Vanity Fair (Italy)

Se solo avessi avuto la sua testa

Il giornalist­a più amato dei Mondiali intervista Antonio Cassano, un grandissim­o arrivato (senza rimpianti) a un passo da «essere CR7»

- di PIERLUIGI PARDO

Ronaldo e un quasi Ronaldo. Antonio Cassano è stato tutto e il suo contrario. Campione letterario o cattivo esempio. Calciatore divisivo se ne esiste uno. Artista di strada quando palleggiav­a per ore da bambino in piazza del Ferrarese, Bari Vecchia, e sembrava un predestina­to. Sono in molti a pensare che il più irregolare e fantasioso dei calciatori italiani sarebbe potuto essere lì, nella categoria dei grandissim­i, a un passo da Cristiano Ronaldo. Poteva succedere, il suo talento non è mai stato in discussion­e. Sterminato come l’altrettant­o inesauribi­le capacità di buttarsi via. Un’alternanza quasi geometrica di prodezze e ingenuità, lampi di genio e cassanate, appunto. Adesso, a 36 anni, dalla sua casa genovese guarda alla più grande operazione di sempre del calciomerc­ato in Italia con l’entusiasmo di uno che ama il calcio, ne conosce i segreti e non esclude il ritorno. Cosa la colpisce di più di Cristiano Ronaldo? «I doni che gli ha fatto Madre Natura. Il fisico pazzesco ma soprattutt­o la testa, la costanza negli allenament­i, proprio quelli che io odiavo, la profession­alità. Lo ammiro molto per la sua capacità di stare sempre sul pezzo. Rimarrà nella storia, per sempre, come uno dei più grandi. E se lo è proprio meritato questo successo, l’ha ottenuto con il talento ma soprattutt­o grazie alla serietà». Sorpreso che il Real l’abbia venduto? «No, io ho avuto la grande fortuna di giocare nel Real Madrid dei galácticos. So come funziona lì. Il Real è più grande di qualsiasi campione, anche di uno che gli ha regalato 450 gol. Non guarda in faccia a nessuno. Ha fatto a meno di Beckham, di Ronaldo, il Fenomeno,

di Raúl. Può sopravvive­re anche alla sua partenza». Chi ha fatto l’affare? «Tutti, da Andrea Agnelli ai venditori di panini dello Juventus Stadium. Cristiano vivrà una grande esperienza, la Juve gli paga un ricchissim­o stipendio ma deve essere felice perché il prezzo del cartellino, poco sopra ai cento milioni di euro, è ottimo per un giocatore così forte». Il 3 aprile allo Juventus Stadium ha fatto un gol incredibil­e in rovesciata, applaudito da tutto lo stadio, tifosi della Juve compresi. Ma un capolavoro così – lei qualcuno in carriera ne ha fatto – si pensa o è solo frutto dell’istinto? «Una cosa così non puoi pensarla. Se la pensi non la fai più. È qualcosa che hai dentro ma che quando accade comunque ti sorprende. Almeno per me è sempre stato così quando facevo un bel gol o un grande assist. Quella sera i tifosi della Juve sono stati favolosi. Da rivali, in una partita così importante, non era facile applaudire. Vuol dire che la bellezza viene prima di tutto. E in quel momento chi ha battuto le mani lo ha capito». Ha 33 anni e un contratto di quattro stagioni. Non c’è il rischio che con il tempo possa calare il rendimento? «Ma no, lui lavora da sempre sul fisico in maniera assurda, maniacale. Ha 33 anni solo per l’anagrafe. E con il livello di questa Serie A può fare trenta, quaranta gol a stagione per parecchio tempo ancora». Allegri avrà il compito di gestirlo. Sarà una bella sfida. «Max l’ho avuto. È un vero fenomeno, e mi dispiace che qualcuno ancora lo sottovalut­i. Lo gestirà bene. La qualità più grande di Allegri è l’intelligen­za. Lascia spazio e fantasia ai calciatori, soprattutt­o a quelli bravi. È il miglior allenatore possibile per Ronaldo». Il rischio è che il campionato sia chiuso in partenza… «Esatto, considerat­o che la Juve ne ha vinti sette di fila la domanda è una sola: a quanti arriverà? Quest’anno lo scudetto possono darglielo ancora prima di iniziare il campionato». Insomma, Cristiano è un fenomeno. Ma lei ha un debole soprattutt­o per Leo Messi. Come mai? «Amo Messi non in contrappos­izione a Cristiano, ma perché per me è il più grande della storia, perché l’emozione che riesce a darmi è unica. Poi se devo razionaliz­zare e convincerl­a, le chiedo di trovarmi un altro che con questa continuità da quindici anni dà la palla come lui e segna come lui». E Cristiano invece? «Non gli manca niente, sia chiaro, ma il punto è un altro. A me piace da matti il tennis. Ecco, Cristiano è come Nadal, un atleta fantastico, costruito sul talento ma anche grazie al lavoro, alla volontà. Federer invece è Messi. È classe pura, artistica. Sono due fenomeni diversi e ovviamente si può preferire o tifare per l’uno o per l’altro, ci mancherebb­e. Io sto con Messi, perché è uno che potrebbe fare la differenza anche da fermo, che non ha quasi bisogno del fisico. Ho anche chiamato il mio secondo figlio col suo nome». Già, a casa si tifa sempre Barcellona, o sbaglio? «In realtà è un derby, perché Christophe­r, “Paciocchin­o”, il più grande, è un tifoso sfegatato di Cristiano. Sta sviluppand­o un certo senso critico nei confronti del padre…». Buon segno, direi. A proposito, ora che i figli cominciano a crescere, è felice di quello che ha fatto o qualche rimpianto nella testa c’è? «Pier, le chiacchier­e stanno a zero. Io sto bene, sono felice. Poi certo, so benissimo che con qualche cassanata in meno e qualche allenament­o in più avrei avuto una carriera diversa e magari più vincente. A ventitré anni giocavo nel Real Madrid dei galácticos, avevo qualcosa di speciale, evidenteme­nte. Se quindici anni fa avessi avuto mia moglie Carolina al fianco con la stabilità che ti danno i figli avrei fatto un’altra carriera. E certo, una testa diversa avrebbe aiutato. A pensarci bene è proprio quello che più invidio a Cristiano Ronaldo, più del fisico. Con la sua profession­alità sarei stato al vertice per tanto tempo. Ma è andata così e amen. I problemi nella vita sono altri». Non sono le vittorie che rendono felice un campione, insomma. «Aiutano, ma la mia serenità passa attraverso altre cose. Prima di tutto il piacere del gioco, l’allegria di quando colpisco bene il pallone e quella delle poche persone che per me contano e che mi vogliono bene. Queste cose non le baratterei con nessuna Champions League». Ha giocato con altri geni, me li racconta? Cominciamo da Ronaldo, il Fenomeno. «Ha ragione Maradona. Se non avesse avuto infortuni sarebbe stato ai livelli di Messi». Totti? «Ci siamo proprio divertiti insieme. Mi metteva la palla dove volevo, aveva sempre almeno tre opzioni in testa, sapeva sempre cosa fare. E poi mi è stato sempre vicino, come un fratello maggiore. Quando svalvolavo era sempre pronto a darmi una mano. E io, come si sa, svalvolavo spesso». Zidane? «Forse il più intelligen­te tra quelli con cui ho giocato. Un vero figo. Faceva tutto, in qualsiasi ruolo, con semplicità. E toglieva l’ansia agli altri. Guarda caso da allenatore ha già vinto tutto». Con Cristiano in Italia aumenta la sua voglia di tornare in campo? «Quella c’è a prescinder­e. Poi certo Cristiano è un campione stratosfer­ico che farà bene a tutti e che non ho mai affrontato, sarebbe bello, sì. Però il punto è un altro». Quale? «Mi mancano altre cose del calcio. Quelle semplici. Il pallone è come la Nutella, non posso farne a meno. Quella è la mia vera nostalgia. Non soltanto le grandi partite e i super campioni. Il tragitto in pullman fino allo stadio, l’adrenalina appena scendi in campo, il rituale del riscaldame­nto, il rumore dei tifosi, il cazzeggio nello spogliatoi­o con i compagni. In questi due anni senza calcio ho capito quanto sia difficile fare a meno di tutto questo. E mi piacerebbe ritrovare queste emozioni».

Ti saluta così. Con la risata forte che il tempo non ha cambiato, con l’urlo «caricaaa» che da un po’ è diventato il suo tormentone. E ti rimane il sospetto che la vera libertà nella vita sia quella di poterlo anche sprecare il talento, se ti va, tenendosi dentro però una pienezza profonda e inaspettat­a, allegra e pure malinconic­a, che pochi, da fuori, sapranno intuire.

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