Vanity Fair (Italy)

I FANTASMI NON ESISTONO

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Caro Massimo,

Il problema della mia vita si chiama come te, Massimo: mio padre. Sono stato cresciuto da mamma, in una città lontana dal suo cuore di pietra, dalla sua altra famiglia, quella ufficiale. Sono stati gli unici anni sereni, poi la malattia per lei e il collegio svizzero per me, perché la famiglia di mio padre è una delle più ricche di N. e suo figlio non poteva ricevere un’educazione qualsiasi. Quando mamma è morta, nel 2015, lui mi ha telefonato, sembrava cambiato, io ho acconsenti­to, sono tornato. Non avrei dovuto cedere, ma ero solo veramente. Forse avrai già capito: per lui resto sempre un fantasma. Mi ha «alloggiato» in una delle sue proprietà, mi invita a pranzo una volta a settimana, mi chiede come vanno gli esami, ma non ricorda nemmeno quello che studio. Il fatto nuovo è questo, però: che mi sono innamorato. Lui si chiama Corrado, mi ricambia. Insieme abbiamo fondato una compagnia teatrale, il sogno della nostra vita. Ma mio padre non lo sa, non sa niente di me, di noi. Sono stanco, però, vorrei gettare la maschera: essere accettato da lui, oppure andarmene, per sempre. — Alessandro

Arriva un momento nella vita in cui, per evolvere davvero, diventa necessario accettarsi e accettare le persone da cui veniamo, senza avere pretese né aspettativ­e. Se hai trovato la forza di scrivere questa lettera, significa che forse per te quel momento è arrivato. Mi colpisce l’utilizzo che fai della terza persona, rivolgendo­la ironicamen­te contro te stesso: «Suo figlio non poteva ricevere un’educazione qualsiasi…». Dici che tuo padre ti considera un fantasma, ma ho l’impression­e che il fantasma sia proprio l’immagine che tu hai di te in relazione a lui. Come se il vostro fosse un rapporto a tre, dove il «figlio fantasma» è ciò che tu percepisci di essere ogni volta che ti misuri con l’assenza ingombrant­e di tuo padre. Pare di capire che sei stato il frutto di un amore clandestin­o, o comunque di un legame non ufficiale, e che hai vissuto all’ombra di quell’ufficialit­à fino alla solitudine più estrema. Hai superato l’educazione rigida di un collegio e la morte prematura di una madre. Una madre che però deve avere fatto un buon lavoro, se suo figlio è stato capace di abbracciar­e senza paura il mondo dell’arte, sognando di fondare una compagnia teatrale. Un uomo come te, che si dichiara innamorato, e che è stato capace di guardarsi dentro senza remore né condiziona­menti sociali, conosce la forza dell’amore e sa che l’amore è anche la possibilit­à che si dà all’altro di cambiarci. Per farlo, però, bisogna attingere alle nostre riserve interiori di coraggio. Ma una parte di te, quel fantasma di cui mi scrivi, il coraggio sembra averlo perso nell’infanzia, sclerotizz­andosi nell’immagine di un figlio non accettato né amato come avrebbe voluto. Eppure, se ci rifletti un attimo, il fantasma ha ricevuto un’istruzione e una proprietà in cui vivere. Non ti sembra un paradosso? I fantasmi non vivono. E non si vedono neanche. L’unico modo che avresti di dimostrare di non esserlo è smentire chi ti considera tale, esponendot­i per come sei davvero e per cosa fai nella vita. La domanda che dovresti porti è: «Ho il coraggio di farmi vedere?». Come lo hai trovato per ribadire chi sei al resto del mondo, puoi attingervi anche per affrontare la persona che nel mondo ti ha messo. Non temere il suo giudizio, tu ormai esisti anche senza la sua approvazio­ne. Digli che ami, digli chi ami. Scapperà di nuovo? Ma se anche lo facesse, sono pronto a scommetter­e che tornerebbe, perché un figlio che ti affronta guardandot­i negli occhi con fierezza, è qualcuno per cui un uomo come tuo padre non può che provare rispetto. Forse addirittur­a un pizzico di legittimo orgoglio. Ogni rapporto, compresi quelli con i genitori, è un rapporto di forza. Un tuo gesto di coraggio può cambiare il vostro per sempre. Solo così il «figlio fantasma» toglierà il disturbo e, da tre, tornerete a essere in due. Solo così potrai dare anche a lui la possibilit­à di cambiare se stesso.

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