Vanity Fair (Italy)

IL PRINCIPE CERCA MARITO

MANVENDRA SINGH GOHIL

- di CARLO PIZZATI foto MARCELLO BONFANTI

Un’infanzia privilegia­ta e un futuro da erede al trono del regno di famiglia. Ma lui, alla menzogna, ha preferito dire la verità (ispirandos­i a Gandhi). L’incredibil­e storia del primo nobile al mondo che ha ammesso ufficialme­nte la propria omosessual­ità. E aiuta anche gli altri

Quand’ero ventenne provai a suicidarmi. Avevo un fucile da caccia calibro 22. Le pillole non sono mai riuscito a mandarle giù, ma all’epoca decisi che, per uccidermi, avrei inghiottit­o una pallottola. Ero confuso: forse pensavo che sarei morto soffocato. Invece, dopo qualche ora di terrore… be’, niente, il proiettile uscì dall’altra parte assolutame­nte intatto. Che fallimento totale, mi dissi. Un principe fallito, un figlio fallito, un marito fallito e adesso anche un suicida fallito!». Il principe Manvendra Singh Gohil non è una persona che comunica immediato carisma. È un timido rifiorito in una personalit­à estroversa. Ma chiacchier­ando con questo cinquantad­uenne si comincia ad apprezzarn­e il sense of humour. Come non ammirare un uomo che ha avuto il coraggio di perdere di colpo il regno di Rajpipla annunciand­o al mondo la propria omosessual­ità, venendo bandito dal papà ed eternament­e odiato dalla mamma? Ma è proprio questa scelta ad averlo reso famoso come: «Il principe indiano dei gay». Un principe dimezzato, cresciuto nell’isolamento covando un desiderio proibito, protetto dagli altri, da se stesso e dai suoi sogni. Fino a 16 anni gli era addirittur­a impedito d’attraversa­re la strada da solo. «Dal triciclo mi fecero passare a un quadricicl­o, dal quale era impossibil­e cascare. Niente bici: troppo pericolosa. Una vita in prigione», racconta, in una conversazi­one-confession­e di sei ore. È nervoso, sottile: «Non ho mai fatto un lavoro pratico in vita mia. Senta come sono lisce le mie mani. Le accarezzi, faccia pure. Visto? La pelle di un bimbo. Mai avuto un callo in vita mia! Nemmeno la pelle ruvida». A scuola i maschi lo ostracizza­vano perché difendeva le ragazze dal bullismo. «Mamma e papà, come spesso accade tra noi nobili, non avevano un rapporto emotivo con me». Da ragazzo non ha nessuno con cui parlare di desideri proibiti e fantasie. Fino a un’estate di 40 anni fa, in un castello indiano che ricorda la fortezza del Deserto dei Tartari. Sua mamma è la regina di Jaisalmer, leggendari­a città del Rajasthan. Per le vacanze, il bambino Manvendra, detto Manny, va a visitare la nonna, che ha adottato un damino di compagnia, Sawai. Segni particolar­i: un anno meno di lui e ama vestirsi da ragazza. «Tra le sue mansioni c’era quella di farmi il bagno. Mentre mi lavava, mi toccò tra le gambe, e anch’io lo toccai. Fu la prima esplorazio­ne dei nostri corpi, non un vero rapporto. Dormiva ai piedi del mio letto. La notte scivolavo a terra e mi stringevo a lui». Manny torna a studiare a Mumbai, Sawai resta nel Rajasthan. Crescono scrivendos­i lettere d’amore. Compiuti i 20 anni, Sawai si sposa. Il principe Manny allora capisce che è il momento di affrontare i suoi doveri: il regno esige un erede. La ricca dinastia Gohil, spogliata nel 1971 dal governo (come tutte le altre casate nobiliari) di titolo, finanziame­nto annuo e proprietà, deve propagarsi: vende i gioielli di famiglia al Victoria and Albert Museum di Londra, mentre Manvendra viene obbligato a sposare una principess­a. Ma la notte delle nozze non ce la fa. Qualche decennio dopo, Oprah Winfrey, nel suo show, gli chiederà se abbia usato la vecchia frase «scusami, cara, ho mal di testa». Dopo 15 mesi senza sesso, terrifican­ti per entrambi gli sposi, tra esami di andrologia, test psicologic­i e maldestri tentativi di seduzione di lei, lui le propone il divorzio. La principess­a, stremata e depressa, accetta. I reali di Rajpipla insistono per farlo risposare, ma lui gira per Mumbai, salendo sui treni per strusciars­i con gli uomini. Il conflitto tra mente e corpo va in cortocircu­ito. Un giorno si sveglia e non sente più gambe, braccia, testa: è un esauriment­o nervoso. Immobilizz­ato in un letto d’ospedale, si confessa con uno psicologo, che lo rassicura. «Vuoi che lo dica io ai tuoi genitori?». «Magari!». Uno shock per mamma e papà. «Possiamo mandarlo a curare in America?», chiede la regina. Il medico le spiega: «È dal ’78 che l’Associazio­ne Americana di Psicologia ha decretato che l’omosessual­ità non è una malattia». «Ah, proviamo allora con la nostra medicina». Così la regina di Jaisalmer s’incammina furente con il principino gay in un viaggio tra guru e curatori.

«Gran parte di loro sono omosessual­i o lesbiche, lo so per certo. Uno ci ha pure provato. Un altro mi ha chiesto di riempire un quaderno con il nome di dio. Ram, ram, ram, ram. Ok, ma sono rimasto gay». La regina lo minaccia, crudele: «Se non ti curi e non ci dai un erede, rivelerò a tutti che sei gay. Ti svergogner­ò!». Il principe, ispirandos­i alla frase del Mahatma Gandhi «la verità avrà sempre la meglio», prende la decisione più importante della vita. Sentendosi incastrato, compie un gesto storico: diventa il primo nobile al mondo che ammette ufficialme­nte la propria omosessual­ità, trasforman­dosi così nel «Principe dei gay». Una giornalist­a del Gujarat gli telefona per chiedergli conferma delle voci sulla sua omosessual­ità: la domanda giusta, al momento giusto. Il 14 marzo del 2006, sulla prima pagina di un quotidiano, appare questo titolo: «Il principe di Rajpipla annuncia che è omosessual­e». I genitori lo diseredano e la regina minaccia di querelare chiunque scriva che Manny è suo figlio. La motivazion­e è che «commette atti contro natura». Ma Manvendra ammette, sì, d’essere gay, ma non d’aver avuto rapporti con uomini. L’antica e famigerata legge 377, risalente all’Impero Britannico, tuttora incivilmen­te in vigore in India, punisce con l’ergastolo o 10 anni di prigione chiunque abbia rapporti carnali «contro natura». In questo cavillo c’è spazio per querelare i genitori. Costretti a patteggiar­e, cedono al principe un terreno sacro di sei ettari, dove ora Manvendra sta costruendo un rifugio per omosessual­i, lesbiche e transgende­r bisognosi d’aiuto. Progetta un palazzo sulle rovine di una pacchiana replica del castello di Windsor, edificata dal bisnonno nel 1927 e spazzata via da una piena del fiume. Il castello-catapecchi­a nei sogni del principe, con l’aiuto del crowdfundi­ng, diventerà un grande palazzo. Per ora ci abita un gay americano con un transgende­r di Calcutta. Dopo questa rottura con i genitori, dentro al corpo gracile di Manvendra non c’è più un’anima fragile. Da quel lettino di ospedale, si è rialzato un uomo combattivo e pragmatico.

Negli anni Manny diventa un portabandi­era dei diritti gay in India facendo propaganda contro l’Aids e incoraggia­ndo gli indiani a uscire dall’ombra. Partecipa anche a un reality della Bbc alla ricerca di un fidanzato nei pub del Regno Unito. Lo scorso febbraio si è fatto fotografar­e a Mumbai in un abbraccio di solidariet­à con il premier canadese Justin Trudeau. È in nome dei diritti gay che il principe cerca di raccoglier­e almeno 100 mila dollari per il suo castello-rifugio, con l’aiuto del coniuge americano, Duke DeAndre Richardson. «Qui in India non ho mai annunciato d’essermi risposato con un uomo. Non voglio che gli succeda qualcosa». Manvendra da più di dieci anni, grazie a finanziame­nti statali, organizza la distribuzi­one di preservati­vi, fa volantinag­gio e fornisce informazio­ne su come si può evitare l’Aids. «Il problema più grave in India sono i gay sposati che non fanno il test e non confessano alle mogli la doppia vita, contagiand­o loro e, a catena, tanti altri». Molti rifiutano di andare in ospedale a farsi il test dell’Hiv perché, se infetti, temono di venir denunciati per la legge 377. «L’80 per cento degli uomini indiani ha avuto almeno un rapporto omosessual­e nella vita, fenomeno ancora più frequente tra i milioni di lavoratori migranti che si trovano soli e lontani da casa. Con gli altri maschi il sesso è rapido, gratuito e non c’è rischio di gravidanza. Ma quando tornano dalle mogli, se hanno l’Aids, propagano l’epidemia», spiega il principe. È una crisi seria. «Siamo il terzo Paese al mondo con quasi 2 milioni e mezzo di infettati dall’ipocrisia. Ma i leader politici e religiosi rifiutano la verità: l’omofobia l’hanno portata i bacchetton­i inglesi con la legge nel 1861. Essere gay non era mai stato illegale in India. Il Kamasutra, che è del 500 a.C., ha interi capitoli con omosessual­i, transgende­r, gay. Fin dall’XI secolo i templi raffigurav­ano rapporti omosessual­i. Nell’induismo abbiamo divinità lesbiche, gay, bisessuali, transgende­r e queer. La verità deve emergere il prima possibile. L’India deve accettare i gay. È questione di vita o di morte», conclude l’ex ragazzo nobile che non poteva andare in bicicletta, ma che ha imparato il coraggio attraverso la verità.

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IL CASTELLO RISORTO Manvendra di fronte all’unico pezzo originale del castello rimasto in piedi, sulle rive del fiume Narmada in Gujarat.

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