Vanity Fair (Italy)

Quanto caos sull’aborto

In Irlanda si vota per modificare la Costituzio­ne che vieta l’interruzio­ne di gravidanza, in Iowa una nuova norma restringe l’accesso. E da noi, a 40 anni dalla legge 194, si ricorre al «fai da te» e si parla di «sindrome»

- ALESSIA ARCOLACI The HandmaidÕs Tale)

Sono passati 40 anni da quel 22 maggio 1978 in cui l’Italia si è dotata di una legge (la 194) per regolarizz­are l’accesso all’aborto (fino a quel momento illegale) all’interno delle strutture ospedalier­e. Una primavera dei diritti. Ci sarebbe da festeggiar­e, se non fosse che nel nostro Paese le donne che in età fertile vi accedono è di 6,5 ogni mille, mentre negli altri Paesi in cui l’interruzio­ne di gravidanza è permessa la media è di 37. Pur essendo una legge tra le più valide e aperte, la 194 è tradita ogni giorno dall’obiezione di coscienza, scelta a cui ricorre il 70 per cento dei medici (dati ministero della Salute), con picchi in Molise e Basilicata del 97 e 88 per cento. E se da una parte i dati rivelano che dal 1982 gli aborti sono in calo (nel 2016 le regioni hanno registrato 84.926 Ivg, il 3,1 per cento in meno del 2015), dall’altra restano i vissuti di chi non ha facile accesso all’aborto farmacolog­ico (solo il 15 per cento dei casi), meglio noto come pillola RU486, che può essere assunta solo in ospedale entro la settima settimana di gravidanza. In altri Paesi come Francia, Finlandia e Portogallo è prescritta dal medico di base. Senza considerar­e «l’aborto fai da te». «Non serve più la mediazione di un operatore», spiega la dottoressa Anna Pompili, ginecologa e socio fondatore dell’Associazio­ne medici italiani contraccez­ione e aborto. «È sufficient­e prendere una pasticca, magari comprata su internet». Pesa sulla situazione italiana il dibattito culturale che ha toni sempre più accesi, dai manifesti di Forza Nuova «194, strage di Stato» ai mega poster ancora in circolazio­ne firmati ProVita con immagini di feti di poche settimane e la scritta: «Tu sei qui perché tua mamma non ti ha abortito». Campagne mediatiche più politiche che scientific­he, però. «Per esempio: la Sindrome post aborto, ribadiamol­o, non esiste», continua Pompili. «Le donne che non hanno patologie psichiatri­che a priori non hanno insorgenza di patologia psichiatri­ca dopo l’aborto. Dire che c’è una maggiore probabilit­à di suicidi è un falso. Sono bugie con intento ideologico che giocano con la salute delle donne». Mentre l’ultra cattolica Irlanda si prepara, con il referendum del 25 maggio, ad abolire (forse) l’ottavo emendament­o con cui la Costituzio­ne in sostanza vieta in ogni caso l’aborto, nel mondo (25 milioni di Ivg l’anno) restano ancora troppe le limitazion­i a questo diritto fondamenta­le. E se in Iowa è stata proprio una donna, la governatri­ce repubblica­na Kim Reynolds, a firmare in questi giorni la legge sull’aborto più severa negli Stati Uniti, vietandolo dopo le sei settimane, c’è ancora molto da fare.

«Perché qualcuno diverso da me può decidere quello che posso fare con il mio stesso corpo?»

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Natalya O’Flaherty, 17 anni, poetessa, e le femministe ROSA (vestite come nella serie che sostengono il «sì» al referendum del 25 maggio.
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