IL PRINCIPE CERCA MARITO
MANVENDRA SINGH GOHIL
Un’infanzia privilegiata e un futuro da erede al trono del regno di famiglia. Ma lui, alla menzogna, ha preferito dire la verità (ispirandosi a Gandhi). L’incredibile storia del primo nobile al mondo che ha ammesso ufficialmente la propria omosessualità. E aiuta anche gli altri
Quand’ero ventenne provai a suicidarmi. Avevo un fucile da caccia calibro 22. Le pillole non sono mai riuscito a mandarle giù, ma all’epoca decisi che, per uccidermi, avrei inghiottito una pallottola. Ero confuso: forse pensavo che sarei morto soffocato. Invece, dopo qualche ora di terrore… be’, niente, il proiettile uscì dall’altra parte assolutamente intatto. Che fallimento totale, mi dissi. Un principe fallito, un figlio fallito, un marito fallito e adesso anche un suicida fallito!». Il principe Manvendra Singh Gohil non è una persona che comunica immediato carisma. È un timido rifiorito in una personalità estroversa. Ma chiacchierando con questo cinquantaduenne si comincia ad apprezzarne il sense of humour. Come non ammirare un uomo che ha avuto il coraggio di perdere di colpo il regno di Rajpipla annunciando al mondo la propria omosessualità, venendo bandito dal papà ed eternamente odiato dalla mamma? Ma è proprio questa scelta ad averlo reso famoso come: «Il principe indiano dei gay». Un principe dimezzato, cresciuto nell’isolamento covando un desiderio proibito, protetto dagli altri, da se stesso e dai suoi sogni. Fino a 16 anni gli era addirittura impedito d’attraversare la strada da solo. «Dal triciclo mi fecero passare a un quadriciclo, dal quale era impossibile cascare. Niente bici: troppo pericolosa. Una vita in prigione», racconta, in una conversazione-confessione di sei ore. È nervoso, sottile: «Non ho mai fatto un lavoro pratico in vita mia. Senta come sono lisce le mie mani. Le accarezzi, faccia pure. Visto? La pelle di un bimbo. Mai avuto un callo in vita mia! Nemmeno la pelle ruvida». A scuola i maschi lo ostracizzavano perché difendeva le ragazze dal bullismo. «Mamma e papà, come spesso accade tra noi nobili, non avevano un rapporto emotivo con me». Da ragazzo non ha nessuno con cui parlare di desideri proibiti e fantasie. Fino a un’estate di 40 anni fa, in un castello indiano che ricorda la fortezza del Deserto dei Tartari. Sua mamma è la regina di Jaisalmer, leggendaria città del Rajasthan. Per le vacanze, il bambino Manvendra, detto Manny, va a visitare la nonna, che ha adottato un damino di compagnia, Sawai. Segni particolari: un anno meno di lui e ama vestirsi da ragazza. «Tra le sue mansioni c’era quella di farmi il bagno. Mentre mi lavava, mi toccò tra le gambe, e anch’io lo toccai. Fu la prima esplorazione dei nostri corpi, non un vero rapporto. Dormiva ai piedi del mio letto. La notte scivolavo a terra e mi stringevo a lui». Manny torna a studiare a Mumbai, Sawai resta nel Rajasthan. Crescono scrivendosi lettere d’amore. Compiuti i 20 anni, Sawai si sposa. Il principe Manny allora capisce che è il momento di affrontare i suoi doveri: il regno esige un erede. La ricca dinastia Gohil, spogliata nel 1971 dal governo (come tutte le altre casate nobiliari) di titolo, finanziamento annuo e proprietà, deve propagarsi: vende i gioielli di famiglia al Victoria and Albert Museum di Londra, mentre Manvendra viene obbligato a sposare una principessa. Ma la notte delle nozze non ce la fa. Qualche decennio dopo, Oprah Winfrey, nel suo show, gli chiederà se abbia usato la vecchia frase «scusami, cara, ho mal di testa». Dopo 15 mesi senza sesso, terrificanti per entrambi gli sposi, tra esami di andrologia, test psicologici e maldestri tentativi di seduzione di lei, lui le propone il divorzio. La principessa, stremata e depressa, accetta. I reali di Rajpipla insistono per farlo risposare, ma lui gira per Mumbai, salendo sui treni per strusciarsi con gli uomini. Il conflitto tra mente e corpo va in cortocircuito. Un giorno si sveglia e non sente più gambe, braccia, testa: è un esaurimento nervoso. Immobilizzato in un letto d’ospedale, si confessa con uno psicologo, che lo rassicura. «Vuoi che lo dica io ai tuoi genitori?». «Magari!». Uno shock per mamma e papà. «Possiamo mandarlo a curare in America?», chiede la regina. Il medico le spiega: «È dal ’78 che l’Associazione Americana di Psicologia ha decretato che l’omosessualità non è una malattia». «Ah, proviamo allora con la nostra medicina». Così la regina di Jaisalmer s’incammina furente con il principino gay in un viaggio tra guru e curatori.
«Gran parte di loro sono omosessuali o lesbiche, lo so per certo. Uno ci ha pure provato. Un altro mi ha chiesto di riempire un quaderno con il nome di dio. Ram, ram, ram, ram. Ok, ma sono rimasto gay». La regina lo minaccia, crudele: «Se non ti curi e non ci dai un erede, rivelerò a tutti che sei gay. Ti svergognerò!». Il principe, ispirandosi alla frase del Mahatma Gandhi «la verità avrà sempre la meglio», prende la decisione più importante della vita. Sentendosi incastrato, compie un gesto storico: diventa il primo nobile al mondo che ammette ufficialmente la propria omosessualità, trasformandosi così nel «Principe dei gay». Una giornalista del Gujarat gli telefona per chiedergli conferma delle voci sulla sua omosessualità: la domanda giusta, al momento giusto. Il 14 marzo del 2006, sulla prima pagina di un quotidiano, appare questo titolo: «Il principe di Rajpipla annuncia che è omosessuale». I genitori lo diseredano e la regina minaccia di querelare chiunque scriva che Manny è suo figlio. La motivazione è che «commette atti contro natura». Ma Manvendra ammette, sì, d’essere gay, ma non d’aver avuto rapporti con uomini. L’antica e famigerata legge 377, risalente all’Impero Britannico, tuttora incivilmente in vigore in India, punisce con l’ergastolo o 10 anni di prigione chiunque abbia rapporti carnali «contro natura». In questo cavillo c’è spazio per querelare i genitori. Costretti a patteggiare, cedono al principe un terreno sacro di sei ettari, dove ora Manvendra sta costruendo un rifugio per omosessuali, lesbiche e transgender bisognosi d’aiuto. Progetta un palazzo sulle rovine di una pacchiana replica del castello di Windsor, edificata dal bisnonno nel 1927 e spazzata via da una piena del fiume. Il castello-catapecchia nei sogni del principe, con l’aiuto del crowdfunding, diventerà un grande palazzo. Per ora ci abita un gay americano con un transgender di Calcutta. Dopo questa rottura con i genitori, dentro al corpo gracile di Manvendra non c’è più un’anima fragile. Da quel lettino di ospedale, si è rialzato un uomo combattivo e pragmatico.
Negli anni Manny diventa un portabandiera dei diritti gay in India facendo propaganda contro l’Aids e incoraggiando gli indiani a uscire dall’ombra. Partecipa anche a un reality della Bbc alla ricerca di un fidanzato nei pub del Regno Unito. Lo scorso febbraio si è fatto fotografare a Mumbai in un abbraccio di solidarietà con il premier canadese Justin Trudeau. È in nome dei diritti gay che il principe cerca di raccogliere almeno 100 mila dollari per il suo castello-rifugio, con l’aiuto del coniuge americano, Duke DeAndre Richardson. «Qui in India non ho mai annunciato d’essermi risposato con un uomo. Non voglio che gli succeda qualcosa». Manvendra da più di dieci anni, grazie a finanziamenti statali, organizza la distribuzione di preservativi, fa volantinaggio e fornisce informazione su come si può evitare l’Aids. «Il problema più grave in India sono i gay sposati che non fanno il test e non confessano alle mogli la doppia vita, contagiando loro e, a catena, tanti altri». Molti rifiutano di andare in ospedale a farsi il test dell’Hiv perché, se infetti, temono di venir denunciati per la legge 377. «L’80 per cento degli uomini indiani ha avuto almeno un rapporto omosessuale nella vita, fenomeno ancora più frequente tra i milioni di lavoratori migranti che si trovano soli e lontani da casa. Con gli altri maschi il sesso è rapido, gratuito e non c’è rischio di gravidanza. Ma quando tornano dalle mogli, se hanno l’Aids, propagano l’epidemia», spiega il principe. È una crisi seria. «Siamo il terzo Paese al mondo con quasi 2 milioni e mezzo di infettati dall’ipocrisia. Ma i leader politici e religiosi rifiutano la verità: l’omofobia l’hanno portata i bacchettoni inglesi con la legge nel 1861. Essere gay non era mai stato illegale in India. Il Kamasutra, che è del 500 a.C., ha interi capitoli con omosessuali, transgender, gay. Fin dall’XI secolo i templi raffiguravano rapporti omosessuali. Nell’induismo abbiamo divinità lesbiche, gay, bisessuali, transgender e queer. La verità deve emergere il prima possibile. L’India deve accettare i gay. È questione di vita o di morte», conclude l’ex ragazzo nobile che non poteva andare in bicicletta, ma che ha imparato il coraggio attraverso la verità.