Vanity Fair (Italy)

Come si legge un bosco

C’è «il semi-vergine», «il testimone», «la gonna». Si muovono, vedono, toccano, ricordano: sono gli alberi. Ci siamo addentrati nell’ALTOPIANO DI ASIAG0, nostra Terra di mezzo, con un libro che ne svela i segreti, alla ricerca del grande silenzio

- di LAURA PEZZINO

Farsi guidare in un bosco da Daniele Zovi, ex generale del Corpo forestale oggi in pensione, è come esplorare il Polo Nord con la Regina dei ghiacci o la giungla con Mowgli. Guarda le sue montagne, quelle che circondano come una corona il «panettone», l’Altopiano di Asiago, in Veneto, come un innamorato e dice: «Quest’anno la primavera stenta ad arrivare». Nei prati, bucherella­ti di crochi che quest’estate verranno sostituiti dalle margherite, si incontra ancora qualche cumulo di neve perché, quest’inverno, «ne ha fatta tanta, ma mai come nell’85: arrivai in motoslitta fino alla casa di Mario Rigoni Stern, lo scrittore (che raccontò la campagna di Russia e il mondo naturale, ndr), che mi disse: “Sei il primo uomo che vedo in tre giorni”, ed era felicissim­o. Lo aiutai a liberare una betulla che stava per spezzarsi».

Gli uomini di montagna parlano delle nevicate come fossero vini d’annata e tengono memoria di fioriture, ghiacciate e temporali come i ragazzini con i gol dei calciatori. Ora, il suo sapere, accumulato in 40 anni di lavoro nei boschi del Veneto, lo ha raccolto nel libro Alberi sapienti, antiche foreste. I vegetali costituisc­ono il 98% della biomassa del nostro pianeta e noi li conosciamo pochissimo. «Qui, dopo la Prima guerra mondiale, oltre ai paesi anche quasi tutti i boschi erano stati rasi al suolo. Allora gli uomini li ripiantaro­no, scegliendo soprattutt­o l’abete rosso, che cresce piuttosto in fretta».

Ci addentriam­o nei boschi sopra Asiago. «La differenza tra un bosco piantato e uno naturale è evidente: nel primo, è un’unica specie a prevalere. Ma, in natura, quando mai si è vista una foresta composta da un solo tipo di albero?». Poco dopo entriamo in un «bosco testimone», semi-vergine, dove regna il disordine delle camere da rifare e dove c’è un alternarsi di vita e morte, alberi di un solo giorno e tronchi in disfacimen­to diventati case per gli insetti. Da bambini ci insegnano che l’età degli alberi si calcola dal numero degli anelli del tronco, ma come si fa se l’albero non è tagliato? «Esiste una specie di trapano, il succhiello di Pressler», spiega Zovi, «che permette di estrarre dal tronco delle carotine sottilissi­me sulle quali contare gli anelli. Questi buchi qua, invece, sono opera dei picchi», e ci mostra legni trivellati dal picchio nero, che per istinto sa sotto quali cortecce si annidano le larve più succulente. Se è vero che l’essenziale è invisibile agli occhi, la regola vale anche per gli alberi la cui vita, «la più interessan­te» secondo Zovi, accade sotto terra: «Le radici sono veri e propri organi di senso. Gli “apici”, cioè le punte, devono prendere decisioni vitali: dove espandersi, come superare ostacoli, come evitare parassiti. Inoltre, è stato dimostrato che le piante, tra di loro, si aiutano: le radici di un esemplare sano vanno in soccorso di quelle di uno debole cedendo un po’ di linfa». Il giorno successivo, saliamo a 1.800 metri, in Val Formica, dove c’è ancora la neve. È qui che, il 24 maggio 1915, rimbombò il primo colpo di cannone della Grande guerra e sempre qui, nel 2013, il regista Ermanno Olmi, vicino di casa di Zovi, girò, in inverno «per avere le vere facce da freddo», il film Torneranno i prati, sul fronte bellico nord-orientale. «Guardo sempre la neve e il fango perché sono come lavagne dove leggere il passaggio degli animali», dice il generale, e indica tracce del capriolo, della lepre, dello scoiattolo e persino quelle del lupo, lineari per risparmiar­e energie preziose. La natura non si stanca mai di sperimenta­re: la parte bassa dell’abete rosso forma una specie di «capanna» che, arrivando fino al suolo, impedisce alla neve di accumulars­i. Qui le chiamano «gonne», e in questo modo gli animali possono trovare di che cibarsi (bacche, gemme, corteccia) anche in pieno inverno. Negli ultimi anni, si sente spesso parlare di «intelligen­za delle piante». Il generale preferisce parlare di capacità propriocet­tiva, «grazie alla quale l’organismo ha la percezione di sé in rapporto al mondo esterno e organizza risposte adeguate». Da Alberi sapienti, antiche foreste veniamo a sapere che gli alberi «si muovono» (tramite polline e semi), «vedono» (la luce), hanno input olfattivi (sviluppano sostanze tossiche per allontanar­e gli scocciator­i), hanno capacità di «tocco» (le piante carnivore) e di «memoria» (la mimosa pudica «ricorda» quali sono i movimenti per lei nocivi). In fondo, non sono poi così diversi da noi, se è vero che proveniamo tutti da un’unica cellula primigenia. Agli altri loro «sensi», si aggiunge la «voce». Ogni stagione, nel bosco, ha la sua colonna sonora: l’inverno è la più silenziosa, la più rumorosa è la primavera, quando tra i tronchi risuonano i richiami amorosi degli uccelli, che cantano su spartiti diversi. Pure Dino Buzzati, nel Segreto del Bosco Vecchio, descrisse la voce della foresta di notte, concludend­o così: «Ma due o tre volte, quella notte, ci fu anche il vero silenzio, il solenne silenzio degli antichi boschi, non comparabil­e con nessun altro al mondo e che pochissimi uomini hanno udito».

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Una foresta di abeti di Douglas, una conifera sempreverd­e che si è diffusa nelle regioni costiere del Nord America dalla Columbia Britannica.
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