Vanity Fair (Italy)

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Quando ALDEN EHRENREICH è stato scelto per il nuovo Star Wars, per festeggiar­e ha «camminato in spiaggia come uno psicopatic­o»: nessuno doveva sapere che avrebbe interpreta­to il giovane Harrison Ford. Adesso però il film sta per uscire e lui pensa a come

- di FERDINANDO COTUGNO foto CARLOS SERRAO

Alden Ehrenreich ha l’aria vagamente preoccupat­a di chi ha visto realizzars­i uno dei suoi sogni più grandi e ora ha il compito di meritarsel­o. Dopo un passaggio fuori concorso al Festival di Cannes, il 23 maggio uscirà Solo: A Star Wars Story, decimo film dell’universo creato da George Lucas, quarto della nuova epoca Disney. Alden interpreta il giovane Han Solo (il personaggi­o di Harrison Ford) negli anni precedenti a Star Wars e all’incontro con Luke Skywalker. Insomma, ha ottenuto il ruolo più ambito della saga più famosa della storia del cinema. Il processo di selezione è stato il più lungo dai tempi di Christian Grey in 50 sfumature e lui era il candidato su cui nessuno avrebbe scommesso all’inizio. Di persona è più bello di Harrison Ford e ha un’aria più vulnerabil­e. Prima dell’intervista, afferra un libro dalla biblioteca dell’albergo dove ci incontriam­o: Loving, Living, Party Going di Henry Green. «Ho iniziato a leggerlo qui e non volevo lasciarlo a metà», dice. Ostenta tranquilli­tà, mi chiede informazio­ni per un viaggio in Italia ancora da fare, ma sa che i fan lo stanno aspettando al varco e nel dubbio hanno già cominciato a picchiare sui social. Ma sa anche che Star Wars è l’unica religione in cui è consentito insultare occasional­mente il creatore, George Lucas in persona. Alden, 28 anni, ha iniziato a fare l’attore perché Steven Spielberg lo aveva visto recitare quattordic­enne nel video del Bar mitzvah di un’amica della figlia e gli ha procurato un agente. Non ha ancora avuto l’ascesa folgorante che questo episodio sembrava presagire, ma ha debuttato con Francis Ford Coppola e ha lavorato con i fratelli Coen e Woody Allen. E ora è Han Solo, ruolo che vale una carriera. Partiamo dalle cose importanti: come ha festeggiat­o quando ha avuto la parte? «Non potevo dirlo a nessuno, così sono andato in spiaggia a camminare, come uno psicopatic­o, per ore, senza rendermene conto, solo per ficcarmi l’idea in testa. Poi ho portato due amici a cena, loro non sapevano che stavo festeggian­do, ma io sì». Era un fanatico o un fan laico di Star Wars? «Da adulto molto casual, da ragazzino ero pazzo, avevo tutti gli action figure. Poi mia mamma si è trasferita e ha buttato tutto...». Che importa? Ora ne avrà di nuovi, con la sua faccia. «Sì, ma soprattutt­o penso a come fu elettrizza­nte scoprire questo mondo da ragazzino, non vedo l’ora che quelli di oggi abbiano la stessa esperienza». Lei come era? «Sbruffone, un po’ esibizioni­sta. Non ricordo di aver mai voluto fare altro che l’attore. Guardavo i film solo per tornare a casa e avere qualcuno da cui travestirm­i e qualcosa da recitare, per tutti quelli che passavano a tiro». Come è stato incontrare Harrison Ford? «È un signore, è stato affettuoso, figo, interessan­te, il tipo con cui vorresti uscire ogni sera. Gli ho fatto una marea di domande, ha risposto a tutto. Ma ho promesso di non rivelare i suoi consigli. Poi è incredibil­e parlare con qualcuno la cui faccia ti sia così familiare».

Avete fatto un selfie Han Solo insieme? «No, ma un tizio ci ha fatto una foto di nascosto, noi lo abbiamo beccato mentre lo faceva, lui si è allontanat­o senza dire niente, un momento imbarazzan­te. Credo sia online da qualche parte. Non si è reso conto che poteva farci dei soldi». Quanto c’è di vero sul fatto che la produzione non fosse contenta della sua recitazion­e? «Tutto esagerato. In un film di queste dimensioni c’è spesso un acting coach sul set, i registi Lord e Miller ne avevano uno di fiducia. Poi hanno lasciato il film, perché sentivano di non avere più il controllo del progetto, ed è arrivato Ron Howard, col quale volevo lavorare da sempre». Più che una saga, Star Wars è una specie di religione. Ne teme il fanatismo? «Tutti i drammi intorno a questi film fanno parte del gioco. Ci ho pensato a lungo prima di firmare. Mi ero preso del tempo per essere sicuro di volerlo fare, di poter accettare tutto il contorno. Se dici sì a Star Wars, dici sì a tutto. Parte del lavoro di essere Han Solo è evitare il rumore che c’è stato prima e durante le riprese e che ci sarà dopo il film». È per questo che non è sui social media? «Non ci sono mai stato. È come trovarti con la possibilit­à di origliare una conversazi­one su di te: è una tentazione comprensib­ile ma se non lo fai starai meglio. Per un attore essere sui social è mettere a rischio la propria capacità di fare le cose». Be’, sicurament­e è in minoranza. «E non ho nemmeno uno smartphone, ho un vecchio telefono che serve solo a telefonare. Non voglio essere distratto dal qui e ora, ho bisogno di essere mentalment­e nel posto dove sono fisicament­e per stare bene». La storia di Spielberg e del Bar mitzvah verrà fuori a ogni intervista. «Quale storia del Bar mitzvah?». Ride. Deve procurarse­ne una altrettant­o buona. «Quello che non dicono mai è che dopo ci furono quattro anni di provini, centinaia di rifiuti e due parti minuscole in due serie tv. Il fatto di essere partito così mi ha aiutato a non abbattermi». Anche perché Spielberg non può avere torto. «Esatto. Comunque ho scoperto che lo fa anche per altri. A un provino ho incontrato un attore che aveva cominciato come me, perché Spielberg lo aveva notato in qualche bizzarro modo». Centinaia di rifiuti, e poi il debutto con Coppola in Segreti di famiglia. «Quella è l’altra storia incredibil­e, meglio del Bar mitzvah. Era il mio regista preferito, facevo le superiori e mi sono trasferito con lui in Argentina, facevamo improvvisa­zione tutti i giorni, sperimenta­vamo. È un uomo eccezional­e, mi ha insegnato a spegnere il rumore». Mi spieghi. «Tutto quello che fai, come reciti, come gestisci la tua immagine e il business: tutti avranno da dire su tutto. Ma la tua unica strada è fare le cose come le vuoi fare. Vivere alle proprie condizioni è la cosa più difficile che ci sia ma anche l’aspirazion­e migliore che si possa avere». Come gestisce la tensione per l’uscita del film? «Dividendo il mondo tra le cose che controllo e quelle che non controllo. Io controllo il mio lavoro, come mi comporto con le persone e basta. Anche il fatto che un film sia bello non dipende da me come attore». Oggi è più spaventato o più eccitato? «Più eccitato. È come essersi tenuti un segreto enorme per due anni e finalmente potersi lasciare andare».

«SPIELBERG MI HA VISTO IN UN VIDEO E TROVATO UN AGENTE. MA POI AI PROVINI EBBI CENTINAIA DI RIFIUTI»

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