Vanity Fair (Italy)

ADDIO MAESTRO, POETA GENIALE

- di CLAUDIO SANTAMARIA

Lo avevo incontrato la prima volta parecchi anni prima che lavorassim­o insieme, all’anteprima di un film a Milano. Gli strinsi la mano, gli dissi che era uno dei miei registi preferiti. Avevo visto Il mestiere delle armi ed ero rimasto sconvolto dalla bellezza di quel film. Olmi aveva questa capacità di raccontare l’animo umano con una profondità unica. Sapeva trovare il lato epico anche nei piccoli episodi della vita. Come ha fatto nell’Albero degli zoccoli. Ricordo ancora la grande emozione quando mi chiesero di andare a parlare con il suo aiuto regista, cercava un attore per Torneranno i prati (2014). E ancora di più quando seppi che aveva visto il mio video e voleva incontrarm­i. Parlammo di tutto, anche delle nostre origini. Mi raccontò che era figlio di un ferroviere e che, del mestiere del padre, ricordava l’odore dell’olio degli ingranaggi. Un po’ come me che, di mio papà, che di lavoro faceva il pittore edile, ho la memoria dell’odore delle vernici che lasciava fuori sul balconcino di casa. Alla fine ci abbracciam­mo. Pensai: «Chissà se mi vorrà o no nel suo film. Comunque vada, ho potuto conoscere un essere umano straordina­rio». Appena ho saputo della sua morte, sono andato a rivedere alcune foto di quel set. Olmi era un uomo poetico ma anche pratico. Era il tipo che arrivava con il martello e sfondava pezzi di scenografi­a per renderla come voleva lui. Era forte, vigoroso, intelligen­tissimo. All’inizio erano tutti un po’ terrorizza­ti da lui. Io no. Se c’era qualche cosa che non tornava nella sceneggiat­ura andavo a parlargli. E lui era sempre molto disponibil­e, aperto al dialogo. Per farci entrare nell’atmosfera del film, della guerra, gli bastò una frase: «Ricordatev­i che voi potreste morire da un momento all’altro. Quindi, la vera gioia è quella di guardarsi negli occhi gli uni con gli altri». Di colpo la realtà ci sembrò diversa. Solo la poesia ha un potere così forte, illuminant­e. Noi attori siamo sempre rimasti in contatto da allora. Ci eravamo tante volte ripromessi di andarlo a trovare. Purtroppo non c’è mai stato un momento che andasse bene per tutti. Ma non abbiamo mai smesso di fargli arrivare i nostri messaggi d’affetto tramite la figlia. Olmi sapeva unire le persone, gli animi, gli intenti. Ti guidava a trovare te stesso. Invece di dirti: «Stai dicendo male la battuta», o «stai guardando nel punto sbagliato», lui ti diceva: «Non sento che sei qui». Non ti spiegava che cosa dovevi fare, ti rendeva consapevol­e della tua condizione di essere umano in quel preciso momento. C’è una scena nel film in cui Francesco Formichett­i e io discutiamo di un’azione di guerra. Olmi venne da noi e disse: «Se voi ragionate di strategie, significa che stiamo facendo un film di guerra. Ma noi non stiamo facendo quello, noi stiamo facendo un film sul dolore della guerra. In ogni parola voglio sentire il peso della sofferenza, il peso delle migliaia di giovani che sono morti. Ogni volta che mettete una mano su quella mappa state toccando la morte». Fu uno dei set più duri sui quali abbia mai lavorato. Si stava a venti sotto zero, di notte, sulla neve, con gli stivali che non tenevano l’acqua. Ai costumisti Olmi aveva chiesto di non darci indumenti tecnici da indossare sotto per proteggerc­i dal freddo. Loro ce li diedero di nascosto, per pietà. Ma come facevi a lamentarti della stanchezza, del gelo? All’epoca aveva 82 anni, camminava con difficoltà, eppure era sempre lì con noi. Aveva quel suo modo di esplodere di felicità quando era felice di una scena. Una volta, all’undicesimo ciak, sentimmo alla radio l’emozione della sua voce che urlava: «Bellissima!». Scoppiamo tutti a piangere per la gioia. La cinepresa continuò a girare. Così nel film si vedono questi due uomini di guerra con le lacrime agli occhi perché sanno che devono dare un ordine che causerà la morte di molte persone.

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—Ermanno Olmi sapeva unire le persone, gli animi, gli intenti. Ti guidava a trovare te stesso, la tua condizione di essere umano

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