Vanity Fair (Italy)

Era mio padre: l’uomo che disse i matti siamo noi

Compie 40 anni la legge 180 per eliminare i manicomi voluta da Franco Basaglia. La figlia Alberta oggi pubblica un libro per l’infanzia. Molto diverso dalle fiabe che sua madre le raccontava da bambina

- di ENRICA BROCARDO

Da giovane, la madre di Alberta Basaglia aveva scritto alcune favole per bambini. «Ma quando le raccontò a me e a mio fratello Enrico si rese conto che erano troppo spaventose». A posteriori, non stupisce che quei racconti fossero impregnati di terrore: Franca Ongaro ha lavorato tutta la vita a fianco del marito Franco Basaglia proprio per trovare un modo eticamente corretto di affrontare e superare le paure di tutti noi. A cominciare dalla paura della malattia: quella mentale ancor più di quella del corpo. Oggi Alberta, 62 anni, ha scritto a quattro mani con Giulietta Raccanelli I rintocchi della Marangona (Baldini+Castoldi, pagg. 203, € 17), un racconto per l’infanzia «ma senza orchi cattivi», che esce il 10 maggio, nel mezzo delle celebrazio­ni del quarantenn­ale della

180, la legge che decretò la fine dei manicomi, nata grazie alle battaglie combattute da suo padre e, anche se in pochi se lo ricordano, da sua madre. E non stupisce neppure che abbia scritto una favola per i più piccoli, visto che il suo primo libro, Le nuvole di Picasso, del 2014, sempre con la Raccanelli, era nato dagli incontri con i bambini delle scuole – Alberta è una psicologa ed è vicepresid­ente della Fondazione Basaglia – dove andava a raccontare l’avventura di avere avuto come padre l’uomo che ha chiuso i manicomi in Italia. È stato difficile essere la figlia di Franco Basaglia? «In generale non è facile essere la figlia di una persona nota che, oltretutto, suscita sentimenti opposti: da un lato ci sono quelli che lo santifican­o, dall’altro quelli che lo demonizzan­o». Che ricordi ha del manicomio di Gorizia dove lavorava suo padre? «Capitava di dover fare sosta in ospedale. Io rimanevo in macchina ad aspettare e, intorno, vedevo questi individui un po’ strani. Come può immaginare, non era facilissim­o rapportars­i con loro. Soprattutt­o per una bambina. Ricordo queste signore che mi davano i baci e i pizzicotti sulle guance. Non posso dire che mi facesse piacere». Raccontava del suo disagio ai suoi genitori? «Certo. Ma l’atteggiame­nto a casa era: “Anche se esistono cose che ti danno fastidio o che ti fanno paura, bisogna accettarle”. Non serviva neppure che me lo dicessero». Perché il messaggio non verbale era: quella cosa o quella persona esistono. Punto. «Esattament­e. Che poi è la filosofia di fondo che ha portato alla chiusura dei manicomi. A chi fa piacere uno che grida per strada? Però, in fondo, urla e basta e anche se lo nascondess­i da qualche parte continuere­bbe a esistere lo stesso. Ricordo feste nell’ex manicomio, riunioni alle quali partecipav­ano tutti, sani e no. Un giornalist­a, durante una di queste assemblee, riferendos­i alla persona che stava intervenen­do in quel momento, disse: “Quello è proprio matto”. Era uno dei medici. L’atmosfera era questa». I suoi genitori erano una coppia anche sul lavoro, eppure di sua madre si parla meno. «È inutile che le dica il motivo: era una donna. Ma ritengo che sia stato molto importante che abbiano collaborat­o, che un uomo e una donna, partendo da visioni diverse, siano riusciti a trovare una sintesi comune. Ricordo le loro discussion­i infinite, la notte». È vero che la famosa frase «da vicino nessuno è normale» non è di suo padre? «Non l’ha mai detto, ma è perfetta. È la didascalia della sua battaglia». Ha parlato della sua infanzia molte volte, ma i ricordi cambiano a seconda delle giornate. Qual è il primo che le viene in mente adesso? «Ogni weekend si andava in macchina a Venezia a trovare i nonni. Due ore all’andata e due al ritorno. Guidava mia madre perché lui temeva di addormenta­rsi e io, che soffrivo la macchina, me ne stavo in braccio a mio padre sul sedile davanti».

— Queste foto fanno parte di Morire di classe, il reportage di Gianni Berengo Gardin e Carla Cerati che contribuì negli anni all’approvazio­ne della legge 180

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Il giardino del manicomio di Gorizia e, sotto, Franco Basaglia nel 1969 con alcuni pazienti. Le strutture furono chiuse grazie alla legge 180 del 13 maggio 1978 che porta il suo nome.
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Servizi, l’11 e 12 maggio a Roma. Sempre l’11, al Salone del libro di Torino si svolge l’incontro Rivoluzion­e Basaglia.
La Fondazione Basaglia e Unasam, l’Unione nazionale delle associazio­ni per la salute mentale, promuovono il convegno Diritti Libertà Servizi, l’11 e 12 maggio a Roma. Sempre l’11, al Salone del libro di Torino si svolge l’incontro Rivoluzion­e Basaglia.

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