Religioni del cibo
La nuova salvezza? La promettono vegani, crudisti, macrobiotici. Qui, un antropologo spiega come funzionano le sette alimentari
Il cibo è da sempre identità, per i popoli e per gli individui, ma negli ultimi tempi si sta davvero esagerando. «Le tribù alimentari sono la religione più diffusa del pianeta», spiega Marino Niola, antropologo che interverrà sull’argomento al Food&Science Festival (Mantova, 18-20 maggio) insieme con Elisabetta Moro. Non solo vegani, crudisti, fruttariani: a marzo in Italia è stata smantellata una «setta del macrobiotico», in cui gli adepti erano convinti che quello stile alimentare li avrebbe guariti da malattie incurabili. Sono solo mode o è fanatismo? «Prese singolarmente possono sembrare mode, insieme fanno un fenomeno imponente. Per questo sono una forma di religione, perché hanno il medesimo schema di regole, proibizioni e rinunce in cambio di una salvezza. Le religioni salvano l’anima, le sette alimentari vogliono salvare il corpo». In che momento ha cominciato a cambiare il rapporto col cibo? «Negli anni ’50 arrivano negli Stati Uniti le pubblicità: “fuma per dimagrire”, perché la magrezza diventa un valore fondamentale. Poi il fenomeno accelera con l’edonismo reaganiano e col benessere degli anni ’90, il culmine è ovviamente con la rete, che viralizza i fenomeni. In Italia è arrivato tardi, perché l’abbondanza è giunta dopo». C’è un legame tra fanatismo alimentare e benessere economico? «Assolutamente. Le sette alimentari sono un fenomeno borghese, che vuole riaffermare la superiorità dei ricchi attraverso il cibo, che mira a scriverla sul corpo a colpi di rinunce. Non a caso l’obesità colpisce le parti deboli dei Paesi forti». Vegani, crudisti, fruttariani: che cosa hanno in comune? «Un’idea della natura come Eden, un pacifico agriturismo. I vegani si ritengono fratelli degli animali, i crudisti negano la cottura, alla base della nostra civiltà. La stessa cosa fanno le paleodiete, che vorrebbero farci mangiare come i cacciatori raccoglitori di 12 mila anni fa. Senza sapere che per quelli l’aspettativa di vita era di 25 anni».