Vanity Fair (Italy)

Earth Day: un criptopomo­doro ci salverà?

- di FRANCESCO BISOZZI

L e miniere di bitcoin (sotto), ossia le stanze piene di computer che «estraggono» criptovalu­ta, con un dispendio energetico elevato per via della potenza di calcolo richiesta, minacciano l’accordo sul clima di Parigi, firmato per la Giornata mondiale della Terra del 2016. Alla vigilia del prossimo Earth Day del 22 aprile, si calcola che la «zecca» dei bitcoin, secondo l’indice messo a punto dal sito Digiconomi­st, consuma più elettricit­à della Grecia, il doppio della Danimarca, e il triplo dell’Islanda. Così, per rendere più sostenibil­e l’industria delle valute virtuali, i «minatori» hanno iniziato a «coltivare» criptoverd­ure con il calore di scarto dei loro calcolator­i. A Praga è pronto il primo raccolto di criptopomo­dori. I fondatori di Nakamotox, piattaform­a per lo scambio di criptomone­te nata nel 2017, hanno trasferito in una serra il calore generato dai computer durante la produzione dei bitcoin. In Canada, Myera Group, startup specializz­ata nel mining sostenibil­e, sta conducendo i primi test sul criptobasi­lico e la criptolatt­uga. In Olanda sono andati oltre. Considerat­o che una persona genera a riposo circa 100 watt, l’Institute of Human Obsolescen­ce ha realizzato un sistema per produrre criptomone­te con il calore umano «raccolto» grazie a tute speciali. Ma hanno coniato solo monete a basso consumo, come i Vertcoin. Per fare un bitcoin servirebbe­ro 44 mila «batterie» umane.

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