La collezionista
Scatole, biglietti, vecchi oggetti: BEATRICE TRUSSARDI non butta via niente. Anzi, da quei mix trae ispirazione per le mostre
Ciak, si gira. Anzi, questa volta si salta: sull’opera Sacrilege, il Tempio di Stonehenge trasformato dall’artista Jeremy Deller in un enorme gioco gonfiabile, apparso il 12 aprile nel parco di CityLife per allietare il pubblico internazionale di Mi-Art e di Milano, secondo modalità della Fondazione Nicola Trussardi. Sono 15 anni che Beatrice Trussardi e il curatore Massimiliano Gioni offrono arte contemporanea alla città, in un percorso di mecenatismo accessibile: «Ci interessa l’idea di un’arte aperta, di cui fruire anche in modo dissacratorio, come con Sacrilege». Ultimo capitolo di una storia di apparizioni in cui la firma è certa, e la base nomade. Sono luoghi insoliti, spesso inediti, i fondali metropolitani che teatralizzano le opere, in un percorso di ricerca unico al mondo. Ogni volta, un nuovo punto di vista. Così è per Fondazione Trussardi e il suo pubblico, così è per Beatrice e il suo privato: nella movimentata sede di casa sua, a cambiare sono gli stimoli emotivi, veicolati nelle connessioni tra quadri e oggetti e ricordi. Ciak si gira. Ovvero si entra e si esce, tra le scatole della sua storia, in un teatro eternamente ri-allestito: «Tiro fuori quello che voglio avere in vista, a momenti e a rotazione». Scovati tra scatoloni e scatoline, temi e collezioni, in un metodico depositare: «Non riesco a buttare niente». Mania di accumulo? «Ossessione dello spostamento, soprattutto temporale». Girando tra ricordi, forme e colori, il passato alimenta il futuro, nel laboratorio di un allestimento presente, creato d’istinto: «Atmosfere in cui voglio immergermi». Tutto serve, a fasi: «Per comporre una nuova e diversa realtà di pensiero». Vediamo intorno lampi fluo e colpi d’oro: «Non c’è un perché, il motivo lo capisco sempre dopo, quando la scena mi ha portato da qualche parte». La prima collezione di specchi convessi sulla parete, con quei riflessi che distorcevano la realtà della stanza, ha portato Beatrice al lavoro di Fischli & Weiss, alla frase: «Sono diffusi i contorni della realtà?». Smontati gli specchi (poi tornati ma non tutti insieme) si compone la scena floreale di Thomas Struth, poi le frasi d’autore: «Ho sempre scritto, tenuto e regalato cartoncini, sono attratta dai lavori che mischiano lettering e figure». Il pensiero di Beatrice procede così, rigenerandosi a ondate, muovendosi nel tempo, in questo segreto traffico di stimoli e connessioni, che collegano un artista a un ricordo o viceversa, tutto serve, anche le vecchie agende cartacee, che conserva. Una casa sgombra per meglio pensare? «La invidio, ma il vuoto non è fertile per me». Immagazzinava conchiglie, vetri e orecchini nelle bacheche di bambina, poi dal trasloco da New York, tornata a Milano per lavorare, è stato tutto un dentro e fuori, dalle scatole. Vetri bianchi o frasi d’autore, l’idea è di muovere i punti di riferimento, forse persino il quartiere o chissà la città, in un tour mentale inarrestabile. Circolano le opere della Fondazione: «Nel mondo e nella memoria», ruota la vita di Beatrice, si chiama Economia Circolare il suo nuovo interesse: «Niente si distrugge, tutto si rielabora», in un’armonica sfericità esistenziale. Invece rette e spigoli? «Chiudono e pungono». La retta è aperta: «Ma ha un’unica direzione». Il cerchio no? «Gira all’infinito e in avanti». Come il lavoro sul femminile di Dorothy Iannone: «Ha creato un mondo autonomo, talmente armonico da lasciare posto anche all’uomo, sottomesso ma incluso». Dorothy ha chiuso un cerchio. Facendo circolare scena e pensiero, come il domestico tour di oggetti e ricordi per reinventare tutto, cambiando la scena: «Un puzzle di cui ogni volta compongo un pezzo, nell’insieme che darà tutta Beatrice». Che a sua volta ruoterà in avanti, nella sua infinita rielaborazione.
Beatrice Trussardi, 46 anni, presidente della Fondazione Nicola Trussardi, nella quale lavora con il direttore artistico Massimiliano Gioni. «Ci interessa l’idea di un’arte aperta, di cui fruire anche in modo dissacratorio»