Vanity Fair (Italy)

in 5 domande

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La sua vita in breve?

«Mia mamma è inglese, da parte di madre, mentre mio padre è italiano. Ho lavorato in tv da bambino ma, crescendo, ho cambiato strada, finché un mio vicino di casa, Alessandro Borghi, mi ha detto: “Perché non ti fai una chiacchier­ata con il mio agente?”».

Il suo migliore amico?

«Il mio cane Roy, di otto anni. Mi segue senza guinzaglio. Mi sono appassiona­to all’addestrame­nto perché la mia ex fidanzata aveva un cane difficile da gestire. Ho studiato il metodo del dog trainer César Millán».

Il consiglio che si pente di non aver seguito?

«Di non fumare. Me lo diceva mia madre. Sono uno sportivo, e alla mia età sento che comincia a mancarmi il fiato. Da ragazzo giocavo a calcio piuttosto bene, ma ho dovuto smettere dopo essermi rotto due volte il ginocchio».

La sua prima volta sul set?

«A sei anni in un film che s’intitolava Game Over e che non è mai uscito al cinema. Interpreta­vo un bambino con un microchip nella testa. Poi ho fatto le serie tv Compagni di scuola e Incantesim­o: ero il figlio di Lorenzo Flaherty e Barbara Livi».

La sfida «impossibil­e» che ha vinto?

«Due. Andare a vivere da solo a Londra a 17 anni. Un paio di mesi dopo gestivo un negozio di scarpe in Portobello Road. E aver preso il diploma frequentan­do le serali mentre di giorno lavoravo come cameriere».

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