LA RAGAZZA é UN PRODIGIO
Fin da quando aveva 7 anni, tutti si chiedono quando crollerà. Ma l’ex attrice bambina DAKOTA FANNING ha scampato il pericolo. Con due armi segrete: la famiglia e l’università
Per capire chi è Dakota Fanning bisogna tornare indietro di quasi vent’anni. Come molti attori bambini, ha iniziato con gli spot pubblicitari, anche se spesso ai provini veniva scartata. Cercavano volti carini – e il suo lo era – e capelli lunghi – mentre lei li portava corti. «Ma fin da piccola ho sempre avuto la capacità di capire istintivamente che cosa fosse importante e che cosa no. “Credo che cercassero una bambina con i capelli castani o più lunghi”, dicevo a mia madre per spiegarle perché non mi avessero scelta”. “Credo che tu abbia ragione”, mi rispondeva lei». Oggi Dakota ha 24 anni e, a sentire i pareri di chi ha lavorato con lei, ciò che la rende unica è il fatto di non essere in qualche modo mai cambiata: a cinque anni aveva la maturità di una ventenne, mentre oggi mantiene la freschezza di una bambina. Da allora non ha smesso un momento di lavorare, e quest’anno la vedremo sia al cinema, con due film in uscita, sia in televisione. Il 19 aprile Netflix rilascia la serie The Alienist. Tratta dal romanzo di Caleb Carr, racconta di un insolito gruppo di investigatori sulle tracce di un possibile serial killer nella New York del 1896. Il personaggio della Fanning, Sara Howard, lavora come segretaria nel distretto di polizia, prima e unica donna, ma ha decisamente aspirazioni più elevate, all’epoca del tutto precluse al suo sesso. «Non solo le donne erano limitate rispetto a quello che potevano e non
«L’ANSIA ARRIVA QUANDO IN CASA C’È DISORDINE»
potevano fare, ma lo erano anche fisicamente per via degli abiti che dovevano indossare», ha ragionato l’attrice, spiegando che già il fatto di avere addosso un corsetto e di dover contare sull’aiuto di qualcuno per vestirsi e svestirsi l’ha aiutata a entrare nella mente del personaggio. Dakota, che da qualche tempo si è trasferita a vivere per conto suo a New York – i genitori sono rimasti a Los Angeles con la sorella Elle, quattro anni più giovane e anche lei attrice – frequenta l’università e si sta specializzando in studi sulla condizione femminile, in particolare sul modo in cui le donne sono state rappresentate nella cultura e nel cinema. Considerato che i prossimi film in cui la vedremo sono Ocean’s 8, spin-off tutto al femminile della trilogia Ocean’s,e The Bell Jar, in italiano La campana di vetro, tratto dal romanzo semi-autobiografico di Sylvia Plath, che vede debuttare alla regia la collega Kirsten Dunst, verrebbe quasi da pensare che abbia trovato il modo di allineare corso di studi e carriera. Del resto, non stupirebbe se fosse davvero così. Giusto per farsi un’idea del suo pragmatismo, tra i motivi che l’hanno indotta a iscriversi all’università, ha citato il rischio per gli attori di soffrire di depressione nei periodi in cui non lavorano: «Vai da momenti in cui sei super impegnata a fasi in cui non hai nulla da fare e ti domandi come occupare tutta quella libertà». Nello stesso modo, è del tutto consapevole delle aspettative, non sempre benevole, di cui è al centro da oltre un decennio. Ovvero, visti i tanti deragliamenti di attori bambini che non hanno retto alle pressioni, genere Lindsay Lohan, sa che l’attenzione sulla sua vita è stata spesso morbosamente volta a cogliere i primi segnali di un cedimento psicologico: verrà prima o poi paparazzata ubriaca all’uscita di un locale? Si troverà un fidanzato altrettanto celebre o ricco o imbarazzante? Così come è abituata alle domande di chi vorrebbe costringerla a svelare una sotterranea rivalità con la sorella Elle. Ovviamente non c’è stato nulla da fare. E a chi ha cercato di spingerla a svelare almeno un pizzico di senso di superiorità in quanto primogenita, ha risposto: «Chi sono io per dare consigli?». Nelle interviste, poi, è apparsa a volte quasi preoccupata di voler raccontare a tutti i costi qualche piccola inquietudine per allontanare da sé l’immagine di un eccesso di perfezione. Persino la normalità, per una come lei, può risultare sospetta. Ha raccontato, per esempio, di soffrire di piccoli attacchi di ansia. Mai sul lavoro, più che altro quando deve fare i bagagli. «Mi capita che mi venga persino da piangere. Oppure l’ansia mi prende quando in casa c’è disordine, o se mi accorgo di non essere andata a ritirare i miei vestiti in lavanderia». Aggiungendo di essere una persona che ama la routine – non proprio il massimo per un’attrice – e di aver realizzato per la prima volta di essere davvero uscita di casa e di non avere più la mamma vicina, la mattina in cui si è svegliata e non ha trovato gli asciugamani puliti in bagno.
Éalla famiglia che Fanning attribuisce gran parte del merito del suo equilibrio. A differenza di altri attori bambini, spinti dall’ambizione dei genitori, sua madre si sarebbe limitata ad assecondarla. Aveva cinque anni, ha raccontato, e durante un campo estivo aveva scoperto la passione e il talento per la recitazione e cominciato a fare le prime esperienze di teatro. E siccome in Georgia, dove vivevano all’epoca, di opportunità di lavorare nel cinema non ce n’erano molte, sua madre le chiese se volesse provare a trascorrere qualche mese a Los Angeles per fare audizioni. «Ma anche quando mio padre e mia sorella ci hanno raggiunti e ci siamo trasferiti a vivere là, lei ha sempre mantenuto i piedi per terra. Non ha mai detto: “Viviamo a Los Angeles perché Dakota fa l’attrice”. Anzi, per molto tempo ha continuato a raccontare che avevamo casa in Georgia e che si trattava di un cambiamento temporaneo». Non lo è stato, e pochi mesi dopo, a 7 anni Dakota era già sul set di Mi chiamo Sam con Sean Penn, il suo primo film dopo una serie di ruoli in tv. Per quella performance fu nominata agli Screen Actors Guild Award – la più giovane attrice mai candidata a quel premio. E quando al decimo compleanno festeggiò anche il decimo film, aveva già diviso la scena con Denzel Washington, Robert De Niro e Glenn Close, solo per citare i colleghi più famosi. Per sua fortuna era ancora troppo piccola per conoscerli e quindi per farsi intimorire o montarsi la testa. E quando ha raggiunto l’età per capirlo, ormai aveva abbastanza carriera ed esperienza alle spalle per evitare di finire fuori strada. Pag. 116: giacca, top e shorts, Louis Vuitton. Anello, Tiffany & Co. Anelli, Bulgari. Décolletées, Off White c/o Jimmy Choo. Pag. 117: abito, top e leggings, Gucci. Anelli, The Shiny Squirrel, Doyle & Doyle e Konstantino. Pag. 118: giacca, Burberry. Top, Chanel. Top, Coach. Collana, Bulgari. Bracciale, Tiffany & Co. Make-up Jeanine Lobell. Hair Serge Normant. Manicure Yuko Tsuchihashi. Set design Viki Rutsch.