TRUMP SPOSTATI, ORA MI CANDIDO IO
La Miranda di Sex and the City cambia lavoro. Dopo una vita da attrice, durante la quale ha interpretato un paio di First Lady, CYNTHIA si candida a governatore dello Stato di New York. E dopo aver «recitato con parole altrui», adesso intende far sentire
DDicono che la politica è una specie di Hollywood per brutti, quindi è comprensibile che molti continuino a chiedersi perché esattamente Cynthia Nixon si sia candidata a governatrice di New York. In fin dei conti, Nixon ha avuto il tipo di carriera che è il sogno di ogni attore. Negli ultimi due anni ha impersonato personaggi complessi come Emily Dickinson e Nancy Reagan, e ha ottenuto un Tony – il suo secondo – per la produzione a Broadway di The Little Foxes di Lillian Hellman. Avrebbe potuto continuare così, dandosi da fare per le sue cause progressiste mentre cercava la parte che le avrebbe portato l’Oscar, l’ultimo premio di cui ha bisogno per arrivare all’EGOT, acronimo di Emmy, Grammy, Oscar e Tony. «In effetti una parte c’era», ammette quando la incontro, appollaiata su uno sgabello della sua cucina di NoHo. «Impersonavo una politica, era una bellissima parte». Anche se non vuole rivelare chi fosse il personaggio, guardando i suoi occhi azzurri intelligenti, il taglio corto scalato e il naso piccolo, non c’è bisogno di essere un genio del casting per capirlo. Ma invece di recitare la parte di una politica, Cynthia Nixon ha deciso di diventarlo. Il motivo principale, mi spiega, è Donald Trump. Come molti liberal, anche lei è rimasta sconvolta dal risultato delle presidenziali 2016 e – pur avendo partecipato alla Women’s March e dichiarato che Washington «faceva meglio a pensarci due volte prima di mettersi contro le donne» – sentiva che questo non era abbastanza: «Avevo la sensazione che se volevamo sconfiggere Trump dovevamo davvero fare qualsiasi cosa. Incluso candidarci». E per come la vedeva lei, Andrew Cuomo, il governatore del Partito democratico di
New York, era il Trump del quartiere. «Ha tagliato le tasse per i più ricchi, e ha tagliato servizi per tutti gli altri. Ha perso 25 miliardi di dollari in entrate dello Stato», dice, riferendosi ai tagli fiscali introdotti da Cuomo. «Noi di quei soldi abbiamo bisogno. Basta pensare a tutto ciò che serve in città, che siano fondi per le scuole, assistenza sanitaria per tutti, energie rinnovabili, ristrutturare la metropolitana». Negli anni passati, mi dice, le è stato chiesto spesso di prendere in considerazione l’idea di candidarsi, ma lei nicchiava. Poi, il 19 marzo ha lanciato la sua campagna per il ruolo di governatrice, con un video intimo, filmato in parte nel suo soggiorno, e in cui compare il figlio più piccolo, Max. «Quello che abbiamo imparato nel 2016 è che non possiamo dare nulla per scontato», dice, schivando un calcio di Max, 7 anni, che con la sua gran chioma di capelli rosso fuoco alla Ron di Harry Potter le si butta in braccio come un gatto. Mentre il video diventava virale sui social media, le domande sulle sue intenzioni si moltiplicavano insieme alle battute su Sex and the City. I politici non potevano trattenersi dal chiedersi: sarà il sogno di un’idealista? Un bluff come quello di Kid Rock candidato al Senato? O la mossa presuntuosa di un’attrice famosa, l’anticipo della candidatura Oprah-Bon Jovi del 2020? Chi conosce meglio la storia di Nixon pensa che potrebbe essere qualcos’altro: un troll del governatore. O, più astutamente, un colpo studiato per costringere il governatore verso sinistra. Ma nelle tre settimane di campagna elettorale, Cynthia si è trasformata in una persona diversa, una specie di fata madrina progressista che irradia il calore e l’empatia che mancano nell’attuale paesaggio politico. Se Cuomo fatica a stringere la mano, Nixon abbraccia. Se il governatore parla, lei ascolta. Quando lui fa notare le difficoltà di ristrutturare una metropolitana decrepita, lei giura che avvierà i lavori a qualsiasi costo. Anche se la vittoria è improbabile – il governatore gode di fondi per la campagna che si aggirano intorno ai 30 milioni di dollari, del sostegno di sindacati e altre fazioni e di un vantaggio di 43 punti nel primo sondaggio –, non è da escludere. Guardando i numeri, un analista della Cuny (City University of New York)ha calcolato che Nixon deve strappare a Cuomo solo 75 mila voti. E lei ha parecchi vantaggi: il fatto di essere un volto familiare, soprattutto a New York, il carisma e l’umorismo, e più in generale l’immagine di una mamma che scende in campo per raddrizzare le cose. A differenza di Cuomo, Nixon è stata invitata allo show televisivo presentato da una delle donne più influenti della città, Wendy Williams. Verso la fine del programma, Williams si sporge verso di lei. «E come affronti il fatto di avere gente intorno tutto il tempo? Gente che ti mette a posto i capelli, e i vestiti... e ogni volta che tu e Christine vi baciate...», dice, mimando i fotografi, «arrivano e click-click». Nixon ride. È troppo educata per dire: «Intendi come è stato vivere così per tutta la mia vita?». Nixon aveva nove anni la prima volta che è apparsa in televisione; impersonava una piccola mandriana in To Tell the Truth, gioco a premi in cui lavorava sua madre Ann, che era un’attrice. I genitori di Nixon si erano separati quando lei aveva sei anni. Suo padre, un giornalista radiofonico con famiglia in Texas, «aveva dei problemi» e la madre l’aveva avvertita che non avrebbe potuto pagarle il college. Così, Cynthia si era messa a recitare, facendo diligentemente i compiti tra un ruolo e l’altro. Ai registi piaceva: andava d’accordo con tutti e lavorava sodo. «Amava andare alle audizioni», ricorda David Rind, per molto tempo compagno di sua mamma, che è morta di cancro al seno nel 2013. «Ricordo che una volta è andata a un’audizione e sua madre, dopo, le ha chiesto: “Ma la volevi quella parte?”, e Cynthia: “No, volevo solo fare il provino”». E rano i primi anni Ottanta, e Nixon entrò nel gruppo di attori bambini che facevano film televisivi per il doposcuola, come My Body, My Child, in cui lei e Sarah Jessica Parker si ritrovarono insieme a interpretare le figlie di una donna – Vanessa Redgrave – tormentata dal dubbio se abortire o meno un figlio con gravi difetti. «Mia madre mi disse che aveva abortito, era illegale ai tempi, una cosa terribile», mi racconta. I suoi genitori erano politicamente impegnati: suo padre aveva fatto una serie di gran successo sui diritti civili, mi spiega orgogliosa, e ricorda di quando sua madre l’aveva portata a votare, spiegandole che non erano solo democratici, ma anche progressisti. Da adulta, Nixon aveva adottato lo stesso universo di valori. Ma ci vollero parecchi anni prima che arrivasse il suo momento decisivo con la politica. Accadde quando ebbe il primo figlio. Cynthia e il suo compagno di allora, Danny Mozes, volevano mandare la figlia, Sam, alla scuola pubblica. Ma avevano scoperto che gli altri genitori la pensavano diversamente: «Quelle persone simpatiche, che sembravano uguali a me, non avevano nessuna intenzione di mandare i figli alla scuola
«PER SCONFIGGERE DONALD BISOGNAVA ANCHE CANDIDARSI»
pubblica. È stato uno shock». Quando la bambina ha iniziato l’asilo, nel 2001, Nixon ha scoperto l’Alliance for Quality Education, un’organizzazione di genitori che si batte per una distribuzione equa dei fondi scolastici. A quel tempo Sex and the City era all’apice del successo, e lei utilizzò la sua fama per l’organizzazione, tanto che a un certo punto si incatenò ai cancelli del municipio, con altri genitori che avevano i figli alla scuola pubblica. Ricorda l’attivista Bertha Lewis, anche lei presente: «Eravamo tutte incatenate e c’era quella donna bianca, non ha detto sono un’attrice famosa, soltanto: “Mi chiamo Cynthia Nixon, i miei figli vanno alla scuola pubblica”. Poi ci hanno trascinate via». Grazie all’Alliance, conosce Christine Marinoni, allora direttrice dell’organizzazione, attivista e sindacalista. Nixon ricorda quel periodo come il momento in cui ha davvero trovato la propria voce: «Mi piaceva esprimere i miei pensieri, dopo aver recitato parole altrui per tanto tempo». E poi le piaceva Marinoni. Si sono sposate nel 2012, quasi un anno dopo che Andrew Cuomo aveva approvato il Marriage Equality Act, per il quale Nixon ammette a denti stretti che il merito va al governatore. L a moglie ci raggiunge dall’altra stanza, dove Max sta guardando alcuni video di gatti. Essendo la madre biologica, ha gli stessi capelli rossi, e ha passato parecchi anni a casa, prendendosi cura di lui e dei figli che Nixon aveva avuto con Mozes. Cynthia è raggiante quando la vede entrare. Sono molto affettuose, molto unite. Nixon ha definito la loro relazione «simbiotica». «Quando c’è una decisione da prendere, io butto lì un milione di idee diverse», spiega Marinoni. «Lei a un certo punto si stufa di tutte le mie chiacchiere e vuole solo…». «Prendere una direzione», conclude Cynthia. «Persino nel modo in cui ci siamo messe insieme. Ci desideravamo molto entrambe, ma sono stata io a dire: ehi, vieni qui». È andata un po’ così anche nella decisione della candidatura a governatore. Quando, dopo una serie di false partenze, era diventato chiaro che Nixon era pronta, Marinoni è andata nel panico. Cynthia la prende ancora in giro: «Mi ricordo che eravamo a letto e ti sei girata e hai cominciato “Oddio, ti candidi. Ti candidi per davvero. Oddio”». é aprile, e il clima a New York, come l’umore nazionale, è pessimo. Mentre Nixon esce dallo studio di Wendy Williams e va a prendere la metropolitana, gli schizzi di fango le sporcano le scarpe. Sembra una specie di metafora: a New York, in politica, tutti si sporcano. Cuomo, intanto, ha già virato a sinistra. Adesso lui è in una posizione relativamente fragile: si presenta per il terzo mandato, in un periodo in cui i candidati dell’establishment non sono esattamente i favoriti, e con un processo per corruzione che incombe. Un sondaggio Marist ha appena rilevato Nixon al 21 per cento, contro il suo 68 per cento. Eppure, l’ultima cosa di cui Cuomo ha bisogno prima delle primarie del 13 settembre è una sfidante con un nome noto, in un momento di forte impegno politico, che adora puntare il dito contro i suoi difetti. Anche l’influente Working Families Party ha appoggiato Nixon, nonostante le forti pressioni dall’ufficio del governatore. Melissa DeRosa, segretaria del governatore, mi dice che stanno prendendo molto seriamente la candidatura di Nixon. «Prendiamo tutto molto seriamente», aggiunge. Di nascosto, però, altri nell’ufficio deridono la sua candidatura, insinuando che è lei a somigliare a Trump. «Nixon è una celebrità senza alcuna esperienza, che sta portando avanti una campagna interamente basata sulla negatività, perché di suo non ha fatto niente in campo politico», mi dice una persona. Molti affermano che lei deve ancora spiegare quali punti del suo programma sono in contrasto con quello di Cuomo, eccezion fatta per il sostegno alla legalizzazione della marijuana. Ma sulla candidatura incombe un’altra domanda, che potrebbe venire in mente persino all’elettore più entusiasta: Cynthia Nixon sarebbe davvero in grado di governare lo Stato di New York? Ha costruito una carriera dimostrando la sua capacità di smuovere le folle, di relazionarsi con le persone, di battersi per cause importanti. Ma sarebbe davvero in grado di controllare altri politici ed esercitare il potere? Vale la pena detronizzare un’intera dinastia del Partito democratico per scoprirlo? Intanto, sul vagone della metropolitana, Nixon si avvicina a Marinoni per darle un bacio e alcuni newyorkesi, che l’avevano fino ad allora ignorata, puntano d’istinto l’obiettivo del telefono su di loro. «È proprio quello di cui parlava Wendy», bisbiglia Christine. Mentre il treno si ferma a Canal, un paio di adolescenti in giubbotto e eyeliner si avvicinano timide. «Lei era in Sex and the City?», chiede una. «È candidata per qualcosa!», dice l’altra. Nixon sfoggia il suo sorriso alla Clinton e spiega che sì, si è candidata alla nomina di governatore. Cinge le spalle delle due ragazzine e il papà fa a tutte una foto con il cellulare. «Buona fortuna», le augura mentre lei scende, e tutti sanno che non è una frase da dire a un’attrice.
«CI DESIDERAVAMO MA SONO STATA IO A DIRLE: EHI, VIENI QUI»