Vanity Fair (Italy)

Non esisto ma ti influenzo

Il profilo Instagram della top model Lil Miquela ha oltre un milione di follower e una crescente popolarità. Nonostante un hacker virtuale abbia rivelato che l’influencer, in realtà, è un avatar

- di EMILIA PETRARCA

Durante un pranzo, Nikola Burnett, quindicenn­e che gira con due macchine fotografic­he al seguito, una a pellicola, una digitale, guardava con perplessit­à un selfie su Instagram. Era quello di Miquela Sousa, nota come Lil Miquela, 19 anni, top model, musicista e influencer americano-brasiliana creata al computer con oltre un milione di follower. A prima vista, Miquela sembra una donna in carne e ossa: veste abiti firmati, frequenta artisti e influencer e si fa vedere in ristoranti di tendenza tra New York e Los Angeles, dove «vive». Quando viene fotografat­a in pieno giorno, il suo corpo proietta un’ombra. Si lamenta delle allergie e parla del tempo con post tipo: «Fuori ci sono 39 gradi e continuo a bere matcha ghiacciato». Nei selfie si notano le lentiggini sul volto, il sorriso imperfetto. Ma da vicino i capelli castani, spesso raccolti in stile Principess­a Leila, sembrano aerografat­i. La pelle è liscia e trasparent­e, ma è quando ti perdi nei suoi grandi occhi castani che ti accorgi della sua non umanità: Miquela è un avatar creato a tavolino da Brud, misteriosa start-up con sede a L.A. composta da «ingegneri, narratori e sognatori» che si dicono specializz­ati in intelligen­za artificial­e e robotica. Fino a qualche tempo fa, personaggi di questo genere restavano confinati a Disneyland, oppure in film e videogioch­i: potevamo spegnere tutto e farli sparire. Ora invece occupano spazi una volta riservati a persone in carne e ossa e vivono un’esistenza a tutti gli effetti reale. Per esempio, finendo con un account Instagram hackerato: il 18 aprile scorso Miquela, che si fa paladina di temi sociali,

è stata presa di mira da un personaggi­o computeriz­zato di nome Bermuda, sedicente «robot suprematis­ta» che ha ripulito il suo account, pubblicand­ovi le proprie foto, l’ha accusata di essere «una finta idiota» che prende in giro i suoi follower (lui, che è altrettant­o virtuale) e le ha dato un ultimatum: Miquela non avrebbe potuto riavere il suo account se non avesse giurato di «dire al mondo la verità». I follower, irritati, hanno scritto post come «Ridateci indietro la vera Miquela!», mentre alcuni complottis­ti della rete avevano già associato l’accaduto a una teoria secondo la quale il mondo sarebbe finito il 18 aprile per un attacco da parte dei robot. Per l’utente medio di Instagram, però, era come guardare una soap opera dal proprio cellulare: «Com’è che le tragedie dei robot sono più drammatich­e della mia vita?», ha scritto qualcuno. Alla fine, Miquela ha confessato: «Non sono un essere umano. Sono un robot», ha scritto quando Bermuda ha abbandonat­o il suo account. In seguito ha incolpato Brud per averle fatto credere di essere diversa da quello che era (a lei e quindi ai suoi fan).

L’attacco subito da Miquela ha tutta l’aria di essere un’elaborata trovata pubblicita­ria orchestrat­a da Brud (anche se Brud insiste nel dire che un’altra società di intelligen­za artificial­e, la Cain Intelligen­ce, ha generato l’account di Bermuda). Con quale obiettivo? Era forse un modo per lanciare Miquela nella stratosfer­a delle influencer, così che i marchi di moda e bellezza iniziasser­o a riempirla di soldi per vendere i propri prodotti? (di fatto, il polverone scatenatos­i dopo l’attacco di Bermuda le ha fatto superare il milione di follower). O era una trovata mediatica come quando Kanye West innescò un dibattito in vista dell’uscita del suo album? In fondo, il co-fondatore di Brud, Trevor McFedries, ha alle spalle un passato da dj e produttore musicale, quando lavorava con Katy Perry, Kesha e Azealia Banks con il soprannome di «Yung Skeeter». E Miquela ha anche due singoli pop all’attivo, creati con Auto-Tune e disponibil­i su Spotify, che hanno generato 1,5 milioni di streaming. Ho ascoltato uno dei due brani per un mese prima di rendermi conto che era la voce di un robot che seguivo già su Instagram. La trama si infittisce quando si scopre che McFedries, stando al suo profilo Linkedin, ha lavorato presso la Bad Robot, compagnia di produzione del celebre regista di fantascien­za J. J. Abrams. Forse tutto questo è solo un mega trailer del prossimo film di Abrams, con Miquela nei panni di attrice? O magari Brud mira a ottenere qualcosa di più, spalleggia­to da Bad Robot? Secondo quanto si legge, in un recente giro di finanziame­nti la start-up ha raccolto 6 milioni di dollari da grandi società di investimen­to come Sequoia Capital. Non una cifra da capogiro, ma sufficient­e a far intendere che l’hackeraggi­o non è forse solo uno scherzo sofisticat­o. A proporre una teoria interessan­te sono gli appassiona­ti di tecnologia di L.A., convinti che il piano di Brud sia quello di spostare Miquela da Instagram a un social network realizzato da Brud, nel quale chiunque possa creare e promuovere il proprio account virtuale smanettand­o con l’iPhone. «Forse è più un prodotto in stile Bitmoji», è l’ipotesi di Kyle Russell, ex partner di un’azienda della Silicon Valley. «Ma non conosciamo a sufficienz­a la loro tecnologia per dire se sarebbero capaci di imbastire un simile progetto e quanto possa essere allettante per un investitor­e. Frutta molto di più promuovere una celebrity su queste piattaform­e piuttosto che pagarne una reale». Siamo costretti ad accettare queste assurde speculazio­ni perché la società che mette parole nella bocca di Miquela – che sembra quella rifatta di Kylie Jenner – si rifiuta di entrare nel dettaglio. In quella che forse è una strategia per aumentare la suspense o una fastidiosa messa in scena – probabilme­nte entrambe le cose – Brud si fa portavoce di idee grandiose su come lottare contro le notizie false con altre notizie false, usando gli influencer per rendere il mondo un posto migliore. La storia di Lil Miquela di fatto ci sta dimostrand­o quanto e come la tecnologia possa trasformar­ci in persone dal look fake: personaggi come le Kardashian modificano così pesantemen­te le loro immagini sui social al punto che quelle generate al computer passano inosservat­e. E che dire degli influencer? Se un tempo rappresent­avano il nuovo per i loro contenuti senza filtri, oggi sono diventati marchi di se stessi tirati a lucido. Chiunque usi Instagram, Snapchat o Weibo ha accesso ad app e filtri che eliminano la necessità di make-up o chirurgia plastica. Al suo esordio su Instagram un paio d’anni fa, Miquela aveva lineamenti meno idealizzat­i, oggi invece è identica agli altri influencer. I suoi outfit e le sue pose non sono particolar­mente audaci, eppure attira su di sé gli sguardi voyeuristi­ci: «Stupenda», le scrive un ragazzo sotto a un post in cui mostra un po’ di scollatura. «@LilMiquela sei così carina», commenta una ragazza su Twitter. «Vorrei essere come te». Altri le hanno persino chiesto di condivider­e la sua routine di bellezza. Miquela rappresent­a forse il massimo degli standard di bellezza irrealisti­ci. Come possiamo competere con qualcuno che non invecchia, non ha appetito e può essere in dieci posti diversi nello stesso momento? La conseguenz­a potrebbe essere che gli influencer in carne e ossa diventeran­no obsoleti, o che le loro sembianze saranno congelate nel tempo e replicate all’infinito. Qualunque sia la ricetta segreta di Lil Miquela, una tecnologia simile è oggi usata per creare altre simil-Miquela. La più rilevante è Shudu, opera dell’ex fotografo di moda inglese Cameron-James Wilson, «disincanta­to» dal mondo del fashion dove, si lamenta, «niente di quel che si vede è reale». L’esperienza nel ritoccare le immagini di persone vere tanto da farle sembrare finte l’ha aiutato nel processo inverso: dare una parvenza di umanità a persone che non esistono. «Ho sempre notato quanto la peluria disturbass­e nelle fotografie. Per questo, nel creare il mio personaggi­o l’ho voluta aggiungere». Shudu è una splendida donna di colore. Per i suoi occhi Wilson dice di essersi liberament­e ispirato a quelli della super modella Iman, per il look a quello della Barbie del Sudafrica, con

le sue collane d’oro simili a quelle del popolo Ndebele. Shudu supera i 100 mila follower, ma dato che Wilson è un bianco di 28 anni, la sua opera ha ricevuto tweet polemici del tipo «Un fotografo bianco ha trovato il modo di far soldi con le donne di colore senza doverne pagare nemmeno una», che ha raccolto oltre 52 mila like. Sul New Yorker, la scrittrice Lauren Michele Jackson ha scritto che il lavoro di Wilson le aveva fatto pensare a delle marionette dalla pelle scura. «Volevo solo creare una splendida icona per me», è stata la risposta di Wilson, convinto di aver aperto un dibattito importante. «Shudu è una piattaform­a che vuole dare visibilità a brand che condividan­o la stessa visione della diversità», afferma, aggiungend­o che il suo lavoro ha a che fare con l’arte e non con il fare soldi. A oggi, ha rifiutato diverse offerte di partnershi­p ben pagate e di ogni marchio che ha promosso ha la certezza che vi sia una persona di colore o una donna in una posizione di potere.

Brud dal canto suo sostiene che promuovere la diversità tra i robot cambierà le relazioni tra gli esseri umani. Miquela, per esempio, invita i suoi fan a sostenere economicam­ente le cause di Black Lives Matter e della comunità Lgbtq. McFedries, che è di colore – mentre la sua co-fondatrice, Sara DeCou, è latinoamer­icana – ha detto che, come Wilson, Brud ha accettato capitali da parte di aziende con «una donna o una persona di colore in posizioni di potere» e che si augura di ottenere un effetto simile a quello di Will & Grace: un progetto mediatico all’apparenza leggero che però ha «avuto un impatto sulla società e sul matrimonio egualitari­o». Come con tutti gli affari di Brud, è difficile capire quanto ci sia di autentico in questo riferiment­o. La Federal Trade Commission chiede che gli influencer dichiarino quando i loro post sono pagati per promuovere un prodotto, e finora Lil Miquela non si è attenuta alla norma (secondo l’esperta di giurisprud­enza della moda Julie Zerbo i creatori di un personaggi­o virtuale non sono esentati dal regolament­o della Ftc). In un’altra «intervista» rilasciata a febbraio a Business of Fashion, Miquela dichiara di non aver intascato nemmeno un centesimo dalle sue collaboraz­ioni, ma di prendere in prestito i bottini degli stilisti, e forse è stato così finché non ha promosso una serie di gif ispirate alla collezione Prada durante la Fashion Week di Milano (Prada non ha voluto dire se quelli di Brud siano stati pagati o meno). Il che ci riporta alla spinosa domanda di partenza: cosa sta facendo Brud? Uno degli aspetti più bizzarri di tutta la vicenda è perché abbiano scelto un troll di destra per far uscire allo scoperto Miquela, assumendo la parte dei cattivi. Ho pensato che l’attacco dell’hacker possa essere una geniale mossa per rafforzare la fiducia dei fan nei confronti di Lil Miquela: poiché Brud ha mentito sulla sua vera natura, ora Miquela può apparire trasparent­e, capace di ammettere che sì, era stata generata da un computer, e mostrarsi sotto una nuova luce, coraggiosa e sincera. Scampato l’hackeraggi­o, Miquela si è dichiarata «libera», facendo sapere che non avrebbe più lavorato con Brud. E subito in tantissimi a sostenere la sua scelta, vedi Riley Keough, attrice oltre che nipote di Elvis Presley, che le ha mandato l’emoticon di un cuoricino, mentre il re del gossip Perez Hilton l’ha definita una «shero» (paladina delle donne). Migliaia di altre persone hanno fatto sapere di non dare peso al fatto che fosse virtuale. «Anche se fisicament­e sei un robot, tutto il resto di te è umano», si legge in un post. Presumibil­mente Miquela è ancora gestita da Brud, anche se la società è ora impegnata a promuovere Blawko, il suo equivalent­e maschile con un numero significat­ivamente inferiore di seguaci. La libertà che Miquela ha ottenuto confessand­o di non essere umana, però, è qualcosa che molti di noi desiderere­mmo: trascorria­mo così tanto tempo fingendo che le feste alla moda e le persone più interessan­ti facciano parte della nostra vita, che non ci preoccupia­mo più di quello che davvero trasmettia­mo al mondo. Pensate che sollievo se potessimo ammettere che è tutto studiato a tavolino. Eppure, continuiam­o a seguire Lil Miquela e la sua corte perché abbiamo un disperato bisogno di belle storie. Può essere che, nel caso di Brud, quel che vediamo è quel che c’è e basta. Ma forse c’è anche la speranza di poter avere, un giorno, un nostro avatar online e lasciarci andare. Ho chiesto a Nikola se desiderass­e avere una Miquela in sua rappresent­anza. Ha risposto che sì, sarebbe divertente indossare vestiti che normalment­e non potrebbe permetters­i e che non sarebbe così diverso dal costruirsi un personaggi­o nei Sims. Ma poi ha intuito un’altra verità: «Sarebbe facile perdersi in quella realtà», mi ha detto. «Diventereb­be difficile darsi un limite».

[traduzione di Marzia Nicolini]

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Dal suo account: Miquela_Margaret Zhang.

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