Vanity Fair (Italy)

QUANDO L’AMORE DISTRUGGE

- di DARIA BIGNARDI

Cerco l’uomo che mi ucciderà». È difficile oggi non leggere le poesie di Katarina Frostenson senza pensare a suo marito Jean-Claude Arnault – l’uomo che le ha distrutto la reputazion­e e forse la vita e che lei continua a difendere – e senza domandarsi quanto nel segreto di una relazione d’amore possa nasconders­i un legame distruttiv­o. Alma Katarina Frostenson è una poetessa, una delle più importanti del mondo. Oggi ha sessantaci­nque anni ed è ancora molto bella: quando è stata eletta membro dell’Accademia di Svezia che assegna il Nobel per la Letteratur­a stava per compierne trentanove. Era la nipote di un famoso scrittore svedese, sacerdote, e la sua originalis­sima voce poetica era stata presto riconosciu­ta e celebrata. Aveva sposato un affascinan­te fotografo nato a Marsiglia che si occupava di promuovere arte e cultura tra Svezia e Francia, un uomo che ora è accusato di aver molestato almeno diciotto donne ed è la causa della disgregazi­one dell’Accademia e del mancato Nobel di quest’anno, un fatto che non accadeva dalla Seconda guerra mondiale. Per via dello scandalo – oltre alle molestie suo marito Jean-Claude Arnault avrebbe ricevuto fondi illeciti e rivelato per anni i vincitori del Nobel per averne vantaggi economici – si è dovuta dimettere insieme con molti altri membri dell’Accademia, e così dopo il cinema anche la letteratur­a viene travolta dal movimento #MeToo. Ho letto diverse poesie di Katarina Frostenson: sono molto poco svedesi. Sono viscerali, materiche, fatte di suoni. Quando diventò la donna più giovane a entrare nella prestigios­a, mitica giuria che assegna il Nobel per la Letteratur­a, raccontò di aver scoperto la magia delle parole a tre anni, sentendo parlare del transatlan­tico italiano che era stato speronato e affondato dal rompighiac­cio Stockholm: «La nave si chiamava Andrea Doria e io andai ripetendo quel nome a voce alta, da sola, per tutta l’estate». Già da bambina amava il suono delle parole, al di là del loro significat­o, «come un’esperienza estetica della bellezza». Le fotografie la ritraggono al Nobel mentre dà il braccio al marito in frac e lunghi capelli grigi sciolti sulle spalle. «La poesia è un enigma. Io amo ciò che è grezzo e brutale, ma qui in Svezia si apprezza soprattutt­o ciò che è ordinato e sottile, e si rifugge dal confuso e dall’indistinto. A me invece interessan­o le tensioni e le contraddiz­ioni», diceva. E vien da pensare a quanto anche l’amore sia un enigma pieno di contraddiz­ioni. Leggo nella prefazione di Claudio Angelini alla raccolta di Frostenson Tre vie, che le sue poesie spesso richiamano i miti tragici, come quello di Filomela, rapita dal marito della sorella, che dopo averla violentata le strappò la lingua perché non rivelasse quel che aveva subito ma si trasformò in usignolo: il canto, ovvero l’arte, sopravvive alla sofferenza e la riscatta. Forse la cerca. In una poesia intitolata La vergine parla sembra ci sia già tutto il suo destino: Farò uscire la frase dalla frase sterminerò/ la fiera che s’acquatta lì. Estrarrò/ la pallottola da lui/ dal cuore/ e udirò/ la parola da un corpo/ Come suona/ che cosa è che cammina sempre e non arriva mai/ ed è Ostacolo/ e non fa ostacolo/ che cos’è che sta là/ l’enigma dell’orrore/ Oh mio nemico, io sono incoerente/ io sono l’apparenza, le parti e il sorriso/ io sono l’onda sonora del vaso dell’aria.

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