Vanity Fair (Italy)

CINDY CRAWFORD

COSÌ SONO DIVENTATA

- di PAOLA JACOBBI foto PAMELA HANSON servizio DEBORAH AFSHANI

Organizzat­a, disciplina­ta, determinat­a, la modella più famosa del mondo ha un istinto naturalmen­te positivo, un sorriso da un milione di dollari che non smette di incantare e una storia che parte da lontano e che non prevedeva nessun successo e nessun esito

Cindy Crawford e famiglia, il giorno prima di partire per Roma, sono tornati a casa dal festival musicale di Coachella. La mattina dopo, lei ha messo la sveglia alle 5, fatto la valigia, si è allenata per un’oretta, come tutti i giorni. Quando la incontro, è reduce da una decina di ore sul set di Gabriele Muccino, con cui per la seconda volta ha girato gli spot per l’acqua San Benedetto. E, finita quest’intervista, mi ha salutato per andare tutta felice al Colosseo, in visita privata. Sembrava una ragazza, jeans bianchi e scarpe basse e quel sorriso da un milione di dollari. Ho pensato che forse un’altra, con la scusa del jet lag e della lunga giornata di lavoro alle spalle, sarebbe andata a farsi fare un massaggio nella spa dell’hotel di lusso dove alloggia. Ma Cindy Crawford non è una modella qualsiasi. Cindy Crawford è organizzat­a, disciplina­ta («in famiglia mi prendono anche in giro per questo», racconta) e non vuole perdersi nemmeno un’opportunit­à nella sua già meraviglio­sa vita. «Più passano gli anni e più sto attenta a come impiego il mio tempo, è questo il mantra». Mantra o arma segreta di un istinto naturalmen­te positivo, Cindy è come Mary Poppins, praticamen­te perfetta. 52 anni, sposata da venti allo stesso uomo, l’imprendito­re Rande Gerber, 56, non ha nostalgie del passato, non si atteggia da leggenda. È qui, che mi guarda negli occhi, fa domande («quante ore di treno ci vogliono da Milano a Roma?») e commenta con me l’ultima stagione di Billions (le piace molto).

Mi viene da chiederle se sia mai stato un «piano» diventare Cindy Crawford. «Ah no. Per fortuna il destino è sempre più fantasioso della nostra immaginazi­one. Non avrei mai avuto l’audacia di sognare quello che è diventata la mia vita. Quando ho iniziato, posare per un catalogo a Chicago, per me, ragazza di una piccola città di provincia, era già clamoroso. Ricordo che sono arrivata a New York e non sapevo nemmeno come chiamare un taxi». Che ruolo ha avuto sua madre in tutto questo? «Non sapeva nulla del mondo della moda, non era mai nemmeno uscita dagli Stati Uniti né aveva mai desiderato farlo. Ma è una donna di grande forza. Ha saputo sopravvive­re al dolore della perdita di un figlio, mio fratello è morto a tre anni, quando io ne avevo otto e le mie due sorelle pochi di più. La sua capacità di rialzarsi e di andare avanti mi è stata d’esempio e lo è ancora oggi». Lei ha due figli che sono entrambi modelli: Kaia e Presley. Ma lei, a differenza di sua madre, sa tutto del mondo in cui stanno entrando. «Kaia ha sempre voluto fare la modella. Quando era piccolissi­ma mi diceva “mamma, dai, giochiamo a fare le foto”. E io la vestivo, la truccavo un po’ per farla

«NON SONO ANCORA PRONTA A SMETTERE DI TINGERMI I CAPELLI»

divertire. A dieci anni, ha fatto una piccola cosa che mi aveva chiesto Donatella (Versace, ndr) e da allora ha cominciato a tormentarc­i. Io le ho detto di aspettare almeno i sedici anni e i sedici anni sono arrivati, così, in men che non si dica. Presley è diverso. Lui odiava essere fotografat­o. Dovevamo dargli una mancia perché accettasse di essere nelle foto di famiglia! Infatti sono molto stupita che adesso stia lavorando. Ma sono sicura che non continuerà a lungo, penso che diventerà un imprendito­re come suo padre». Suo marito mi ha detto che la forza della vostra coppia è l’amicizia. «Sì, quando ci siamo conosciuti, nessuno dei due era lì per sedurre l’altro. Io non ero in quelle situazioni da “primo appuntamen­to” in cui fingi che ti piaccia il baseball per compiacere lui, quando il baseball ti ha sempre fatto orrore (ride). Il nostro matrimonio si basa su un autentico desiderio di passare del tempo insieme e condivider­e le cose della vita». Perché non ha più fatto cinema, dopo quell’unico film del 1995, Facile preda? «Io non sono un’attrice né ho mai voluto esserlo. Non avevo mai nemmeno partecipat­o a una recita scolastica! Un amico produttore mi convinse a girare quel film e io accettai. Fu un’esperienza disastrosa ma anche la prova definitiva che non era una cosa per me. Io posso solo essere me stessa, non so interpreta­re un’altra». Kaia segue i suoi consigli? «Sì, perché sa di che cosa sto parlando! Per ora viaggia sempre accompagna­ta, ma ho saputo che si sa gestire benissimo da sola. A una sfilata a Parigi, quando ha visto che l’abito che avrebbe dovuto indossare era troppo trasparent­e, ha chiesto se potevano darle una fodera da mettere sotto. Sapeva che io non avrei approvato e quindi ha fatto la cosa giusta. D’altronde, sta anche lavorando con persone con cui io stessa ho lavorato, a partire da Karl Lagerfeld (Kaia è protagonis­ta di una campagna Chanel, ndr). Mi sento tranquilla, mio marito un po’ meno perché vorrebbe che restasse la sua bambina per sempre, ma sappiamo che non è possibile». Quanto è cambiata la moda dai suoi tempi a quelli di Kaia? «Molto. Chi avrebbe mai detto che un designer come Virgil Abloh, che viene dallo streetwear, sarebbe diventato direttore creativo di Louis Vuitton? Cambia la moda, cambia la storia, cambia il concetto stesso di couture… E poi, ovviamente, Instagram. Diventano personaggi gli stilisti, ma anche le redattrici di moda, i parrucchie­ri e i truccatori. Ai miei tempi, senza un giornalist­a, io non avevo modo di raccontarm­i, al di là dell’immagine, oggi le modelle sono personalit­à in diretto contatto con il pubblico, questo cambia tutto. Instagram è un secondo lavoro, utilissimo per valorizzar­e il proprio nome e quello dei marchi che rappresent­i. Ed è anche un nuovo parametro per giudicare una modella: oggi non si guarda solo alle misure ma anche ai followers». Un bene o un male? «È un nuovo mare in cui si naviga. Ti esponi molto di più, anche ai commenti cattivi della gente. Le ragazze di oggi dovranno sviluppare una pelle molto dura per respingere questa negatività». Un’altra novità di questi tempi è che l’immagine della donna matura è molto cambiata. Oggi ci sono campagne di grandi marchi anche con modelle con i capelli bianchi. «Lo so, è bellissimo, fa parte di una nuova cultura di inclusione, di una visione finalmente non stereotipa­ta della bellezza. È giusto che ci sia varietà di peso, razze, età. Ma io glielo dico: non sono pronta a smettere di tingermi i capelli, non sono ancora così coraggiosa!».

 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy