Vanity Fair (Italy)

Prenderla con filosofia

Il suo ruolo nella pallavolo è «centrale», ma ora che è in pausa coltiva pensieri laterali. In attesa dei Mondiali

- foto FRANCESCO BERTOLA • servizio SARAH GRITTINI di FRANCESCO OGGIANO

Nella campagna astigiana c’è un albero rarissimo: un ciliegio, nato sopra a un gelso. Bialbero, si chiama. Lì sotto è andato Matteo Piano, per farsi fotografar­e e scrivere per i suoi fan su Instagram l’annuncio più triste. Il pallavolis­ta 27enne, cresciuto nel Modena e passato l’anno scorso al Power Volley Milano, sarà costretto a operarsi al tendine e vivrà solo da spettatore l’avventura dell’Italia alla neonata Nations League (l’ex World League) che parte il 25 maggio. Ma come da un gelso è nato un ciliegio, ha scritto, così da quell’infortunio lui rinascerà più forte di prima, magari anche in tempo per giocare ai Mondiali che si terranno in Italia dal 9 al 30 settembre. Matteo Piano è un centrale, ma ama pensare laterale, stare su un piano opposto e rimanere libero. «Il centrale è il ruolo considerat­o più “sfigato”. Salta a ogni azione, fa meno punti rispetto agli altri, non ha la gloria dell’opposto né l’importanza dell’alzatore. Ma a me è sempre piaciuto». Che cosa farà adesso che non può fare il centrale per l’Italia? «Staccherò un po’. Lo feci già dopo la finale persa all’Olimpiade nel 2016. Comprai un biglietto aereo e me ne andai a girarmi l’Uruguay, col mio amico Luca». Luca Vettori, compagno di nazionale con cui conduce un podcast. Di cosa parlate? «Di tutto, tranne che della nostra carriera: i nostri viaggi, i film, le poesie…». Qualcuno vi chiama «i filosofi della pallavolo». «Ma no, siamo ignorantis­simi. Al massimo abbiamo una filosofia simile. Viviamo tranquilla­mente il lato sportivo della nostra vita. Non vogliamo esaurire la nostra esistenza soltanto nella pallavolo, vogliamo rimanere “umani”». Questo è parlare da filosofo... «In passato sono stato anche aiutato da Cecilia, una psicologa dello sport: era il 2014, attraversa­vo un momento di crisi, non mi divertivo più in campo. Abbiamo iniziato a parlare. All’inizio, ci incontrava­mo una volta ogni due settimane». Che cosa le ha fatto capire? «Mi ha aiutato a non prendere tutto troppo sul serio. Prima di entrare in campo per una partita molto importante, le ho mandato un messaggio: “Sono felice di andare a giocare”. Ecco, ora me la godo di più».

T-shirt, pantalone e felpa, Freddy.

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