LE RAGAZZE DI CANNES
La diva Penélope Cruz, la giuria guidata da Cate Blanchett, le fantastiche 5 di un film di spie e la super favorita Alice Rohrwacher con Lazzaro Felice. La Croisette quest’anno è una questione da donne
SSembra che, nel corso della serata inaugurale del 71esimo Festival di Cannes, mentre sullo schermo passavano le immagini di Tutti lo sanno, il film diretto da Asghar Farhadi, che interpreta con il marito Javier Bardem, a Penélope Cruz si sia scucito sulla schiena il vestito nero che indossava. Non si è persa d’animo e, senza dare nell’occhio, è riuscita a organizzare un cambio d’abito, in tempo per emergere a fine proiezione e andare alla cena di gala che seguiva all’interno dello stesso Palais des Festivals, di bianco vestita. Stessa maison e un vantaggio: nuove foto da mettere in circolazione. Due giorni dopo, Penélope non aveva ancora finito di festeggiare le buone recensioni del film (soprattutto alcune, americane, che la definiscono «star carismatica, all’interno di una coppia carismatica») e partecipava sorridente a un lunch per trenta invitati della stampa internazionale, a lanciare una capsule collection di gioielli da lei disegnati e realizzati in materiali sostenibili. Si è fermata giusto il tempo di assaggiare un antipasto a base di mozzarella di bufala e una spigola ai carciofi violetti perché nel pomeriggio aveva un altro impegno. Doveva attraversare la Croisette insieme con Jessica Chastain, Marion Cotillard, Lupita Nyong’o e Fan Bingbing. Stanno per iniziare a girare un film insieme. È un film di spionaggio e azione, le cinque attrici interpretano altrettanti agenti segreti. Un James Bond al femminile moltiplicato per cinque star globali, di cui tre premi Oscar (Cotillard, Nyong’o e Cruz) accuratamente selezionate: un’americana, una spagnola fortissima su tutti i mercati latini, la francese più famosa a Hollywood, un’asiatica e un’africana. Nel film, che ancora deve essere
girato e che si chiamerà 355 (un titolo in cifre, sì, esatto, proprio in stile 007) c’è tutto quello che è diventato indispensabile, oggi: femminismo e diversità. Il regista sarà un uomo, Simon Kinberg, alla sua opera prima (ma è lo sceneggiatore di X-Men e dei Fantastici 4), resta evidente che la forza del film sono le «fantastiche cinque». L’idea è venuta a Jessica Chastain, giurata a Cannes un anno fa, che si era lamentata parecchio e pubblicamente della scarsità di personaggi femminili interessanti e originali. Così, nell’arco di quest’anno, ha messo insieme il progetto. Felice di avere aderito, Penélope Cruz dice: «Jessica è stata il nostro Babbo Natale», e sorride, consapevole di avere, in una manciata di ore a Cannes, spuntato praticamente tutte le caselle necessarie del carnet di requisiti di una star del Terzo Millennio: cinema d’autore, glamour, impegno sociale e film di grande intrattenimento, quelli che producono quattrini e rendono possibili le categorie precedenti.
APenélope, per completare il quadro della diva perfetta per lo spirito del tempo, manca solo la presidenza della giuria di un festival prestigioso, compito che quest’anno, a Cannes, è andato a Cate Blanchett. «Essere attraenti non esclude essere intelligenti», ha detto, tanto per mettere le cose in chiaro. E, con altre attraenti e si presume intelligenti signore (Léa Seydoux, Kristen Stewart, Ava DuVernay, Khadja Nin, più quattro uomini, l’attore Chang Chen più i registi Denis Villeneuve, Robert Guédiguian e Andrey Zvyagintsev) avrà in mano il destino del primo Cannes dopo gli scandali delle molestie e l’insorgere dei movimenti neo femministi. Non farà sconti a nessuno, il presidente Blanchett. Ha guidato la montée des marches delle donne del cinema, uno dei momenti più belli del festival e, insieme ad Agnès Varda, ha letto un documento in cui si diceva «non siamo minoranza, vogliamo la parità», ma ha anche dichiarato che le donne «non hanno bisogno né di chi pontifica né di chi generalizza, ma di azioni concrete e lavoro di qualità». Come dire: solo se i film diretti da registe (ce ne sono tre in concorso) saranno buoni riceveranno dei premi, niente quote rosa o favoritismi. Certo, il contesto è cambiato. E il successo di critica e di pubblico di Lazzaro Felice di Alice Rohrwacher potrebbe trasformarsi in una presenza pesante nel Palmarès finale. Le donne del cinema, che in questi mesi hanno aderito al movimento #metoo e #timesup si sono fatte sentire con voci personali, forti e chiare, attraverso i film (Les filles du soleil di Eva Husson sulle guerrigliere curde, Rafiki, storia lesbica censurata in Kenya, diventato una bandiera Lgbt al festival), ma anche con dibattiti e incontri. Si è parlato tanto, sulla Croisette, di registe, produttrici e sceneggiatrici, di associazioni come l’European Women Audiovisual Network, dell’italiana Dissenso comune, della spagnola Asociación de mujeres cineastas, della Greek Women’s Wave, della francese 50/50 en 2020 che mira alla parità dei salari entro i prossimi due anni, e, più in generale, della presenza delle donne nel business. Saranno le ragazze a salvare il cinema dalla sua crisi? Difficile dirlo e difficile anche stabilire se la sottolineatura del contributo femminile all’industria non rischi di essere solo una tendenza del momento, molto politicamente corretta ma che non riuscirà a migrare dal mondo dello spettacolo a quello di mestieri e professioni meno ricchi e visibili. Staremo a vedere, ma un fatto è palese: il dibattito sulle molestie è stato solo la miccia di qualcosa di molto più profondo. Così, le donne del cinema, un tempo stelle brillanti e solo decorative, sono diventate un esercito di amazzoni. E poiché gli eserciti hanno bisogno di divise, è esteticamente quanto mai opportuno il ritorno nella moda del tailleur pantalone, divinamente indossato da Cate Blanchett e molte altre. Una prima vittoria delle nuove amazzoni? Capernaum, film della regista Nadine Labaki (in concorso) è già stato venduto alla Sony Pictures Classics per un milione e 300 mila dollari e si parla di uscita americana in vista della stagione degli Oscar. Come dice una battuta femminista: le ragazze non vogliono solo divertirsi, le ragazze vogliono diventare amministratore delegato.
«LE DONNE NON HANNO BISOGNO DI CHI PONTIFICA, MA DI AZIONI CONCRETE E LAVORO DI QUALITÀ»