La Casa Rosa
Il 2018 è l’«Anno delle donne» negli Usa per il record di candidate in corsa per il Congresso. Merito di una sconfitta (Hillary) e di un presidente (sessista) che ha vinto nonostante l’inesperienza politica
Più che l’età (28 anni), l’etichetta (socialista) e la provenienza (il Bronx), l’elemento sorprendente di Alexandria Ocasio-Cortez – il nuovo volto dei Democratici americani – è il rossetto: rosso, indelebile, fiero. L’ex collaboratrice di Bernie Sanders, che ha travolto il potentissimo Joe Crowley alle primarie di New York, l’ha indossato per convincere gli elettori del Bronx e del Queens a votare per lei. Dopo il confronto televisivo con l’avversario, ha dedicato al fedele rossetto il primo commento su Twitter, divulgandone marca e tipologia ai fan curiosi. Risultato? Il prodotto è andato a ruba in poche ore in tutti i Sephora d’America, e Alexandria ha archiviato con un tweet decenni di basso profilo obbligatorio per le donne in politica. «Per quelle come me non è prevista una candidatura», diceva nel suo spot elettorale diventato virale: figuriamoci vincere. Ma Ocasio-Cortez, mamma portoricana e papà newyorkese scomparso dopo una lunga malattia che ha impoverito la famiglia, un passato da cameriera ed educatrice, non si è limitata a vincere le primarie locali di un partito. In pochi giorni è diventata il simbolo globale di un nuovo corso della politica americana che registra, mai come quest’anno, una moltitudine di donne in corsa al Senato e alla Camera, e per il ruolo di governatore. Sono circa 600, tra Democratiche e Repubblicane: quasi tre volte il numero di candidate del 2016, secondo il Center for American Women and Politics della Rutgers University.
Il fenomeno è così imponente che Politico, testata di riferimento per capire cosa succede a Washington, ha attivato sul sito The Women Rule Candidate Tracker, un contatore che monitora in tempo reale candidature, vittorie e sconfitte. Al momento, le donne rappresentano solo il 20% del Congresso americano, con il Partito Democratico che raggiunge il 37% e quello Repubblicano che sfiora il 18%. Eppure, ventisei anni dopo il primo Year of the Woman – quel 1992 che portò al record di 4 donne elette al Senato e 47 alla Camera –, gli Stati Uniti sarebbero pronti a una nuova svolta. Oggi, come allora, è l’abuso maschile a favorire l’onda. Se nel 1992 aveva il volto di Clarence Thomas, il giudice della Corte Suprema accusato e mai condannato per violenza sessuale ai danni della sua collaboratrice Anita Hill, oggi ha quello di Donald Trump. «Posso dirlo senza indugi», ha dichiarato qualche settimana fa la senatrice democratica Kirsten Gillibrand, probabile candidata alle Presidenziali del 2020, «le donne stanno guidando la
resistenza. Un anno e mezzo dopo la prima marcia della nostra generazione, l’energia dal basso sta crescendo. Le donne stanno tenendo insieme la democrazia in un momento molto pericoloso». Nell’era del #MeToo, il maschilismo del presidente degli Stati Uniti – più volte accusato di molestie sessuali e comportamenti offensivi – avrebbe spinto molte donne a candidarsi per riuscire nell’impresa sfiorata due anni fa con Hillary Clinton: l’elezione di una donna presidente.
Monica Klein, fondatrice insieme alla socia Elana Leopold di Seneca Strategies, un’agenzia che aiuta le progressiste a entrare in politica e che ha tra i suoi clienti la candidata governatrice di New York Cynthia Nixon, identifica nella sconfitta di Clinton l’epifania del risveglio femminile: «Non avevamo capito quanto fosse difficile per una donna diventare presidente fino a quando Hillary ha perso», racconta in un caffè di Clinton Hill, elegante quartiere hipster di Brooklyn. «Credo che la consapevolezza femminista
«Le rappresentanti femminili nei ruoli chiave sono al servizio di ciò che conta davvero: sanità, scuole, salari» Monica Klein ed Elana Leopold sono le fondatrici di Seneca Strategies, agenzia che aiuta le donne (democratiche) a entrare in politica.
di molte sia nata quel giorno, a maggior ragione perché lei ha perso e ha vinto un sessista». La visione di Klein, cresciuta nella scuderia politica del sindaco di New York Bill de Blasio, si ritrova anche nello schieramento opposto. Laura Brown, che ha appena perso le primarie repubblicane in New Jersey, ci racconta che il suo obiettivo è la rigenerazione del partito ostaggio di Trump: «Come è possibile che stiamo consentendo a un uomo così di guidare la nostra coalizione?». Brown, programmatrice informatica alla prima esperienza, non ha alcuna intenzione di fermarsi nonostante la sconfitta: «So che la strada è dura ma ho solo 29 anni», dice. Non sono solo i comportamenti oltraggiosi ad aver trasformato il tycoon in uno stimolo elettorale, ma anche il suo essere unfit nel ruolo di presidente: «Trump ha dimostrato che la mancanza di background politico non è un ostacolo al lavoro più difficile del mondo», spiega Monica Klein. Se l’esperienza è un dettaglio, Seneca Strategies – come tante agenzie nate nell’ultimo anno in America – fornisce alle donne che vogliono provarci gli strumenti per compensare le mancanze: dalla costruzione di una campagna elettorale alla ricerca del tono di voce nella comunicazione con la stampa. Tra i loro clienti c’è la latina Jessica Ramos, che – al pari di Ocasio-Cortez – sta guadagnando molti consensi tra le classi lavoratrici di New York. Anche per lei è una prima volta ma, assicura, la sua esperienza professionale e personale può aiutarla a fare la differenza: «Da madre conosco la situazione delle scuole pubbliche nella nostra città e sono da sempre al servizio della mia comunità: questo mi rende esperta delle questioni che interessano alla gente». Eccolo il termine che ricorre nella retorica delle nuove candidate, a partire da Alexandria Ocasio-Cortez che ha costruito la sua campagna, e il suo consenso, sul dualismo persone contro soldi. «Ha ragione», sottolinea Ramos. «Loro hanno i soldi, noi abbiamo la gente».
Se è vero che le donne, molto più degli uomini, mostrano una certa riluttanza a esporsi nell’arena politica per il timore atavico di non essere in grado, la mancanza di preparazione al pubblico servizio di Trump avrebbe liberato molte dall’ansia. Per Alexandra De Luca, membro di Emily’s List, la più importante organizzazione che lavora per eleggere donne democratiche nel Paese (500 milioni di dollari raccolti in tre decenni di vita), la nuova ondata di inesperte non è affatto una cattiva notizia: «Portano idee e conversazioni fresche, una forte visione nuova in una vecchia istituzione. Il fatto che non abbiano mai servito il Paese non vuol dire nulla: sono state leader in altro modo, facendo crescere le proprie attività o le proprie comunità». Scongiurato il rischio di una nuova forma di populismo, gentile nel messaggio ma egualmente potente negli effetti, resta da chiarire l’equivoco sul genere: «Avere molte rappresentanti femminili nei ruoli chiave del Paese non significa occuparsi solo di diritti riproduttivi», continua Alexandra, «ma avere persone al servizio di ciò che conta davvero: territorio, sanità pubblica, scuole migliori, salari più equi, assistenza ai bambini».
Di certo, in questo inizio di campagna elettorale che sfocerà nelle elezioni di metà mandato di novembre, le donne hanno già fatto la differenza. La candidata di Long Island Liuba Grechen Shirley ha ottenuto l’ok da parte della Commissione elettorale federale per usare i fondi della campagna per il babysitting dei due figli. Kelda Roys e Krish Vignarajah, in corsa per il ruolo di governatrice rispettivamente in Wisconsin e Maryland, hanno diffuso manifesti elettorali che le ritraggono mentre allattano. Sono tutte Democratiche, e di sicuro è nel fronte progressista che si registra maggiore movimento, dato che il numero di donne candidate è cresciuto negli anni e i vertici sarebbero pronti per esprimere una candidata donna alle presidenziali 2020 (le più probabili: Elizabeth Warren, Kamala Harris e la stessa Gillibrand). Tuttavia, anche tra i Repubblicani qualcosa si muove: il partito ha recentemente nominato la 34enne Elise Stefanik responsabile per la ricerca di candidature femminili. Nel frattempo, i due candidati conservatori che hanno ottenuto più finanziamenti negli ultimi mesi sono donne: Marsha Blackburn in Tennessee e Martha McSally in Arizona. Quest’ultima – prima donna pilota di guerra dell’esercito americano – ha già fatto la storia in Iraq e Afghanistan. Il resto è rimandato a novembre.