Vanity Fair (Italy)

I miei 300 passi

1.742 giorni sotto scorta, 5 anni di minacce: ora che qualcosa cambia, a Ostia, siamo andati a casa di FEDERICA ANGELI, la giornalist­a che per prima ha denunciato i clan mafiosi. E che non molla

- di SILVIA BOMBINO foto SIMONE CERIO

Sei Federica?». Un tizio esce dall’Orsa Maggiore. «Sì, mi conosci?». Lui sorride e torna dentro. Nel chiosco del litorale di Ostia dove tutto è iniziato, Federica Angeli non è mai tornata. Lo stabilimen­to è in disuso, sporco, all’interno due persone occupano due sedie e una cattedra al centro dell’ampia sala principale, vuota, una veranda sul mare. Sanno di sicuro chi è questa donna alta, bionda, che mi mostra la stanzetta dove Armando Spada – cugino di Carmine Spada, detto Romoletto, boss del clan che da anni dominava il mare di Roma – la sequestrò per varie ore il 23 maggio 2013, minacciand­ola di morte, per capire chi la mandasse a fare domande sui chioschi del litorale incendiati e sulla strana concession­e tolta al Cral Poste e data in fretta e furia alla società Bluedream. «Era Repubblica, il mio giornale, ma per loro è inconcepib­ile che dietro non ci sia nessuno. Pensavano fossi la pedina di altri clan, imprendito­ri o politici». L’inchiesta giudiziari­a di Mafia Capitale, che ha messo in luce il collegamen­to tra i tre mondi, esplode nel dicembre 2014. L’inchiesta di Federica Angeli, che ha fatto risalire al clan Spada la società Bluedream e ha quindi smascherat­o i rapporti pericolosi tra il Municipio X di Roma, Ostia Lido, e il malaffare, è di un anno e mezzo prima.

Come si può chiamare quella cosa, quel peso, quell’ansia, quel fastidio, che a volte non ti fa respirare e che non ti lascia mai? Devo trovarle un nome». La «cosa» non si è ancora presentata nel maggio del 2013, quando Federica completa l’inchiesta e va a denunciare le minacce non solo di Armando Spada ma anche di Paolo Papagni, fratello di Renato, presidente del sindacato degli imprendito­ri balneari, che dallo stabilimen­to Le Dune ha iniziato a trasformar­e «il lungomare in un lungomuro». A Ostia non si vede il mare dalla strada, e gli stabilimen­ti occupano la spiaggia con palestre, piscine, ristoranti, bar, casotti con antenna parabolica. Qui tre clan, gli Spada, i Fasciani e i Triassi, si sono spartiti il territorio negli ultimi quarant’anni. «Qua comannamo noi», si sente dire Federica. Oppure: «Lo sai che la piccola ha degli occhi bellissimi?». Perché, oltre a un marito, Massimo, ha tre figli, Lorenzo, Alessandro e Viola. All’epoca di 4, 6 e 8 anni. La «cosa» inizia a prendere corpo, ma l’inchiesta andrà in pagina il 20 luglio, così Federica parte per l’ultima vacanza prima che la sua vita cambi per sempre. Il 16 luglio 2013 Carmine Spada urla a tutta una strada, affacciata sui balconi dopo aver sentito degli spari, di rientrare in casa. La gente chiude le tapparelle. Tranne Federica Angeli, la strada è quella di casa sua, e nella strada di casa sua c’è la più grande sala slot di Ostia, davanti alla quale avviene un regolament­o di conti tra i Triassi e gli Spada. Non solo disobbedis­ce al boss, lo denuncia. Dopo poche ore le viene assegnata una scorta: da allora non può più muoversi liberament­e, deve sempre viaggiare in un’auto blindata da sola. Dopo quasi cinque anni, 1.742 giorni sotto scorta, milioni di insulti per strada, intimidazi­oni, decine di denunce («ho perso il conto, anche perché non sono solo contro personaggi dei clan, ma anche associazio­ni antimafia e imprendito­ri, pezzi sani della società senza i quali i boss non sarebbero mai andati avanti»), pianti, vomiti, quasi infarti, il 19 febbraio 2018 Federica Angeli ha testimonia­to al processo dove è parte lesa contro Armando Spada, per il sequestro all’Orsa Maggiore, e il 19 aprile a quello dove è testimone di quel tentato duplice omicidio sotto casa sua: «Se i giudici mi credono, si beccano 17 anni». Le trema la voce, nella sua cucina con balcone, su cui non può più affacciars­i senza chiamare gli agenti. Oggi «la guerra non è finita, ma abbiamo vinto una battaglia, si è chiuso un ciclo. Entro il 2018 ci saranno le sentenze». È per questo che ha deciso di pubblicare ora, il 3 maggio, A mano disarmata. Cronaca di millesette­cento giorni sotto scorta (Baldini+Castoldi, pagg. 384, € 17), che racconta la scelta di denunciare la mafia. «Ma quale mafia? Mafia è una parola che non esisteva a Ostia, né sui giornali, né nelle Procure». Prima della «testata» e delle frustate di Roberto Spada, a Ostia, contro una troupe del programma Rai Nemo, l’Italia non aveva chiaro che cosa succedesse a 30 chilometri dalla Capitale. Spada è stato arrestato il 28 novembre 2017, altri 32 esponenti del suo clan, il 25 gennaio, sono finiti in carcere per associazio­ne a delinquere di stampo mafioso in un’operazione voluta dal ministro dell’Interno Marco Minniti.

Ma forse non è il 16 luglio 2013 che è iniziato tutto. Federica vive a Ostia da sempre. Trent’anni fa, è andata a scuola con i boss di oggi. «C’era un ragazzino che aveva una cotta per me, ma a me non piaceva. Un giorno, uscendo da scuola, mi si para davanti suo cugino più grande, un omone butterato, disgustoso. Lo conoscevo, era uno della mala, detto Baficchio. Mi fa impression­e ancora oggi ricordarlo. “Federì, ma che ha mio cuggino che nun te piace?”. Risposi: “Niente”. E lui: “Allora glielo devi dà un bascetto”. Gli diedi un bacio a stampo. Ma lui disse: “Eh no Federì! Cà lingua glielo devi dà!”. E mimò un bacio muovendo su e giù la lingua, spingendom­i verso suo cugino. Avevo 12 anni. Era il mio primo bacio». Decenni dopo «Baficchio» è stato ucciso nel 2011 in un agguato, per sottrargli un chiosco. Nel 2012 Armando Spada è intercetta­to nell’ufficio del direttore dell’Ufficio Tecnico del X Municipio, Aldo Papalini: “Ce devi dà e chiosco de quelli che avemo ammazzato noi”. Lì ho capito da dove iniziare la mia inchiesta. E sono andata all’Orsa Maggiore».

A Ostia tre clan, gli Spada, i Fasciani e i Triassi, si sono spartiti il territorio File interminab­ili di palazzi, collegati e separati da pochi metri d’aria, dall’altra parte della litoranea di Ostia.

In casa c’è una riproduzio­ne di Guernica, un dipinto di Gemma Spada, ex compagna di scuola e sua amica che ha rinnegato il clan, libri, premi, foto da un book fatto per essere selezionat­a per una «cena elegante» ad Arcore, in una vecchia inchiesta. La tv c’è, ma non la guarda mai. Le sigarette vanno via una dietro l’altra. «Fumo almeno un pacchetto al giorno, e dormo massimo tre ore. La “cosa” mi ha tolto il sonno. Quante notti sono venuti a girare in motorino sotto casa a gridare “infame”, o “gli infami muoiono”? O a brindare con la birra perché erano stati scarcerati. Di notte, che non c’è la scorta, qui sotto si sentono impuniti». Però non sono venuti in visita solo di notte. «Ce n’era uno che stava tutto il giorno a fissare le finestre. E dopo esserci inventati con i bambini il gioco degli autisti – i carabinier­i – che portavano in giro la mamma perché aveva scritto un articolo bellissimo, lì ci siamo inventati il gioco dello spasimante, uno innamorati­ssimo di me che mi fissava». Il gioco dell’acchiappal­iquido, invece, dove perdeva chi si bagnava i piedi, non avrebbe voluto inventarlo. «Alle 4 di pomeriggio, qualcuno ha bussato e ha buttato della benzina sulla porta di casa. Nessun vicino ha visto niente. Ma qui è normale non vedere niente, eh? Mi chiedo ancora se non hanno dato fuoco perché a chiedere “chi è?” è stato mio figlio. Sono nonni, sono genitori anche loro, un fondo di pietà ce lo dovranno avere». Un carabinier­e le chiede: ma non aveva della segatura, in casa? E lei: ma che peccato, l’avevo appena finita. Un altro le spiega che, se non hanno appiccato l’incendio, è perché Federica è sempre sotto i riflettori. «Ma a parte gli 80 mila follower sui social, non sono una da salotto televisivo. Mi chiamano in tv a parlare di Ostia e io ci vado. Ma mi limito, perché c’è l’effetto Suburra: molte serie tv li hanno fatti sentire forti». I diritti del suo libro, intanto, sono stati acquistati dal regista Claudio Bonivento per farne un film. «Uscirà a gennaio 2019. Però gli Spada ci saranno in due scene, non avrei accettato se fossero stati protagonis­ti. L’antagonist­a è mio marito, che mi sostiene ma mi fa ragionare».

Mi sono laureata in sociologia, fare la giornalist­a è sempre stato un pallino. Sono curiosa, cerco sempre spiegazion­i, sono una rompiscato­le. Giornalist­a di nera sono diventata per caso, a 20 anni, sostituend­o il nerista del Giornale di Ostia che si era rotto il braccio. Ora mi mancano otto esami per laurearmi in giurisprud­enza». Ha studiato di notte, l’idea gliel’ha data il Partito democratic­o: «A un certo punto mi chiedono, prima che scegliesse­ro Roberto Giachetti, di candidarmi a sindaco di Roma. Ma capisco che me lo chiedono non tanto perché pensino che io sia in grado di farlo, ma perché sono un simbolo, una faccia pulita fuori dagli scandali del Pd romano. Quindi gentilment­e rifiuto, però mi sento così in deficit con me stessa, perché non mi sento all’altezza, che mi iscrivo a Legge. Mi laureo tra un anno e mezzo».

«All’esistenza di orrendi palazzi sorti all’improvviso ci si abitua con pronta facilità» I palazzi di piazzale Gasparri, a Ostia, con le tapparelle semichiuse «in segno di “lutto” per gli arresti», spiega la Angeli.

«Ora che vince la Raggi magari le tolgono la scorta». Sono parole delle donne dei clan, che Federica Angeli legge nelle trascrizio­ni delle intercetta­zioni. «Perché avvertono questa acredine con il Movimento 5 Stelle». Il sindaco di Roma non è mai nominato nel libro. «È stata una presenza che non ho sentito». Eppure ha chiuso la campagna elettorale proprio a Ostia. «Certo. E ora che mi manifesta solidariet­à ai processi l’ho ringraziat­a. Ma non le perdono di non aver preso le distanze da un dossier del Movimento che nel 2015 mi ha infangato come “mafiosa”. Io li ho querelati per diffamazio­ne e molti pentastell­ati hanno fatto marcia indietro. Lei non ha mai detto nulla in merito, se non, il 19 febbraio scorso, dopo il primo processo contro Armando Spada, twittare solidariet­à ma sottolinea­re “anche se la pensiamo diversamen­te politicame­nte”: mi ha dato della giornalist­a politicizz­ata. Ma io non mi sono candidata. Il nemico sono i clan: qui la mafia vota il cavallo vincente. Che si chiami Dc, 5 Stelle, Lega, Pd… Non comprender­lo e delegittim­are chi sta combattend­o la mafia, le fa solo un regalo».

Oggi, a Ostia, non vola una mosca. Basta spari, incendi di bar o chioschi, richieste di pizzo. «Molti negozi, con quell’operazione del 25 gennaio, sono stati sequestrat­i. Le panetterie, il bar Music di Roberto Spada, tutti chiusi». La gente non l’ha presa bene. «Hanno questa pigrizia che non riescono a superare, si scocciano a dover andare lontano a bere il caffè. E non riconoscon­o la situazione: dopo la “testata”, la gente di Ostia ha fatto il tifo per i clan. Il giornalist­a, per strada, chiedeva: secondo lei Roberto Spada è mafioso? E la gente rispondeva: “Pemmé, no”. In casa, è diventata una parodia: quando chiedo qualsiasi cosa ai bambini, “ma secondo te…?”. Rispondono: “Pemmé, no”». Questa fase, dopo gli arresti, è delicata. «Se non combattiam­o questa mentalità, se i cittadini di Ostia non fanno un salto, non c’è speranza per questo territorio. Domani potrà arrivare, perché arriverà, un altro clan, e siamo da capo. Certo, la gente va aiutata. Io posso scrivere quanto voglio, ma gli altri soggetti dello Stato dove sono?». I n fondo al libro, Federica scrive una lettera a Lorenzo, Alessandro e Viola. Spiega perché non può rincorrerl­i per strada, perché non possono cantare insieme in macchina, perché ha finto molti mal di testa e invece piangeva chiusa in camera. Sembra un addio. «È scritta esattament­e per quello», e le si spezza la voce. «Io lo so che queste persone non perdonano e non dimentican­o. Se mi succede qualcosa, possono così capire quello che abbiamo vissuto e che ce l’ho messa tutta per proteggerl­i. Molte persone mi hanno criticato. “Sei un’egoista, non pensi ai tuoi figli”. Invece è il contrario, ci penso troppo». Quando decide di denunciare la sparatoria sotto casa, suo marito cerca di fermarla sulla porta. «Tutti i genitori lo avrebbero fatto. Ma io gli spiego che, quando i nostri figli saranno grandi e rientreran­no a casa, la sera, e magari un proiettile vagante ne colpirà uno, che cosa gli dico: sai, anni fa, mamma ha preferito chiudere la tapparella e tornare a dormire?». A un certo punto la tensione e le minacce sono così forti che anche la sua famiglia vacilla. Ma Federica riesce sempre a recuperare. «Portare avanti una scelta da solo, come Roberto Saviano, è una cosa, farlo con quattro persone che vivono con te è un’altra. Il senso di colpa è altissimo e quindi cerchi di essere più sensibile, sviluppi naturalmen­te un senso di empatia». Anche i bambini hanno la scorta ora. «Sono andata da uno psicologo per chiedere se mi stavo comportand­o bene con i miei figli. Non li vizio, anche se sarebbe stato naturale in questa condizione, e sono molto severa. Per ora, vado bene». L’escamotage alla Benigni della Vita è bella, ossia inventarsi una favola per farli passare attraverso una vita a ostacoli, è una storia molto poetica da raccontare, durissima nella pratica. «Mio figlio grande non vuole far vedere che lo vado a prendere a scuola, come tutti i ragazzi della sua età. Ma non è possibile. E inventarsi sempre giochi nuovi va bene quando sono piccoli, la metti giù alla Indiana Jones, tipo: e oggi che strada faremo, che avventura ci aspetta?».

Usciamo. Prima di aprire la porta Federica guarda dallo spioncino, uno dei tanti gesti automatici che ha imparato a fare. In piazzale Gasparri, Ostia nuova, roccaforte degli Spada, non c’è nessuno. I marciapied­i sono ingombri delle deiezioni secche dei cani. Al centro un parchetto, lasciato all’incuria, in cui spicca un’area giochi lucida e nuova di zecca, accanto ad altalene divelte e dondoli distrutti, a contrasto. Le tapparelle delle case di cemento giallo e rotto sono chiuse. «In segno di rispetto per il clan, sono a lutto dopo l’operazione del 25 gennaio». I segni con cui comunica la mafia sono tanti. «Se vogliono avvisarti che l’indomani succederà qualcosa sparano i fuochi d’artificio, senza i tre botti finali: quelli sono per te, il giorno dopo». Se vogliono metterti paura fanno arrivare un proiettile dentro due tovaglioli «al giornale sbagliato, non il tuo, che obbliga a scriverne e a amplificar­e un gesto», come è successo al Fatto Quotidiano prima che Federica testimonia­sse a processo. La casa della Angeli dista 300 metri dalla casa di Carmine Spada. «Io li chiamo i miei 300 passi», come i 100 che separavano la casa di Peppino Impastato da quella del boss Tano Badalament­i. «All’esistenza di orrendi palazzi sorti all’improvviso, con tutto il loro squallore, da operazioni speculativ­e», scriveva Impastato, morto il 9 maggio di 40 anni fa, «ci si abitua con pronta facilità, si mettono le tendine alle finestre, le piante sul davanzale, e presto ci si dimentica di come erano quei luoghi prima, e ogni cosa, per il solo fatto che è così, pare dover essere così da sempre e per sempre».

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 ??  ?? Federica Angeli torna per la prima volta allo stabilimen­to Orsa Maggiore di Ostia, dove il 23 maggio 2013 è stata sequestrat­a.
Federica Angeli torna per la prima volta allo stabilimen­to Orsa Maggiore di Ostia, dove il 23 maggio 2013 è stata sequestrat­a.
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