C’È UN GENIO NEL CASTELLO
Dagli esordi della rivista letteraria NY Tyrant all’avventura di fondare una residenza per scrittori nel Basso Lazio. L’esistenza da romanzo di GIANCARLO DiTRAPANO si colora di una nuova impresa, per fornire a chi inventa trame e parole un luogo per immag
l mio primo incontro con Giancarlo DiTrapano è avvenuto qualche anno fa tramite l’immagine di una macchina in fiamme. Avevo letto dei racconti di Tao Lin nel giornale letterario NY Tyrant e mi ero innamorata di quella rivista. Una ricerca online mi aveva portata alla foto di quella macchina infuocata pubblicata su un profilo Facebook poco frequentato. Non trovavo altre informazioni. Giancarlo a New York era conosciuto come un editor d’avanguardia, anarchico, ma anche enigmatico. Collaborava con le riviste più sperimentali, ma non voleva lavorare nei loro uffici. Era alla ricerca di scrittori nuovi, ma si rifiutava di comunicare con le agenzie letterarie. Beveva whiskey on the rocks con gli editor del Paris Review e scriveva articoli per Vice sulle sue serate passate con Edmund White. Viveva in un piccolo appartamento a Hell’s Kitchen e da lì, con l’aiuto di uno stagista, dirigeva le operazioni. I libri venivano stampati in giro per l’America, una parte veniva consegnata alle librerie indipendenti tramite una piccola distribuzione, una parte veniva spedita direttamente dall’ufficio postale sotto casa di Giancarlo. Aveva cominciato a pubblicare gli autori emergenti più interessanti che c’erano sulla scena americana: Megan Boyle, Kim Chinquee, Sheila Heti, Clancy Martin, Annie DeWitt, Atticus Lish. In pochi anni molti dei suoi libri erano stati opzionati da Hbo e da altri produttori hollywoodiani. Il caso più eclatante oltre a quello di Atticus Lish, che con il suo Preparation For The Next Life si è conquistato anche un Pen Award nel 2015, è stato quello di Nico Walker, un ex veterano della guerra in Iraq che in reazione alla sindrome da stress post-traumatico era diventato rapinatore di banche seriale. Giancarlo si era innamorato della sua storia incredibile e insieme al produttore musicale Matthew Johnson dell’etichetta Fat Possum, senza agenti o contratti di mezzo, aveva avviato Walker alla scrittura della sua autobiografia. Nel 2016, dopo una grande asta e una corsa dei produttori per i diritti cinematografici, il romanzo finito è stato venduto alla Knopf con il titolo Cherry. Con quei soldi Giancarlo ha chiuso con New York e si è trasferito in Italia. Si è sposato con Giuseppe Avallone, costumista di cinema e teatro e scenografo, che lo ha aiutato a trasformare la storica dimora di famiglia, un castelletto diroccato del ’700 a Sezze, in provincia di Latina, in una residenza per scrittori. I corsi di Creative Writing si chiamano Mors Tua Vita Mea e sono sempre sold out. Le lezioni sono in inglese e a breve ci saranno anche in italiano. Giancarlo fa da editor insieme a un guest writer di turno. Per le ultime due sessioni c’è stata l’irresistibile Chelsea Hodson, che ha fatto innamorare Miranda July con la sua raccolta di saggi Tonight I’m Someone Else. L’atmosfera è informale. «Diventare scrittori non deve significare per forza isolamento e sofferenza, può voler dire anche spiagge, giardini di Ninfa, vino bianco e castelli abbandonati». Il primo reading della sua rivista NY Tyrant che ricordo era nel 2012 al KGB Bar di Manhattan. C’erano star letterarie come Tao Lin che leggevano testi informali sui loro rapporti con le droghe. La sua capacità di mischiare il sacro al profano mi ha sempre affascinata. Quando ha scoperto la sua chiave come editore?
«Sono sempre stato un lettore appassionato, ma lavorare (facendomi prontamente licenziare) come stagista alla Farrar, Straus and Giroux, a New York nel 2003, mi fece capire che se volevo pubblicare i libri che piacevano a me avrei dovuto mettermi in proprio. È così che ho fondato il giornale letterario New York Tyrant, che poi si è evoluto in Tyrant Books. È stato un processo naturale. Ho cominciato a pubblicare quello che amavo leggere, alla gente è piaciuto quello che piaceva a me ed ecco fatto. Il sacro e il profano sono sempre stati la stessa cosa per me. Sto parafrasando uno scrittore che ammiro molto, Dan Fante, ma credo in sostanza che l’uomo possa resistere a tutto: può uccidere, essere distorto, rotto, disperato e folle e continuare comunque a essere un perfetto figlio di Dio. Le persone sono tutte incasinate, tutti noi lo siamo. E lo sono anche tutti questi moralisti su Twitter alla ricerca costante di qualcuno da rovinare con i loro post di ritrovata purezza». Ora che si è allontanato da New York, come le appare lo stato della letteratura americana? «Sta benone, meglio che mai. Il romanzo americano è sano e lo sarà sempre. Ci sono molti scrittori oggi che pubblicano opere malviste dagli snob intellettuali. Ma io penso che bisogna mandare un po’ affanculo l’élite e i piccoli cerchi. Più siamo a raccontare storie e meglio è. Certo, ci saranno sempre i principianti approssimativi, ma ci sono nuovi scrittori fantastici, leggende americane del futuro: Chelsea Hodson, Brad Phillips, Rebekah Morgan, Scott McClanahan e molti altri. Liveblog di Megan Boyle cambierà il volto della letteratura. È un racconto in tempo reale della sua infelicità raccolto da post che ha fatto online. Cerco di essere aperto a nuovi linguaggi e a forme di scrittura sperimentali». È stato contattato da tanti agenti letterari, ma ha sempre preferito scoprire da solo i suoi scrittori. Come ha fatto a salvaguardare la sua integrità? «Quest’anno abbiamo pubblicato Steve Anwyll, David Nutt, Brad Phillips. Di tutti questi libri solo uno mi è arrivato tramite un’agenzia. Gli agenti hanno bisogno di me molto più di quanto io abbia bisogno di loro. Io faccio il lavoro sporco della ricerca degli scrittori perché è quello che amo, poi loro fanno il loro business. Vendono i diritti, che è una cosa importante, ma non è tutto». Americano e italiano. Dello Stato del West Virginia e di Sezze. Editore indipendente e imprenditore. Chi è lei veramente e che cosa ha portato, nella sua vita, la riscoperta delle radici italiane? «Mi sono sempre sentito come un grande impostore, un falso, un ciarlatano. Non sapevo un bel cazzo di come si faceva a editare e pubblicare un libro. Ho semplicemente cominciato a farlo e mi è
«IL ROMANZO AMERICANO È SANO E LO SARÀ SEMPRE»
venuto naturale. Imparare l’italiano è stato molto utile per approfondire la mia conoscenza dell’inglese. Non puoi veramente conoscere la tua lingua madre se non hai la possibilità di guardarla da una lingua straniera». Qual è la sua prima memoria del castelletto di Sezze e quando ha capito che poteva utilizzare quello spazio per il progetto Mors Tua Vita Mea? «La prima volta che sono venuto a Sezze avevo nove anni. Il castelletto è stato totalmente diroccato per 90 anni. Un paio di anni fa abbiamo avviato i lavori, poi sono partiti i workshop, ora aggiungeremo altre attività. Vorrei offrire residenze per scrittori, scultori, pittori e musicisti e dargli la possibilità di rimanere anche per un mese alla volta a lavorare. Come forma di compenso richiederei che una delle loro opere rimanesse al castello. Stiamo cercando altri fondi, chiedendo aiuti alla Comunità europea e alle Belle Arti per continuare i restauri. Speriamo di ottenere il sostegno di chi la vede come noi». I suoi workshop sono sui generis: editing di manoscritti, gite culturali, cibo fatto in casa, racconti di paura sui fantasmi del palazzo e incontri con scrittori e artisti. Ha inventato in poco tempo una comunità con regole tutte sue. «È nato tutto su Twitter. Con Chelsea Hodson abbiamo postato la nostra idea e in pochi giorni ci sono arrivate application da scrittori di tutto il mondo. Il giorno prima dell’inizio del nostro primo corso ci siamo resi conto che sarebbe stato tutto molto intimo, come una sorta di versione letteraria del Grande Fratello. Ma subito dopo aver preso gli studenti dall’aeroporto, sapevamo che sarebbe andata bene. Con Chelsea abbiamo deciso di lavorare con un gruppo ristretto di scrittori, cinque o sei alla volta, in modo da mantenere un certo rigore con il lavoro. Noi ci occupiamo della letteratura, mio marito Giuseppe del cibo e delle gite culturali». Come vede il castelletto tra cinque anni? Si dice anche che in futuro le piacerebbe incaricare più scrittori italiani per i corsi. È veramente così? «Il castelletto tra cinque anni sarà sicuramente pieno di vita. Un luogo dove artisti e intellettuali si possano radunare. Vorrei fare delle proiezioni sulla parete esterna di film d’autore e coinvolgere sempre di più le persone del paese. La proprietà ha qualcosa di molto meditativo che non vorrei perdere. È silenziosa e ispira molta creatività, lo sento dire da tutte le persone che vengono a stare qui. E sì, siamo alla ricerca di italiani che vengano a insegnare. Abbiamo in lista Elena Ferrante per l’anno prossimo, ma le ho dovuto promettere che può indossare un burka per tutta la settimana. È così esigente!».
«QUESTO SOGNO È NATO SU TWITTER E POI SI È ESPANSO»