Il giro del governo in 80 giorni
Nasce il governo giallo-verde di Movimento 5 Stelle e Lega: lo storico Giovanni Orsina ci spiega perché ci è voluto tanto e che cosa ci aspetta
Sono passati 80 giorni dal 4 marzo e l’accordo sul «contratto di governo» è raggiunto tra Lega e Movimento 5 Stelle. Probabilmente verranno superati gli 83 serviti al governo Amato per formarsi nel 1992. Come mai? «Perché si tratta di una situazione senza precedenti», spiega Giovanni Orsina, storico e vicedirettore della School of Government presso l’università Luiss. «La Prima repubblica aveva una grammatica degli accordi, per cui alla fine le alleanze in qualche modo si formavano. Nella Seconda repubblica con il sistema maggioritario, una maggioranza, appunto, si trovava. Oggi, dopo che dal 2013 è entrato in gioco il Movimento 5 Stelle, la situazione si regge su tre poli molto diversi, che soprattutto si muovono su due assi: uno tradizionale destra/sinistra, l’altro vecchio/nuovo – che si può anche chiamare europeismo/sovranismo. Per cui il Movimento ha l’elasticità di tentare un accordo sia a sinistra, perché votato da molti ex elettori di sinistra, sia con chi si pone elemento “nuovo”, come la Lega. Perché la destra non è più a “trazione Berlusconi”». All’indomani delle elezioni, lei diceva che un governo Lega-5 Stelle era improbabile. «Ho sbagliato: contavo su una mia convinzione, ossia che alla Lega non convenisse allearsi con i 5 Stelle per ficcarsi in un governo fragile. Dentro il centrodestra la Lega ha la possibilità di guidare un movimento oltre il 40%, recuperando astenuti e forzisti: Berlusconi ha 81 anni e il suo 14% è un buon terreno di caccia, Salvini doveva puntare a nuove elezioni». Perché invece si è accordato con Di Maio? «La trattativa è stata molto complicata, sui temi e sulle poltrone, e ha rischiato di fallire molte volte. Salvini però, di fronte al rischio di governo tecnico, ai freni di Mattarella sullo scioglimento delle Camere per andare a nuove elezioni, ha voluto incassare. Nella politica italiana si ragiona sul brevissimo periodo. La logica è, citando un film di Woody Allen, Prendi i soldi e scappa». La consultazione della base ha portato 44 mila persone a votare online (94% sì) e 215 mila ai gazebo dei leghisti (91% sì). Non sono numeri bassi?
«Il problema è che è un plebiscito, non un vero referendum, e con percentuali bulgare. Si è presentato un menu lungo, generico, senza l’indicazione di tempi e priorità. Chiunque, se gli promettono la luna, prima o poi dice che la vuole: si tratta solo di un’operazione di marketing». Posto che in media la durata dei governi italiani si attesta su un anno e due mesi, reggeranno? «È molto difficile, bisognerà capire quanto gli elettori di sinistra del Movimento saranno contenti di stare con la Lega. Come interpreterà il suo ruolo il nuovo Presidente del consiglio. Se non si riesce a coinvolgere Fratelli d’Italia, al Senato il governo ha una maggioranza molto risicata di sei voti. Dopodiché, il potere è un buon collante: se la legislatura parte, ci sono degli elementi che tendono a conservare, fare il ministro piace. Comunque sarei davvero sorpreso se questo governo durasse oltre le elezioni europee del 2019, molto dipende dai primi passi». Uno dei primi nodi è la questione dell’Ilva. «I 5 Stelle vogliono chiuderla, la Lega vuole salvare i posti di lavoro. Quella è davvero una cartina di tornasole». Lei ha da poco pubblicato con Marsilio La democrazia del narcisismo. Chi è il più narciso tra Di Maio e Salvini? «Il narcisista non è solo chi si guarda allo specchio tutto il giorno, ma anche chi reinterpreta la realtà a proprio uso e consumo: faccio promesse iperboliche non curandomi se ci sono i soldi. Di Maio e Salvini ormai fanno storytelling, in cui conta solo se la fiction avvince. Ma la responsabilità non è solo loro: è tutta la politica che ormai ha un rapporto fragile con la realtà. Comunque, per rispondere: Di Maio più di Salvini». È grave quello che dice: siamo in mano a gente che ha perso il contatto con la realtà? «Assolutamente sì, è terrorizzante».