della maternità, l’unico grande tremendo amore originario, è un tema ancestrale: le madri cattive non si contano, le medee, le matrigne fiabesche, le manipolatr­ici rothiane, fino alla respingent­e Mrs W del bel memoir Perché essere felice quando puoi essere normale? di Jeanette Winterson e alla crudele LaVona del film Tonya. La signora D., mamma di Annie, non era buona e non era cattiva. Con il suo stile asettico al limite del documentar­istico, che nomina le cose per quelle che sono, la scrittrice ce la racconta a partire dall’infanzia contadina nella ventosa Yvetot, in Normandia, dove «conosceva tutti i gesti che addomestic­ano la miseria», il matrimonio con un operaio silenzioso («era lei la volontà sociale della coppia»), la bottega, la vedovanza. Infine la vecchiaia e la malattia, quando i ruoli si ribaltano, per tutti: «Ora mi sembra di scrivere su mia madre per, a mia volta, metterla al mondo».

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