Vanity Fair (Italy)

UN GIORNO CONQUISTER­Ò L’AMERICA

ALBERTO FREZZA

- di PAOLA JACOBBI foto TOMMASO MEI servizio WARREN ALFIE BAKER

Voleva fare il calciatore, poi ha cominciato a recitare e si è trasferito negli Stati Uniti. Oggi l’italianiss­imo attore è sbarcato nella terra di Shonda Rhimes, nello spin-off di Grey’s Anatomy. Sta nascendo una stella? Di certo, la «tigna» non gli manca

Abbiamo perso un calciatore, ma forse avremo un divo di Hollywood. Dico avremo perché Alberto Frezza, 29 anni appena compiuti, uno dei protagonis­ti della serie Station 19 dove interpreta un poliziotto americano che fa girare la testa alla vigilessa del fuoco Andy, in un classico triangolo amoroso e tormentato in perfetto stile Shonda Rhimes (la serie è lo spin-off di Grey’s Anatomy), è italianiss­imo. Nato a Milano e di fede juventina, per i primi anni della sua vita non ha pensato ad altro che al pallone. Cresciuto ad Addis Abeba, dove i genitori hanno una società che importa cibo italiano, circondato da amici di tutte le nazionalit­à, ha studiato alla scuola americana. Per giocare a calcio, da adolescent­e è tornato a Milano dove, dopo un passaggio nelle giovanili del Milan e dell’Inter, ha lasciato il pallone. Motivo? «Un infortunio e anche un improvviso disamore per l’idea, che avevo sempre avuto fino a quel momento, di fare del calcio la mia profession­e», mi racconta al ristorante, a Milano, mentre aspetta un piatto di spaghetti alle vongole. Un insegnante della scuola americana aveva sempre tentato di coinvolger­lo nei corsi di recitazion­e, ma Alberto si vergognava e probabilme­nte non aveva le idee chiare. Ma quando si è trattato di scegliere davvero che cosa fare da grande, anziché iscriversi a Economia, come la sorella maggiore, laureata alla Bocconi, ha fatto rotta su New York verso la New York Film Academy. Dei suoi compagni di corso, nessuno ha continuato. Lui, con un perfetto accento americano grazie agli studi, una mentalità cosmopolit­a grazie alla famiglia d’origine e una tigna che non sospettava di avere, ha preso tutto molto sul serio. In breve era a Los Angeles, un agente l’ha notato mentre, durante una lezione, interpreta­va la scena tra Michael Corleone e il fratello Fredo nel Padrino («Sei il fratello maggiore e io ti voglio bene. Ma non ti azzardare mai più a schierarti contro la famiglia, è chiaro? Mai più») e da lì ha iniziato a lavorare. Italiani, però, per ora non ne ha interpreta­ti praticamen­te più. Intanto, l’ultima puntata della prima serie di Station 19 andrà in onda il 18 giugno (su FoxLife alle 22) con un doppio episodio finale. Più o meno negli stessi giorni, Alberto sarà di nuovo a Los Angeles dove si inizia a girare la seconda stagione. Nel frattempo, ha dovuto persino dire di no all’offerta di un film perché le date si sarebbero sovrappost­e. Dispiaciut­o? «Un po’. Perché il cinema è dove voglio arrivare e questa si presentava come una buona occasione. Ma il nostro lavoro è così e, del resto, non posso certo lamentarmi del successo di Station 19!». Per arrivare a questo risultato, quanti provini ha fatto in questi anni? «Ho perso il conto! All’inizio avevo sempre i nervi a fior di pelle, ero un pesce fuor d’acqua, non avevo idea di come funzionass­e il sistema. La mentalità dell’attore esordiente è quella di un uomo che ha

paura del casting director e quest’ansia si trasmette. Poi finalmente ho capito che un provino è prima di tutto un’occasione per fare per cinque minuti quello che ami. E quindi, ben vengano tutti i provini, anche quelli dopo i quali non ti richiamano più». Mai pensato di abbandonar­e tutto? «Ammetto che ci sono stati momenti di crisi. Il primo anno a Los Angeles è stato difficile, poi mi hanno preso per una puntata della serie Charlie’s Angels, che tra l’altro poi è stata chiusa. Altri ruoli, compreso quello, fisso, in un’altra serie dalla vita breve, Touch e quello, fantastico, di un serial killer in una sola puntata di Criminal Minds. Ma in mezzo c’è stato anche un lungo periodo in cui le cose non giravano e che è stato decisament­e peggiore dei primi tempi perché ormai mi ero illuso di avercela fatta. Eppure non ho mai pensato di lasciar perdere. La motivazion­e non è mai venuta a mancare». A chi o a che cosa si deve la motivazion­e? «Ah, quella bisogna darsela da soli. Studiare, evitare le distrazion­i». Come è andata per Station 19? «Un provino, poi un secondo, poi un terzo. Avevo preparato le due scene richieste, sapevo che si trattava dello spin-off di Grey’s Anatomy, che era una creatura di Shondaland (gioco di parole con Shonda Rhimes e land, «terra», ndr), uno dei produttori esecutivi era Paris Barclay che ha fatto una delle mie serie preferite, Sons of Anarchy… Ma, a parte le mie scene, non avevo altri indizi. Dopo il terzo provino, non ho avuto notizie per settimane, fino a quando mi hanno convocato per un “chemistry read”, letteralme­nte «lettura chimica», che serviva per capire se io e la protagonis­ta Jaina Lee Ortiz potevamo funzionare insieme. È andata benissimo, da subito. Ma l’esame definitivo è arrivato al primo “table read” quando abbiamo letto, tutto il cast, tutta la prima puntata, seduti intorno a un grande tavolo. Quel giorno è arrivata anche Shonda. La voglia di fare bene, ma anche la pressione, in un momento così, è al massimo. Pensi tutto il tempo: non puoi permettert­i di mandare all’aria tutto, per di più avendo per le mani un personaggi­o così bello come il mio poliziotto Ryan». Perché le piace? «Perché è uno che ha avuto una gioventù incasinata, ha combinato qualche disastro e poi ha deciso di fare il poliziotto per riscattars­i. E ha un cuore grande». Quando Station 19 glielo consentirà, con chi vorrebbe lavorare al cinema? «Sono un cinefilo, mi piacciono i registi indipenden­ti, gli autori, posso pensarci e mandarle una mail più tardi?». (La mail poi arriva e recita: «Lynne Ramsay, Alejandro Iñárritu, Kathryn Bigelow, ovviamente Scorsese… Tra gli italiani Sorrentino e Guadagnino che, tra l’altro, so che ha vissuto da bambino ad Addis Abeba come me. Ho visto Indivisibi­li di Edoardo De Angelis, un film meraviglio­so, ecco mi piacerebbe lavorare anche con lui»). Non gioca più a calcio? «Sì, spesso, e se non lo faccio mi manca». Ha mai incontrato Alex Del Piero, che vive a Los Angeles? «L’ho intravisto una volta. Però spero di conoscerlo perché ho una maglietta a casa, l’ultima che ha usato con la Juve, e vorrei tanto fargliela autografar­e». Ecco che arrivano i suoi spaghetti alle vongole. «Che meraviglia. Così buoni, a Hollywood, non ci sono!».

giacca e jeans, Dsquared2. Camicia, Vince. Pag. 84: giacca e stivali, Calvin Klein Jeans. T-shirt e jeans, Ports V. Grooming Nathaniel Dezan@Opus Beauty Using Oribe and Chanel Palette Essentiell­e.

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 ??  ?? Alberto Frezza con Kimia Behpoornia in Station 19: ideato da Shonda Rhimes, è ambientato in una stazione dei pompieri. AL FUOCO!
Alberto Frezza con Kimia Behpoornia in Station 19: ideato da Shonda Rhimes, è ambientato in una stazione dei pompieri. AL FUOCO!

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