LA DEBOLEZZA DEI BULLI
Caro Massimo,
In queste ultime settimane il professore di Lucca umiliato e irriso dai suoi studenti («si inginocchi!») è diventato, suo malgrado, un esempio da citare. La scuola è morta, la scuola non è morta… Ricordo la mia prima supplenza: avevo 26 anni e insegnavo in una media inferiore. Nel bel mezzo di una lezione fui colpita da un pallone di cuoio tiratomi da un alunno mentre ero girata di spalle, alla lavagna. Avevo letto tanto sugli adolescenti e preadolescenti e sapevo bene che, a quell’età, non esiste la valutazione del rischio. Eppure mi sentivo un pesce fuor d’acqua. Pochi giorni dopo uno studente arrabbiato tirò una sedia a un insegnante. Lui non era alle prime armi come me. Mi consolai. Questo succedeva in tempi in cui internet si usava solo come enciclopedia. Oggi invece tutto è diventato virale e allora si sono moltiplicati i video di professori più o meno presi in giro dagli studenti. Il mio alunno dal «piede d’oro» del 2000 mi era sembrato più spontaneo degli studenti di Lucca; a lui bastava l’ammirazione della classe: «Guardate come sistemo la supplente!». I ragazzi di Lucca recitano un copione per un pubblico vasto perché sanno di essere ripresi. I ragazzi di oggi sono poco ascoltati, se non dai media. Penso che si debba insegnare a usare i vari mezzi in senso critico e a non esserne schiavi. Questo gli addetti ai lavori già lo sanno, forse da prima del 2000. Tu cosa ne pensi? — Una professoressa
Vasto programma, Prof. Sgomberiamo subito il campo da un equivoco. Il bullismo c’è sempre stato, ma prima mancavano gli strumenti tecnologici per diffonderlo istantaneamente e dappertutto. Internet ha soltanto modificato la percezione del fenomeno. La percezione e, in parte, la motivazione. I ragazzi che prima davano spettacolo della loro trasgressione per stupire la compagna di classe, adesso lo fanno per farsi ammirare sui social. Ma, come conferma la sua testimonianza, nelle scuole i prepotenti e i balordi sono sempre esistiti. Il Franti del libro Cuore non aveva certo il telefonino. Più che gli studenti, sono cambiati i genitori. Anche nella mia adolescenza c’era il tipo che dava fuoco alla treccia della ragazza del banco davanti. Ma quando tornava a casa con un quattro in condotta, il padre e la madre sgridavano lui, non l’insegnante. Le ragioni del fenomeno le conosciamo a memoria: perdita di autorevolezza da parte delle figure detentrici di autorità e trasformazione del genitore in fratello maggiore che difende il consanguineo a prescindere, per tenere alto il buon nome della casata e proteggere la povera creatura da qualsiasi ferita dell’ego. Ma i ragazzi come potranno mai considerare questi genitori faziosi e questi insegnanti smarriti? Di recente mi è capitato di intervistare in televisione un ex studente «difficile» che gira le scuole per raccontare la sua storia. Mi spiegava che la bullaggine nasce dal bisogno di provocare nell’adulto una reazione. Con le sue bravate, il bullo vuole testare l’esistenza di un limite oltre il quale non gli sia lecito spingersi. Il permissivismo educativo ha tolto i confini. Ma, senza confini, ogni strada si trasforma in deserto. E nei deserti ci si perde. In assenza di reazioni, quindi di paletti, il bullo alza continuamente la posta. La sua, in fondo, è una disperata ancorché contorta richiesta di aiuto. Vuole essere educato, però non attraverso le prediche, di cui se ne infischia. Lo conquisti solo con l’esempio. Ma quale esempio arriva dai genitori che sequestrano il cellulare ai figli mentre loro non smettono di compulsarlo neppure a tavola? O che fanno la ramanzina al ragazzo perché legge poco e non aprono un libro dai tempi del liceo? Lo stesso vale per gli insegnanti. L’autorevolezza si conquista esercitando il proprio ruolo con passione e fermezza. Mi rendo conto che non è facile chiederle a persone che prendono stipendi da fame e il cui lavoro ha smesso da tempo di essere circondato dal prestigio sociale e si svolge in un contesto soffocato dalla burocrazia. Ci vuole una forza d’animo incrollabile per svegliarsi la mattina ed entrare in certe classi, sedendosi in cattedra senz’altro sostegno che la corazza del proprio carattere. Eppure i ragazzi sono sempre gli stessi. Pronti a estrarre da sé le peggiori infamie e le più stupefacenti meraviglie. Dipende da quanta stima hanno dell’adulto che sta loro di fronte. Da come lo percepiscono: predicatore incoerente o guida credibile?