Art BAIRES
Spazi, circuiti, gallerie: la forza dirompente che sta cambiando BUENOS AIRES è l’arte contemporanea. Da San Telmo a Villa Crespo fino a Porto Madeiro. Come (e dove) farsi trovare pronti in vista del 6 settembre, quando la capitale diventerà ufficialmente la prima nuova megalopoli di Art Basel
Aun certo punto bisogna decidersi: restare tra le due stradine colorate della Boca, dove i tangueros concedono ai turisti un giro di ocho per qualche spicciolo. Oppure spingersi nelle vie interne, lungo la Wenceslao Villafañe e la Caboto, dove l’umanità può apparire più derelitta ma non per questo minacciosa, e scoprire i murales (finanziati dal progetto governativo ColorBA) che lampeggiano tra le vie e imbattersi in quella forza che sta cambiando Buenos Aires dallo stomaco: l’arte contemporanea. «Insieme con spazi indipendenti come Walden Gallery e Quadro abbiamo creato il Distrito de las Artes: le gallerie dei quartieri ricchi come Palermo e Recoleta si stanno trasferendo qui», racconta Inés Starc, coordinatrice di Barro (Caboto 531, barro.cc), mentre supervisiona le operazioni di carico su bisarca di una scultura di Matías Duville, enorme asteroide della serie Romance Atómico destinato alla tenuta di campagna di un collezionista locale. A pochi metri c’è il cavalcavia Ricardo Balbín, sotto cui trova rifugio una piccola baraccopoli, coi bimbi che fanno il bagno nelle piscine gonfiate sulla strada: a un passo, si dice a giugno, sorgerà il nuovo Centro Munar voluto dal curatore Carlos Herrera. E a un passo ancora, affacciata su un’ansa del Río Matanza, ecco la Fundación Proa, gemellata con la Fondation Cartier di Parigi. A segnalarne la presenza, la gigantesca installazione dell’artista e dissidente cinese Ai Weiwei: Bicicletas Forever. Oltre milleduecento bici fuse a formare un arco, dello stesso modello chiamato «Forever» che nella Cina comunista è ritenuto tra i più lussuosi, di quelli che separano il popolo dal popolo. Poco lontano sorge la Usina del Arte (Agustín R. Caffarena 1), edificio industriale di inizio Novecento che ospitava la Compañía Ítalo Argentina de Electricidad: teatri, sale esposizione e il salòn mayor occupato da un’immensa scultura dell’artista porteño Eduardo Basualdo: La Cabeza de Goliat. E che a Baires si respiri creatività in ogni molecola dell’aria se ne sono accorti i giganti di Art Basel che, inaugurando il circuito delle Art Basel Cities (capitali che nei prossimi anni ospiteranno eventi al di fuori delle mete istituzionali di Basilea, Hong Kong e Miami), hanno deciso di partire proprio da qui, dal 6 al 12 settembre prossimi, con una settimana di mostre ed eventi che coinvolgeranno la megalopoli. «Buenos Aires è rimasta per anni esclusa dai circuiti dell’arte contemporanea, nonostante il panorama ricchissimo. Quest’evento le ridarà il ruolo che merita», spiega la curatrice del progetto, l’italiana Cecilia Alemani (il programma, in definizione, su Artbasel.com). Come un fiume carsico che spacca le strade e dà speranza al futuro, non c’è quartiere che sfugga alla art invasion. Tanto che persino a cena sembra ogni tanto di stare immersi in un’installazione: basta andare da Niño Gordo (Thames 1810), con le sue centinaia di lanterne rosse appese al soffitto, dove si serve una fusion sino-argentina in un’atmosfera da psichedelia pechinese. Oppure Casa Cavia (Cavia 2985), che è contemporaneamente ristorante, patio, villa storica, libreria, negozio di fiori rari e casa editrice. Entri nel monumentale hotel Park Hyatt e scopri che ogni corridoio ospita mostre temporanee. Ti spingi nel El Ateneo Grand Splendid (Avenida Santa Fe 1860) e ti rendi conto d’essere nella libreria più bella del mondo, ricavata in un teatro d’inizio Novecento dove si possono leggere i libri sui palchetti loggiati.
Solo nel quartiere di San Telmo, dove solitamente ci si spinge per il mercato della domenica e per gli antiquari, ci sono due musei d’arte contemporanea, uno di fianco all’altro: il Macba ma soprattutto il Museo de Arte Moderno. Dove è appena stata presentata un’installazione miracolosa di Tomás Saraceno, che in una stanza appena illuminata ha lasciato che diciotto colonie di ragni parawixia bistrata creassero le loro geometrie in lungo e in largo, tessendo tele attorno a cornici di metallo, e creando così un effetto di compiuto lavoro tra uomo, caso, necessità, natura. «L’unica fiera ufficiale è ArteBA, ma in compenso tutti i quartieri stanno esplodendo di gallerie e gli eventi sono quasi tutti gratuiti», dice Olivier Tenedor, un francese che ha fondato Quorum (Defensa 894), un art shop dove vengono vendute le opere di ottanta giovani artisti argentini. Dietro l’angolo c’è anche Big Sur, gestita da un colombiano specializzato in calligrafia e illustrazioni. Poi Mid Century, che vende solo sedie di modernariato appese ovunque, dal soffitto alle pareti, trasformandole in un inatteso elemento di decorazione: «I collezionisti argentini sono in grande crescita», spiega il titolare, Pedro Skochko, «i designer più quotati sono Ricardo Blanco, Horacio Baliero e Arnoldo Gaite, autore delle sedute R.O.L.O.». Altro barrio invitato alla grande danza è Villa Crespo, che nella pace delle sue viette alberate ospita gli studi di nomi in ascesa come Pablo Siquier, Carlos Huffman, Sofía Bohtlingk, Amadeo Azar. Anche qui è nato un circuito, Lista, che comprende spazi come Hace, specializzata in performance, e Gachi Prieto, sala espositiva ma anche atelier condiviso, una sorta di co-working per artisti. Fioritura figlia dell’energia ma anche dell’azione politica, maturata da quando le gallerie si sono riunite nell’associazione Meridiano: «In Argentina vige il protezionismo: importare è difficile ed esporre all’estero fino a poco tempo fa era quasi impossibile, dovevamo comportarci da contrabbandieri», racconta Ariel Authier della galleria Nora Fisch, che rappresenta venti artisti argentini a Villa Crespo e ha fatto lobby sul governo per allentare la burocrazia, «senza tutto questo, Art Basel non sarebbe mai arrivata». Prima di esplorare i grattacieli di Porto Madeiro, zona di docks in riqualificazione, beviamo un Pinot nero prodotto da Chacra, una cantina della regione del Rio Negro. Un vino unico, dice il sommelier, per via dei sedimenti lasciati dai dinosauri e divenuti nei millenni il sale minerale della vite. E senza sosta, tra le strade di Baires, l’immaginazione s’inchina, e poi volteggia.