Vanity Fair (Italy)

Figlio di un dio minore

Oggi è un trapper di successo, ma la sua vita non è stata facile. MA RUE, ex Maruego, racconta in una biografia l’adolescenz­a sulla strada, il razzismo subìto e del padre che lo rapì a tre anni

- di LORENZA SEBASTIANI

Metto la Milano buia e affamata nei testi delle mie canzoni». Maruego (al secolo Oussama Laanbi), rapper italo-marocchino, classe ’92, parla di razzismo, povertà, multicultu­ralità. E di un passato doloroso. Si trasferisc­e a Milano a pochi giorni di vita, nei quartieri di spaccio e droga, con cui il padre era a contatto. Pochi anni dopo viene rapito dal papà che lo porta a Berrechid, in Marocco. Poi la madre, pochi mesi dopo, riesce a riportarlo in Italia. Ha appena aperto un’etichetta discografi­ca, La Crème, e cambiato nome da Maruego a Ma Rue, «la mia strada, in francese». Ora si racconta nella biografia, scritta con Davide Piacenza, Autotune (Bompiani Overlook, pagg. 184, € 15), in libreria dal 23 maggio. Che cosa la distingue dai suoi tanti colleghi che fanno rap e trap? «Non vado in giro con mille collane, per esempio, e non ho bisogno di gonfiarmi l’ego più di tanto. Sentire certi temi mi ha anche rotto». Tipo? «Tipo frasi come “mi fumo cento canne al giorno” o “la mia ragazza è più figa della tua”. Anch’io in Cioccolata ho cantato temi come quelli, perché sul nostro pubblico, fatto di ragazzini, hanno presa. Oggi preferisco parlare di storie di vita, di integrazio­ne». E in Italia ce la fa? Nel libro definisce il nostro Paese «razzista». «Ho vissuto i pregiudizi sulla mia pelle. A scuola, dopo l’11 settembre, i compagni di classe mi sfottevano chiamandom­i Bin Laden, perché il mio nome, Oussama, ricorda quello di Osama. Reagivo picchiando­li. Ma ritengo l’Italia il Paese più bello del mondo. Mi sento marocchino perché sono nato là, e italiano di mentalità, perché sono cresciuto qui. Ma la mia musica ha anche influenze indiane, latine, orientali». Che cosa ricorda del rapimento? «Avevo tre anni. Ho sentito delle grida dalla camera da letto, i miei stavano litigando. Dopo un po’ mio padre mi dice che la mamma è a letto perché non sta bene. Poi mi fa mettere i giocattoli in una valigia. E siamo arrivati in Marocco. Mia madre poi un giorno è venuta fuori da scuola con il viso velato e mi ha riportato a casa. Ho rimosso tante cose, ma mi porto ancora i segni addosso». Nel libro scrive: «Ero figlio di un dio minore, fisso nell’ultimo banco, con le mie felpe hoodie oversize e le mie cinture tamarre». «Non ho mai avuto un padre, ho imparato a essere uomo da solo. Questo mi è pesato, ma l’ho superato. Il mio pensiero è di diventare papà un giorno e non abbandonar­e mai i miei figli. Mai, per nessuna ragione al mondo».

«Dire che la scuola non mi piaceva è un eufemismo. Sono stato bocciato quattro volte tra i 13 e i 18 anni, ma non è mai cambiata la mia voglia di trovarmi altrove»

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Il trapper Ma Rue (ex nome d’arte: Maruego; all’anagrafe: Oussama Laanbi), 26 anni. Il 23 maggio esce la sua biografia Autotune, scritta con Davide Piacenza (Bompiani Overlook, pagg. 184, ¤ 15).
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