Vanity Fair (Italy)

Mi rifugio nell’hip hop

- di ALBA SOLARO

Sul polso Lykke Li, 32enne principess­a dell’emo-pop svedese, ha un piccolo tatuaggio: tre linee sottili, parallele. Se l’è fatto incidere tanti anni fa, come memento per i tre dischi che sognava di fare nella vita. Ora che è arrivata al quarto – So Sad So Sexy (Sony) – si farà tatuare un’altra linea? Ride al telefono, da Los Angeles dove adesso vive. «Ho scoperto che quel segno nell’I Ching rappresent­a la forma più alta di creatività, direi che lo tengo così». Non si è sciolta la glassa di malinconia che ricopre le sue canzoni sin dall’esordio con Youth Novels dieci anni fa. La differenza è che ora ha scoperto l’hip hop e il trap, «il mondo dove accadono le cose più interessan­ti», e dunque si balla, ci si abbandona a quello che può apparire un cauto ottimismo. Se fosse un film, dice, quest’album sarebbe Paris, Texas di Wim Wenders, con i suoi deserti assolati e la penombra dei peep show. Gli ultimi quattro anni sono stati pazzi e difficili: «Ho avuto un figlio, Dion. Poco tempo dopo a mia madre è stato diagnostic­ato un tumore al seno, che l’ha uccisa. Poi sono arrivati i problemi sentimenta­li col mio ex compagno, e un blocco creativo di due anni...». Ma ci sono state anche un’esperienza bella al cinema in Song to Song di Terrence Malick e un’avventura imprendito­riale, la Yola Mezcal, drink messicano che produce con due amiche in un’azienda tutta al femminile. «E comunque la vita può essere a volte insostenib­ile, per questo volevo fare un disco che fosse un posto dove rifugiarsi; più bello e romantico della vita vera».

Nel suo ultimo album, grazie a nuove sonorità, si scopre più allegra, anche se il suo sguardo malinconic­o non è scomparso. Per fortuna però LYKKE LI ha trovato un posto «bello e romantico»

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