Vanity Fair (Italy)

Un filetto al sapore di Kafka

- michele neri

Una bella bistecca alla Finnegans Wake, un San Pietro cotto con le pagine del Vecchio e il mare, oppure una Wiener Schnitzel arrostita su una novella di Schnitzler: il protagonis­ta di Manaraga (Bompiani, pagg. 224, ¤ 17; trad. Denise Silvestri; in libreria dal 27 giugno) fa un lavoro che soltanto la mente del più dissacrant­e e surreale tra gli scrittori russi odierni, Vladimir Sorokin, 62 anni, poteva inventare per il suo nuovo romanzo (sottotitol­o La montagna dei libri). Géza è uno chef book’n’griller specializz­ato in classici russi. In un futuro prossimo, nell’Occidente riportato a un Medioevo ipertecnol­ogico da uno scontro devastante con l’Islam, stampare libri è vietato, e i nostalgici pagano i migliori cuochi perché recuperino dal mercato clandestin­o preziose prime edizioni dei classici, da usare come legna per cuocere alla griglia. È un’arte sopraffina, l’abbinament­o testo-pietanza, decisivo; ogni autore ha il proprio aroma – Verne sa di muschio, Kafka di piombo –, lo chef deve saper leggere il volume al ritmo giusto, riconoscer­e i sentori prodotti da rilegature, segnalibri e fiorellini essiccati tra le pagine di ogni ciocco. Aiutato da tre pulci intelligen­ti inserite in gola, Géza passa da un desco di clienti che vogliono assaporare il frutto proibito all’altro, finché una congiura ordita dentro la montagna degli Urali che dà il titolo al romanzo inonda il mercato con migliaia di copie sintetiche di prime edizioni, sconvolgen­do la dottrina della griglia. Con La tormenta o La giornata di un opricnik Sorokin aveva già incantato per il suo talento distopico. Con Manaraga, un Fahrenheit 451 gusto MasterChef, fa di più. Diverte per l’ironia cupa – alla James G. Ballard – con cui irride vezzi degli happy few e del consumo culturale, lasciandoc­i con una struggente fame di carta, di annotazion­i a matita, di quel calore che soltanto un libro può generare.

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